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ALTROVE # 6 






Comitato scientifico 
e di redazione: 
Claudio Barbieri, 
Gilberto Camilla, 
Massimo De Feo, 
Maria Teresa Dolfin, 
Roberto Fedeli, 
Marco Margnelli. 

Direttore 

scientifico: 

Gilberto Camilla 

Coordinamento 
editoriale; 

Claudio Barbieri 
Impaginazione: 
Marco Bailone 

Redazione: 

ALTROVE 
C/o SISSC 
Casella Postale 
10094 Giaveno - To 


Quest! test! non 
sono sottoposti ad 
alcun copyright. 


Febbraio 1999 


NAUTILUS 
r P1T11 

10100 TORINO 




soc/etA 

/TAL/ANA 
RER LO STUD/O 
DEGL/ STAR 


Di COSC/ENZA 



Le fotografie 
delle pagine 2-3 
e 150-151 
ritraggono dei 
funghi-pietra 
guatemaltechi 
(1000 a.C. - 
500 d.C.). 


ALTROVE (annuario della SISSC) pubblica lavori riguardanti I’antropo- 
logia, la botanica, I’etnologia, la farmacologia, la neurologia, la psicologia e 
la storia delle religion! con particolare attenzione al campo in cui opera la 
Societa Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, cioe agli stati di co- 
scienza ed ai mezzi, chimici e non, in grado di modificare tali stati. Esce, al 
presente, annualmente e pubblica articoli, rassegne, document! di partico¬ 
lare rilievo, recension! e segnalaziohi. 


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devono essere presentati dattiloscritti, ben leggibili, e possibilmente corre- 
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tiva. Possono essere scritti in una delle seguenti lingue: italiano, francese, 
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sti su una sola facciata di fogli di formato A4 (30 righe a pagina per 60 
battute a riga). Le parole da stampare in corsivo devono essere sottolineate 
una volta. La prima pagina del dattiloscritto deve portare solamente: a) nome 
e cognome dell’autore o degli autori; b) titolo del lavoro il piu possibile 
conciso ma sufficientemente esplicativo; c) una breve scheda informativa 
suH’autore/autori ed eventual! indicazioni dell’lstituto, laboratorio di ricerca 
0 0 Ente presso cui il lavoro e stato eseguito; d) indirizzo per eventual! comu- 

nicazioni. Le note al testo, da evitare per quanto possibile, vanno numerate 
progressivamente tra parentesi ed inserite alia fine del testo. I riferimenti 
bibliografici seguono le note al fondo dello scritto. I testi verranno sottopo- 
sti per I’accettazione al giudizio del comitato scientifico che si riserva la 
facolta di accettare o meno i lavori, nonche di chiedere agli autori eventual! 
modifiche. I lavori, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. Agli 
autori che lo richiedono esplicitamente vengono inviate le prime bozze di 
stampa; non possono essere accettate eccessive modifiche al testo. 


/ND/CE 





Marcello Bersini: Coscienza e intelligenza artificiale 

18 

Maurizio Romano: Los Graniceros 

39 

Eugeni Porras Carrillo: Pewatero 

50 

Marco Margnelli: Ricerca psicodinamica con Ayahuasca 



V 




62 

R. Strassman: Panoramica sulla ricerca con DMT 

75 

Chimica e farmacologia dell’Amanita muscaria 

78 

Italo Sanguineti: Le porte della percezione 

85 





V 




m 


Kamchadali e I’Amanita muscaria 

86 <»• 
Gilberto Camilla: I misteri di Samotracia e il culto dei Cabiri 

100 

Ezio Albrile: Montano e I'estasi frigia 

109 

Rosamaria Susanna Barbara: La danza del vento 

122 

La danza della Taranta 

124 

Gilberto Camilla: Lo sperma del sole 

136 

Mirella Castigli: L’altrove della chimica di sintesi 



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S I s s c 


La Societa Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza e stata fondata a 
Rovereto nel dicembre del 1990. Essa si propone come sede aggregative e 
di diffusione delle informazioni che riguardano il vasto e multidisciplinare 
campo di ricerca degli stati di coscienza; un campo in cui le tematiche pos- 
sono spaziare dagli stati di possessions e di trance sciamaniche alia 
neurofisiologia degli stati estatici, dai nuovi movimenti religiosi e filosofici 
“psichedelici” alia storia del rapporto umano (tradizionale e scientifico) con 
i vegetal! e i compost! psicoattivi. 

II rapporto dell’uomo con i suoi stati di coscienza - siano quest! indotti 
mediants tecniche sonore, di danza, di deprivazione sensoriale, di assorbi- 
mento di compost! psicoattivi, sia con le diverse tecniche che I’uomo sco- 
prira ed elaborera nel prossimo futuro - si perde nella notte dei tempi, quale 
costante continuamente fondants il divenire umano. 

Ben oltre le diffuse manifestazioni repressive da un lato, e le profanazioni 
deculturate dallo stesso lato dell’inconsapevolezza umana, le attivita della 
SISSC intendono apportare contributi informativi e di studio per una seria e 
libera ricerca sugli stati di coscienza. 

2 A partire dal 1999 la SISSC diventa Casa Editrice, affiancando al bollettino 
d’informazione quadrimestrale (inviato gratuitamente ai Soci SISSC) e alia 
redazione scientifica di Altrove, edita da Nautilus, una serie di pubblicazio- 
ni autonome. 

Sempre nel 1999 la SISSC attivera un sito Internet. 

La quota associativa per il 1999 e di Lire 50.000 per i Soci Ordinari (la 
quota da diritto a ricevere gratuitamente il Bollettino d’informazione SISSC 
e a partecipare a tutte le iniziative previste) e di Lire 100.000 per i Soci 
Sostenitori (con diritto a ricevere gratuitamente il Bollettino d’informazione, 
Altrove, e tutte le altre pubblicazioni SISSC). 

Per iscriversi alia SISSC e necessario presentare domanda di ammissione 
corredata da un sintetico “curriculum vitae” del Richiedente. 

La domanda va inoltrata a: 

SISSC, Casella Postale - 10094 Giaveno (TO) 

Solo quando la domanda di ammissione viene approvata dal Consiglio 
Direttivo verra comunicata la modalita di pagamento. 

Tutta la corrispondenza (richiesta di informazioni, domanda di iscrizione, 
comunicazioni varie, etc.) SISSC va inviata ESCLUSIVAMENTE al seguente 
indirizzo: 


SISSC, Casella Postale • 10094 Giaveno (TO) 


COSC/ENZA 
IN TEL LIGENZA 
ARTIFICIALE 


Marcello 

Bersini 

Parma 


State lavorando alia tastiera del vostro futuribile computer Apple Junior. 
Computer ipotetico naturalmente, perche Apple Junior rappresenta il figlio 
di quel frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male che fu il 
primo personal computer, battezzato appunto Apple, la mela proibita, dai 
suoi inventor! Stephen Wozniak e Steve Jobs. AH’improvviso sul monitor di 
Apple Junior appare il seguente messaggio: COGITO ERGO SUM. Come rea- 
gireste? Rene Descartes, quando pronuncid la medesima affermazione, 
venne preso sul serio. Credereste anche ad Apple Junior? Quale potrebbe 
essere il significato di ‘penso’ e ‘sono’ per Apple Junior? Potrebbe questa 
giovane creatura cogliere la coscienza di se? E corpo, e mente, o e entram- 
bi? Generalizzando: pub una macchina pensare? 



Pub una macchina pensare? 

Ma cos’e eftettivamente una macchina? Se per macchina si intende ‘qual- 
cosa’ che fa ‘qualcosa’ allora la risposta potrebbe essere si - infatti in que- 
sto senso I’essere umano e una macchina. In realta perb quello che si vuo- 
le chiedere b piu specifico: pub una macchina ideata daH’uomo avere fun- 
zioni costitutive del pensiero? Esistono propriety astratte, formal!, struttu- 
rali che possono esser implementate su un supporto fisico qualunque e 
che possono essere caratterizzate come pensiero? 

In questo caso, se potessimo rispondere affermativamente, il pensiero sa- 
rebbe lo stato di un substrato strutturale. L’ipotesi forte dell’IA (=lntelligen- 
za Artificiale - qui a definire il genere di disciplina e a indicare il campo 
d’indagine) ponendosi su un piano decisamente filosofico e rispondendo 
affermativamente alia domanda, argomenta un’idea che ritiene vera: II cal- 
colatore non b semplicemente uno strumento per lo studio della mente ma, 
piuttosto, quando sia programmato opportunamente, b una vera 
mente;...ciob i calcolatori letteralmente capiscono e posseggono altri stati 
cognitivi" (J. SEARLE). 

Ovviamente siamo ancora nell’ambito del possibile. In questa prospettiva 
riA si propone come una ricerca per rendere simpatici i computer, alluden- 









10 


Ren6 Magritte, 
Le faux miroir, 
The Museum of 
Modern Arts. 
N.Y. 


do con questo all’attuale e problematica modalita di interazione che ancora 
oggi deve procedere in modo esplicito e dettagliato (cioe antipatico). 
L’ipotesi debole dell’IA si situa in posizione meno estrema, pensando al 
modello nel senso dell’utilita, come uno strumento provvisorio e semplifi- 
cato rispetto alle funzioni intellettive umane. Perb il suo pregio nello studio 
della mente consisterebbe nel fornirci uno strumento potentissimo. Si vuo- 
le rendere i computer schiavi piu accettabili e affidare loro una parte del 
nostro lavoro mentale: e un atteggiamento che non impegna ne sul piano 
filosofico, ne sul come si ottengono i risultati, che sono Tunica cosa che 
conta. Una posizione decisamente utilitaristica che rischia di tarsi sfuggire 
il motive fondamentale della ricerca. 

Dal punto di vista antropologico, nelTartificiale Tuomo sfoga il desiderio di 
ricreare Tintelligenza nel senso della sua essenza. Nella civilta greca gli Dei 
venivano rappresentati come super uomini. Originariamente Galatea era una 
statua creata da Pigmalione. Ad opera finita Tautore se ne innamord (e si 
innamord di se stesso attraverso Topera); allora Afrodite la rese una donna 
vera. Gli egiziani costruivano statue con sistemi idraulici in grade di muo- 
verle (animarle). Per questo le statue incutevano paura e riverenza. Ed ef- 
fettivamente tutta la storia degli automi e plena di amore-timore: bambole 
meccaniche, Faust, Frankestein; quest’ultimo e emblematico della paura 
delTincontrollabile. 

Molti sono convinti che TIA incoraggi Tidea alienante che Tuomo non sia 
altro che una macchina. Gia nel secolo scorso si e dimostrato che la mac- 
china per certi aspetti poteva sostituire Tuomo, ed e appunto quando essa 
diventa importante che sorge la paura. Infatti tutti i moment! di cambiamen- 
to della storia moderna sono condizionati dalTidea di che cosa sia una mac- 
china. NelTottocento il treno era il mezzo meccanico per eccellenza (in quel 
contesto parlare di macchina significava usare il vocabolario del treno). 
Oggi abbiamo disponibile il computer e percid utilizziamo un diverse voca¬ 
bolario: ci riferiamo semplicemente ad un diverse modello. Parlando di in- 
telligenza penseremo al computer in quanto e questo che determine la no- 















stra epoca. L’lA lo sceglie come strumento principe: il pensiero viene visto 
come processo computazionale, ossia una manipolazione razionale di sim- 
boli. La prospettiva antropologica sviscera il carattere ontologico del rap- 
porto fra il soggetto e un oggetto che assume forme sempre piu complesse 
e strabilianti. 

Per la filosofia occidentale, quindi su un piano decisamente speculativo, 
riA e una disciplina che vuole capire e definire I’intelligenza. E il problema 
mente-corpo ereditato da Cartesio che interessa biologi, neurologi e psico- 
logi (tutta la storia della psicologia e dell’IA pud essere raccontata come 
una reazione a questa profonda intuizione e ai suoi potent! influssi): come 
mente e corpo si influenzano? E piu precisamente: come il fenomeno men- 
tale e irriducibilmente psicologico ed alio stesso tempo dipendente da una 
base meccanica - cervello e sistema nervoso? II problema viene affrontato 
dairiA nello studio dell’elaborazione di informazioni da parte di un proces- 
sore che pud non essere biologico. Viene offerto, sotto sotto, come model- 
lo di mente, una elaborazione di informazioni di tipo computazionale. 
Quindi, I’ipotesi forte e: 


MENTE : CERVELLO = PROGRAMMA : COMPUTER 

Mente e programma.- software, manipolazione di simboli 

Cervello e computer; decodificatori, 

agenti che trasformano i simboli in azioni o funzioni 

Le operazioni mental! sono operazioni meccaniche la cui natura non dipen- 
de dalla struttura fisica che le rende possibili. Ma gia le prime conseguenze 
all’idea dell’ipotesi forte sono inquietanti: 

Visto che I’intelligenza e una serie di operazioni meccaniche anche il ter- 
mostato e intelligente (considerandolo una forma primitiva di pensiero). 

La coscienza come capacita di comprendere un modello di se stessi non e 
il presupposto del pensiero ma un possibile, non necessario, risultato: quindi 
anche nella macchina, come nell’uomo, sarebbero possibili divers! gradi di 
coscienza (un computer molto potente potrebbe sperimentare un qualche 
grado di coscienza). 



Limpresa dell’IA di capire e definire Lintelligenza e ambiziosa e, nonostante 
oggi prenda le forme di questo rapporto con il meccanico e I’artificiale, 
appartiene ad un’antica tradizione filosofica: il riduzionismo, che nel nostro 
secolo ha preso la forma del fisicismo. Questo paradigma afferma che tutte 
le leggi sono riconducibili a quelle della fisica. L’ipotesi forte e percid fon- 
data su un riduzionismo ontologico: tutto e materia. Ma in un isolamento 
nomologico (r?omos = legge) dove le leggi della fisica sono spieganti ma 
non spiegate, si va incontro a serie difficolta ontologiche, non si riesce a 
inquadrare il significato: dal punto di vista materialista non sembra essere 
intelligibile il rapporto fra manipolazione di simbolo e significato. 

Nel 1936 il matematico inglese Alan Turing sviluppd le basi teoriche dell’in- 
formatica, Introducendo in particolare un modello astratto di macchina cal- 
colatrice programmata, detta appunto Macchina di Turing (MT). Egli prese 
spunto da un'analisi del processo mentale di calcolo e, benchd il suo lavo- 
ro fosse puramente matematico, Turing usd a piu riprese una terminologia 








In alto il visore 
Fakespace Push, 
nella pagina a 
fianco il nuovo 
casco Dynovisor 
per \'home 
entertainment. 


antropomorfa parlando di ‘stati mentali’ per riferirsi a configurazioni interne 
della macchina. Pochi anni piu tardi incomincio ad accarezzare il sogno di 
costruire fisicamente tale macchina, continue a usare I’analogia originaria 
parlando del suo progetto come della costruzione di un ‘cervello’. 

II suo problema era di definire il concetto di ‘computazione’ che fino ad 
allora era sostanzialmente un concetto intuitive: un insieme di regole e 
direttive atte a rispondere ad un date problema, cioe un ‘algoritmo’. Le MT 
sono macchine manipolatrici di simboli in grade di risolvere algoritmi spe- 
cifici. Dal concetto ‘intuitive’ di algoritmo riusci ad ottenere un risultato 
operative ‘formale’. 

A Turing stava a cuore I’evidenziazione dell’essenza del concetto di mecca- 
nismo e, secondo la sua analisi, I’essenza e data dalle istruzioni che ‘muo- 
vono’ un dispositive le cui parti sono inessenziali. Turing considerava 
irrilevanti i livelli riduzionistici di spiegazione, quali ad esempio la fisica o la 
chimica: soltanto lo ‘schema logico’ di questi stati poteva essere realmente 
rilevante. L’affermazione era che qualsiasi cosa un cervello facesse, lo fa- 
ceva in virtu della sua struttura in quanto schema logico. Era materialismo 
ma non certo di un’identita stretta fra evento mentale e processo cerebrale, 
poichd per lui I’evento mentale e un fenomeno fisico (non ulteriormente 
specificate) logicamente strutturato. 

La conseguenza empirica del lavoro di Turing 6 riassunta nella tesi di Church: 
non esiste una funzione numerica che I’uomo e non una MT possa compu- 
tare. Altri matematici hanno proposto indipendentemente altre definizioni 
formali di algoritmo: sono tutte risultate equivalenti alia definizione di MT. 

II concetto epistemologico di computabiliti, considerate in un certo sense 
assoluto, ha incoraggiato il progetto di meccanizzazione dell’intelligenza. 


Turing in questa direzione ottenne un altro risultato notevole: dimostro che 
in realta ogni possibile MT puo essere ‘simulata’ da un’unica macchina, per 
questo chiamata Macchina di Turing Universale (MTU). 

Tale MTU e il Personal Computer che fu decisamente una innovazione di 
dimensioni gutemberghiane (c’e chi afferma addirittura che la liberta per- 
sonale in ogni Paese si possa misurare in base al numero di PC in posses- 
so degli individui). 

Che relazione pud avere una MTU con una definizione di intelligenza? 
Supponiamo un problema ipotetico: 

Pensiero: la ricerca della conoscenza 
codificato in problema aritmetico 
input 

MACCHINA DI TURING UNIVERSALE 
Output 

decodificato: soluzione del problema aritmetico 

Soluzione del problema della conoscenza. 

Quesito: quando la MTU risolve il problema, pensa? Ha coscienza? E intel- 
ligente? Turing risponderebbe che non esistono ragioni per negare il feno- 
meno alia macchina quindi, se supponiamo di si, come discriminare I’intel- 
ligenza? 

Turing non era certo convinto che il linguaggio dei numeri natural! fosse 
sufficiente per codificare ogni problema, ma il suo assunto fu certo un grosso 
passo avanti nella possibilita di simulare artificialmente il pensiero. Lo stesso 
atteggiamento non polemico ma propositivo lo ebbe nel trovare il metro di 
misura per I’intelligenza, che in future queste macchine avrebbero dimo- 

strato di avere. Nel “Discor- 
so sul Metodo" (1637) 
Rene Descartes aveva so- 
stenuto che nessuna mac¬ 
china avrebbe potuto ri- 
spondere tanto bene in 
modo da trarre in inganno 
facendosi credere una per¬ 
sona. Turing, ribaltando tale 
tesi, propone di risolvere il 
problema grazie ad un test 
detto 'prova dialogica di 
competenza'. Una macchi¬ 
na pud essere capace di 
prestazioni confrontabili a 
quelle umane se d in grado 
di conversare con un uomo 




13 







14 


A fianco: 

F. Kelly Frears, 
partic., per 
Astounding 
Science, 

Marzo 1954. 
Nello sfondo 
fotografia di 
microchip 
ingranditi 
enormemente. 


senza che questo si accorga di conversare con una macchina. Per I’lA clas- 
sica quindi non era di estrema importanza ne il materiale con cui e costru- 
ita una qualsiasi macchina, che non ha a che fare con la funzione calcolata, 
ne i particolari costruttivi dell’architettura funzionale dal momento che ar- 
chitetture different! - sfruttando programmi diversissimi - potrebbero cal- 
colare la stessa funzione ingresso-uscita. II percorso e stato tracciato, in- 
calcolabile il contribute del visionario predigitale Alan Turing, ed ora la mu- 
tante forma del nucleo teorico sta passando per la contrada del 
connessionismo, che e poi la ripresa del vecchio paradigma cibernetico. 

Quali prospettive per il future? 

Nel mondo scientifico la cibernetica ha segnato I’importante passaggio dal 
‘modello di spiegazione dell’energia’ al ‘modello di spiegazione dell’infor- 
mazione’ (Timothy Leary sostituisce la formula einsteniana E=mc’ con 
I’equazione cibernetica l=mc’ - dove I sta per Informazione). Filosoficamente 
e interessante il salto concettuale, il passaggio da una scienza come la 
fisica che descrive gli event! all’interno di sistemi chiusi, alia cibernetica 
che li descrive nell’ambito di sistemi aperti: I’informazione circola e si 
arrichisce. Abbandonata come modello negli studi sui comportamenti in¬ 
telligent!, la cibernetica fu ripresa negli anni ottanta dopo che la scienza 
della computazione dovette ammettere che i suoi modelli (in sostanza le 
MT) non riuscivano a progredire oltre certi limit!. I connessionisti facevano 
rilevare che la MT era troppo lontana dal ‘modo’ in cui opera il cervello. 
Ecco le differenze: il numero di neuron! dentro un cervello e enorme; quello 
di unita funzionali dentro un calcolatore molto piu basso. I neuron! sono 
dispositivi estremamente lenti; il passaggio delle unita di informazioni (bit) 
nei computer e velocissimo. I neuron! usano pochissima energia; i compu¬ 
ter parecchia e mancano di attivita chimica. II cervello compie operazioni 
analogiche ed elabora in parallelo; il computer opera sequenzialmente e 
non fa operazioni analogiche. 

La strada giusta per i connessionisti non e I’architettura funzionale delle 
macchine manipolatrici di simboli; per svolgere I’impegnativo compito di 
riprodurre I’intelligenza proposero ‘reti neurali’ che simulano i process! stessi 
del cervello (modello cibernetico detto connessionista). Perfarlo imitano la 
struttura del cervello con divers! processor! (esecutori di calcolo), altamente 
interconnessi tra loro e in cui la programmazione consists nel migliorare le 
connessioni giuste a scapito di quelle sbagliate, si da arrivare a risultati 
cognitivi complessi. La capacita delle reti di apprendere dall’esperienza e di 
tollerare le imprecision! della vita reale, e cio che li rende molto piu plausi- 
bili biologicamente. Eppure per computare le funzioni matematiche non c’e 
macchina connessionista che possa rivaleggiare con una MT. I livelli che 
consideriamo di ‘bassa’ intelligenza (problem! inerenti la visions, il ricono- 
scimento degli oggetti, I’orientamento, aspetti di comprensione del linguag- 
gio) sembrano meglio simulabili con soluzioni connessioniste, visto I’enor- 
me numero di informazioni che la realty richiede; meglio adatta alls MT 6 
I’attivita intellettuale ‘alta’ (funzioni matematiche) che coinvolge un bassis- 
simo numero di informazioni. 

Filosoficamente il problema del connessionismo 6 di non essere in grado di 
spiegare mediants un isomorfismo funzionale come si passa dal funziona- 





















16 

BIBLIOGRAFIA 

HOFTADTER D. e 
DENNET D., 

1985, Lio della 
mente, Adelphi, 
Milano, 
in partic.: 

TURING A., 
“Calcolatori e 
intelligenza": 
HOFTADTER D. 

“II test di Turing, 
una conversazio¬ 
ne al caffe; 
SEARLE J. 
“Mente, cervelli 
e programmi". 


In alto: casco 
Dynovisor in 
versione 
prototipale con i 
sensori V-Trak 
durante una 
dimostrazione. 


mento neurale (delle connessioni) a 
process! mentali superiori. 

Gli elaboratori simbolici (MT) fanno il 
contrario: spiegano i process! mental! 
supenor! ma non nescono a stab!l!re un 
!somorf!smo funz!onale a Nvello de! 
neuron! del cervello. Probab!lmente, 
ragg!unto lo stallo def!n!t!vo, ultehor! 
progress! s! otterranno con la comb!- 
nazlone de! due modell! anche se per 
ora non s! sa esattamente come. Forse 
sarebbe necessar!o, come afferma 
M!nsky, dare alle ret! neural! lo stesso 
tempo Che d!amo agl! uomln! per arn- 
vare alia maturlta Intellettuale. Oppure 
prestare ascolto alle voc! de! v!s!onar! del slllcio che c! presentano futur! 
alia Blade Runner con opzion! ancora Inconceplblll. C! dicono con una pre- 
sunzlone da mistic! meccanic! che In un futuro prossimo la convergenza fra 
tecnologle blologiche e Informatica fara della forma umana una questlone 
d! scelta. 

Due delle principal! categorlzzazlon! della forma umana saranno I’umano 
come macchina e I’umano In macchina: II prlmo un Ibhdo-Integrazlone blo- 
macchlna, I’altro una vita elettronica su ret! computer. II nostro apparato 
neurale operera In slllcio proprio come In precedenza aveva operate sulle 
strutture blologiche del cervello. II bruco organico dl carbonlo potra tra- 
sformarsl nella farfalla dl slllcio Immagazzinando, digitalizzando memorle e 
credenze, penslerl e Intelligenza umana, In strutture Informatiche, In forma 
elettronica vivente? E necessarlo decostruire, mlnimalizzare e digitalizzare 
ogn! stimolo sensorlale per potersi registrare nella cosclenza. Trasmettere- 
mo su base datl la nostra personallta usando quelle che saranno le nuove 
generazloni dl software psicoattivl, programmi che consentiranno dl Imma- 
gazzlnare la nostra routine quotidlana. In futuro la lettura passiva delle no- 
stre vlte verra sostitulta dalla riscrittura attiva, sicche sara possiblle rivivere 
le esperlenze del passato. Oppure quegll stessi programmi verranno Imple- 
mentatl In ‘creature dl Turing’, non plu Immoblll sopra le scrivanie, ma IbrIdI 
llberl dl relazlonare sensorlalmente con la realta fisica (repllcanti?). 
CIbernetIca deriva dal greco kubernetes che significa ‘pllota’. Cosi II 
cibernauta e colul che e affascinato da tutte quelle InformazlonI necessarle 
per una navigazlone autosufficlente della realta In cul vivlamo, e per pllota- 
re le Idee e II penslero In nuovi spazi dimensional!. II ciberpunk e gla un 
estremista Informatlco; sono talvolta paragonatl ad alchimisti adepti del PC: 
dl fronte alio ‘specchio magico’ del computer si trasportano In mondl dl 
fantasmagorle caleldoscopiche con 'simboll segretr e ‘parole dl potere’. II 
linguagglo dl questi futurl primordlall sara Iconico e trasmesso digitalmente 
tramite fibre ottiche lampegglanti nel ricevltorl occhlo-fonicl dl realty vlr- 
tuale. II ciberpunk, o chlunque lo voglla, potra Incontrare altrl come lui In 
dimension! evanescenti ma presenti, mondl virtual! su misura. Queste espe¬ 
rlenze extracorpgree saranno possiblll grazle alia tecnologla mutazlonale 
del cibervestitl. E CIberla questo mondo In cul II cervello potr^ navigare a 
placere. II ciberspazio quindl come una matrice allucinatorla: "...6 un’allu- 












cinazione consensuale”, ci dice William Gibson, “come se con questi stru- 
menti sia possibile mettersi d’accordo e condividere le stesse allucinazioni. 
In etfetti stiamo creando un mondo. Non e in realta un posto. Non e in realta 
uno spazio. E spazio nozionale, concettuale”. 

Einstein, Heisenberg, Plank, Bolu e altri determinarono gli element! fonda- 
mentali dell’universo, unita informazionali alle quali il fisico Murray Gellmann 
diede il nome di ‘quark’ (termine preso in prestito da un romanzo di James 
Joyce); piccole particelle -bit- subatomic! vorticanti che si raggruppano in 
configurazioni momentanee provviste di logica geometrica, pezzetti di in- 
formazione di tipo acceso/spento (yin/yang?), grappoli di informazioni quasi 
pure congelate. 

Cos! lo psicologo visionario Timothy Leary descrive tutto cio: “Pensate al- 
I’aggiustamento da capogiro necessario per questo. L’universo descritto da 
Einstein e dagii scienziati nuclear! e alieno e terrorizzante. Caotico. La fisica 
quantistica e, in un senso del tutto letterale, un folle trip in acido! Ne e 
postulato un allucinatorio universo da ‘Alice nel paese delle meraviglie’ in 
cui tutto e in mutamento. Come hanno detto Heisenberg e Jimi Hendrix: 
“nulla e certo tranne I’incertezza”. La materia e energia. L’energia e materia 
con accelerazioni di vario tipo, Le particelle si disciolgono in onde. Non ci 
sono le direzioni su e giu in un film quadridimensionale. Tutto dipende dal 
vostro atteggiamento, cioe dall’angolo dal quale vi avvicinate ai mondi reali 
della caotica”. La psicologia quantistica (o cicologia), forte della teoria 
einsteiniana della relativita indicante che le realta dipendono dal punti di 
vista, e in virtu del principle di Heisenberg che afferma esserci un limite 
alia determinatezza oggettiva, esaspera il tema della singolarita del punto di 
vista assegnando ai cervelli di ognuno la responsabilita della costruzione di 
realty La lingulstica quantistica ci dice che nella determinatezza soggettiva 
si creano i propri mondi spiritual!. 

II cervello, questo computer digitale organico di un chilo (computer di car- 
ne diceva Mynsky) che elabora cento milioni di volte piu informazioni del 
resto del corpo che pesa cento volte tanto, che e fornito di cento miliardi di 
centri micro informatici (neuroni), e ancora una volta nella possibilita di 
subire I’attivazione del suoi complessi circuit! detti siti recettori: attivazione 
cibernetica in ‘videolandia’.' 

Poi, ancora, crionica, clonazione, nanotecnologia, macchine replicant! a 
livello atomico nelle singole cellule biologiche, controllo evolutive della spe¬ 
cie, vite in ‘virus informatici’, ‘interfaccia mioelettrica e...insomma quale 
diramazione dendritica di possibilita promette I’orizzonte artificiale. Para- 
frasando Arthur Clarke, ad un certo livello evolutive la tecnologia risulta 
indistinguibile dalla magia: 6 un fatto mistico. Digitale fa rima con spiritua- 
le. Nelle possibility che le evoluzioni dell’IA e delle scienze cognitive e 
cibernetiche permetteranno, un individuo potrebbe esistere sotto molte for¬ 
me simultaneamente’. “Che significato abbia la parola ‘io’ in una situazione 
del genere", ci dice ancora Leary, “sary materia di studio per i filosofi. Noi 
riteniamo che la coscienza persisterebbe in ciascuna delle forme indipen- 
dentemente, inconsapevole dell’automanifestazione delle altre forme se non 
in comunicazione con esse”. 


HOFTADTER D.. 
“Livelli di 
descrizione e 
sistemi di 
calcolo", in: 
Godel, Escher e 
Bach, cap. 10, 
Adelphi, Milano. 

PUTNAM H.. 
1987, “La natura 
degli stati 
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mentale”, 
in: Mente, 
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Milano. 



17 


PUTNAM H., 
1985, Ragione, 
verita e storia, 
Saggiatore, in 
partic.: “Cervelli 
in una vasca" 

CHURCHLAND 

PM. e 
CHURCHLAND 
PS., 1996, “Pud 
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pensare?” in Le 
scienze quaderni 
n‘’91. Sett. 
1996: Filosofia 
della mente 
(a cura di 
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TIMOTHY LEARY, 
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cibercultura, 

Urr^ 

RENt 
DESCARTES, 
1637, Discorso 
sul metodo 







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CO loro Che le\/oreno’ 

con // tempo 


Maurizio 

Romano 

Antropologo, 

Parma 


La medicina tradizionale in Messico 

Alcuni anni fa, precisamente nel 1988, realizzai una ricerca antropologica 
sulla medicina tradizionale, chiamata anche medicina popolare, in Messi¬ 
co. Scopo della ricerca, che effettuai principalmente nello Stato di Morelos, 
era lo studio e la documentazione di pratiche di tipo terapeutico condotte 
dai curanderos, ossia i guaritori tradizionali. Cio fu possibile grazie ad una 
borsa di studio che mi venne offerta dal Ministero degli Affari Esteri 
messicano, tramite I’lnstituto Nacional de Antropologia e Historia (INAH). 
In Messico per curandero si intends chiunque operi nel campo della salute 
fisica e mentals, utilizzando metodi, tecniche e conoscenze tramandate di 
generazione in generazione. Seconds il dizionario Larousse, il curandero e 
una "persona che cura senza essere medico”. Questa definizione rispecchia 
I’atteggiamento poco rispettoso che la cultura dominants ostenta nei suoi 
confront!. Cio non aiuta a riconoscere i giusti merit! che spettano a quests 
persons, che molto spesso svolgono con dedizione e competenza la loro 
pratica di medici tradizionali. I curanderos sono i detentori di un sapere 
ancestrale, e I’efflcacia delle loro pratiche curative e attestata dal giudizio 
popolare. Curandero non e sinonimo di ciarlatano, anche se alcuni di loro 
probabilmente lo sono. 

Nonostante I rapid! process! di cambiamento che sta attraversando il Mes¬ 
sico, ho potuto constatare come fossero numerosi i guaritori tradizionali 
che svolgevano la loro attivit^, in citta come nei villaggi, ciascuno con un 
proprio campo di intervento e con delle competenze ben definite. Uno stu¬ 
dio prellminare, svolto prevalentemente in biblioteca, mi consent! di 
familiarizzare con ia medicina tradizionale messicana e mi aiutd a capire 
chi 6 in realty II curandero e come lavora. In seguito si rese necessaria una 
indagine sul campo per poter distinguere e classificare gli s\ess\curanderos 
in base ai rispettivi ambiti di intervento, ai metodi di cura utilizzati, e all'in- 
sieme di idee e credenze che sostengono le loro pratiche. 



A sinistra 
un'immagine di 
TIdloc. 
codice Borgia 


Le origini; La medicina popolare degli aztechi. 



20 


AH’arrivo degli spagnoli, i mexica - popolazione di lingua nahuatl meglio 
conosciuta con il nome di aztechi - esercitavano la loro egemonia politica e 
culturale su gran parte del territorio mesoamericano. Nella societa mexica 
la malattia era considerata come un intervento delle divinita, o meglio come 
una normale reazione delle forze sovrannaturali nei confront! del compor- 
tamento umano. 

Secondo I’ideologia azteca I’ordine cosmico e retto da un intreccio di forze; 
dentro a questa concatenazione I’individuo e chiamato al rispetto di alcuni 
limit!, cosi come deve proteggere se stesso contro I’intromissione nella pro¬ 
pria vita di energie perturbanti. L’uomo, visto come individualita inserita in 
un cosmo, costituisce una forza che partecipa ai process! universal!. Vive 
producendo e consumando energia; con il suo cuore e il suo sangue ali- 
menta gli Dei. La sua partecipazione al funzionamento dell’universo dipen- 
de dalla quantita e qualita di questa forza che mette a disposizione vivendo. 
Dei, esseri sovrannaturali di ogni sorta, uomini malvagi e una serie intermi- 
nabile di entita e oggetti della natura dotati di una propria ‘volonta’, erano le 
cause piu frequent! di malesseri di ogni tipo. Tutto quanto potevd trasmette- 
re una propria energia, o anche essere la manifestazione di un altro essere 
piu potente o il suo tramite per I’azione, era in grado di guarire oppure di 
produrre un danno alia persona. 

Se I’equilibrio rappresentava quindi salute, un disequilibrio poteva aprire le 
porte alia malattia. La trasgressione di alcuni obblighi di tipo rituale, la vio- 
lazione dei precetti religiosi, il mancato rispetto dei valori moral!, I’interven- 
to di un fattucchiere impegnato in un’opera di stregoneria, producevano 
un’alterazione nell’armonico rapporto con le entita sovrannaturali. Gli Dei 
chiamati in causa intervenivano dispensando malattie agli esseri umani, 
anche se la loro azione patogena era sempre orientata ad un mantenimento 
dell’ordine supremo. 

TIaloc, divinita della pioggia, dei fulmini e di tutte le acque celesti, provoca- 
va disturb! che derivano dal freddo e dall’umidita, come i reumatismi, le 
polmoniti, la gotta e alcuni tipi di paralisi. I piccoli spirit! delle acque che lo 
assistevano, i TIaloque, dimoravano sulle vette delle montagne, nelle grot- 
te, nelle sorgenti di fiumi e ruscelli, e costituivano un potenziale pericolo 
per gli esseri umani che si avventuravano nei dintorni. TIaloc e i suoi aiu- 
tanti sovrannaturali castigavano anche coloro che abusavano del pulque, 
bevanda sacra e medicinale, inducendo paralisi facciale, disturb! agli occhi 
e tremor! in tutto il corpo. 

L’apparizione di certe malattie con I’inizio della primavera era legata all’av- 
vento di Xipe Totec, divinita che consentiva la rinascita della vegetazione, e 
quindi il cambiamento di ‘pelle’ della terra. I disturb! da lui dispensati erano 
di tipo cutaneo, in particolare quelli in cui comparivano eruzioni e 
suppurazioni; a questa divinita vennero assimilate persino alcune malattie 
portate dagli spagnoli come la varicella e il morbillo, spesso mortal! per gli 
indigeni. Xipe Totec era anche messo in relazione con le malattie degli oc¬ 
chi: non bisogna infatti dimenticare che ancora oggi esiste un gruppo di 
congiuntiviti chiamate primaverili, e che si nota una magglore incidenza di 
process! infiammatori agli occhi in questo periodo dell’anno. 

La malattia poteva comparire anche come conseguenza del giorno partico- 



larmente infausto nel quale e avvenuta la nascita dell’individuo. Come e 
risaputo, gli aztechi erano in possesso di un elaborate e precise calendario, 
Che scandiva lo scorrere del tempo In cicii di 52 anni ognuno. Questo ca¬ 
lendario, la cui manifestazione in pietra e giunta sino a noi con la magnifica 
scultura chiamata Rueda del Sol conservata nel Museo di Antropologia di 
Citta del Messico, e la risultante della combinazione di due divers! semi- 
calendari: il tonalpohualli - che consisteva in un anno composto da venti 
gruppi (chiamati segni) di tredici giorni (chiamate case) - e il toxiuh molpilia 
- il cui anno era calcolato sul cicio solare e era formate da diciotto mesi di 
venti giorni, piu cinque giorni considerati particolarmente infausti Ogni 
giorno, segno e casa rimanevano sotto gli auspici delle rispettive divinita. 
La combinazione di quest! due semi-calendari costituiva percib un cicio di 
52 anni in cui, per ogni giorno, una casa si combinava con un segno, dan- 
do luogo ad un esito che era sempre diverse da quelli che I’avevano prece- 
duto. Al termine di questo periodo riprendeva un nuovo cicio uguale a quel¬ 
le passato. 

Nella vita quotidiana del mexica ogni attimo rimaneva sotto il dominio degli 
Dei; ogni ora del giorno e della notte, ogni giorno della tredicina e ogni 
gruppo dei venti che compongono il tonalpohualli erano sottoposti al con- 
trollo delle rispettive divinity Le case, i segni e le divinita che li presiedeva- 
no potevano esercitare la loro influenza fausta o nefasta sugli individui, ac; 
centuando particolari inclinazioni e predisposizioni nei confront! di alcune 
patologie. Ben lontani dal possedere una visione fatalista dell’esistenza, gli 
aztechi erano convinti che ogni uomo fosse padrone del proprio destine, e 
che ogni individuo potesse agire nei confront! delle entita sovrannaturali 
per modificare la propria condizione. 

La trascendenza delle normal! condizioni dell’esistenza, se da un lato espo- 
neva I’individuo al rischio della malattia e della morte, dall’altro consentiva 
anche di acquisire delle forze particolari, permettendo all’individuo di inter¬ 
venire sul funzionamento del mondo da livelli sovrumani. Oltrepassare certi 
limit! - per esempio nel corso di ritual! di magia, nei moment! di estasi o con 
la morte -, poteva portare alia perdita della propria individualita per integra- 
re I’uomo ai process! cosmic! accedendo ad altre dimension! dell’universo. 
Percib se gli Dei e gli esseri sovrannaturali avevano la facolta di dispensare 
malattie, anche gli uomini, con diverse modalita piu o meno volontarie, po¬ 
tevano provocare malesseri. 

Le concezioni mexica in proposito presentano diverse analogie con le cre- 
denze europee della medesima epoca. In Europa come in Mesoamerica si 
credeva infatti che alcuni individui, in determinati moment! della loro vita o 
per dot! innate, fossero in possesso di un forte potere che esercitavano 
involontariamente su altri piu deboli. Un esempio in proposito e la credenza 
nel mal de ojo (il malocchio), che si considerava provocato dallo sguardo 
di persone particolarmente sovraccariche di energia. II mal de ojo si mani- 
festava in una fase iniziale con dei sintomi molto diversi, per culminare con 
un indebolimento generalizzato dell’organismo che portava alia morte della 
vittima. 

Altri individui, invece, si dedicavano intenzionalmente all’esercizio di prati- 
che magiche con lo scopo di produrre malefic!. Queste persone mostrava- 
no di possedere particolari poteri in seguito ad event! che li designavano 
nel loro destino. 


Panoramica della 
zona nella quale 
operano i 
graniceros. Sullo 
sfondo, 
circondato da 
nubi, si 
intravvede il 
vulcano 
Popocatepetl 



Ancora una volta il calendario svolgeva una funzione di rilievo, poiche colo- 
ro che nascevano sotto il segno ce quiahuiti (uno pioggia) erano creduti 
destinati ad apprendere le arti malefiche. Costoro venivano chiamati 
tlacatecolotl, ossia uomini-gufo, e si dedicavano pertutta la vita ad esegui- 
re malefici a richiesta. Molto temuti erano anche i teyollocuani, i mangiatori 
di cuori, che catturavano e divoravano il teyoh'a, una delle entita animiche 
della vittima. 

Secondo le credenze dei mexica, in termini generali e possibile distinguere 
due grandi gruppi di malattie: quelle in cui un essere o un oggetto estraneo 
viene introdotto magicamente nel corpo della persona - una pietruzza, una 
spina, un insetto o un’entita spirituals e quelle in cui il malato perde o 
vede diminuire qualcuna delle proprie entita animiche. Praticamente tutti i 
meccanismi d’azione dei piu diversi esseri sovrannaturali possono essere 
fatti rientrare in quests due categorie. 

Sfruttando le proprie conoscenze di tipo magico, il tlacatecolotl poteva in- 
trodurre nel corpo dell’individuo un oggetto che avrebbe pregiudicato la 
sua salute. Esistevano altresi degli specialist! che attraverso complicate pra- 
tiche malefiche erano in grado di produrre un distacco di una delle entita 
animiche dal corpo della vittima. 

Gli aztechi credevano che il corpo umano contenesse tre principi di tipo 
animico, il tonalli, il teyolla e il Ihiyotl, situati rispettivamente nel cervello, 
nel cuore e nel fegato. Quests tre entita potevano uscire dal corpo per cau¬ 
se accidental!, come un improvviso spavento, oppure in seguito al castigo 
divino, all’azione di uno stregone o all’intervento di una forza sovrannatura- 
le. La perdita di una delle entita animiche era considerata un evento parti- 
colarmente grave che richiedeva di essere prontamente diagnosticate, poi¬ 
che quando cid si verificava la persona soffriva debolezza e malesseri di 
varia intensity, sino a ritrovarsi completamente priva di forze in prossimita 
della morte. 

Nonostante i loro poteri, quest! specialist! del maleficio conducevano una 




vita povera e infelice, senza la pace che gli avrebbe consentito un normale 
focolare domestico. Nella loro pratica quotidiana erano costretti a contrat- 
tare continuamente il compenso per la loro prestazione, e spesso termina- 
vano i loro giorni giustiziati dalla vendetta del popolo. 

Un discorso a parte merita invece il nahualli, cioe colui che e in grado di 
mutare il proprio aspetto e di trasformarsi in un altro essere. La pratica in 
se non e una prerogativa umana: gli aztechi ritenevano che gli stessi Dei 
potessero assumere sembianze umane o animali. Sembra pero che nel cor- 
so del loro processo espansionistico, i mexica vennero in contatto con il 
popolo huasteco, che adorava il Grande Mago Nahualpilli, divinita del sape- 
re magico e della scienza occulta, e che venne accolto fra i loro Dei. Fra gli 
aztechi, Nahualpilli conserve i suoi attributi di Re della Magia e venne assi¬ 
milate a TIaloc, il vecchio dio-giaguaro principe della pioggia. II sacerdote 
preposto al suo culto, che si chiamava nahualli, o sacerdote giaguaro, con- 
divideva misticamente gli attributi di grande saggezza che caratterizzavano 
la divinita. 

Per estensione, venne chiamato nahualli (o nagual come venne denomina¬ 
te in seguito) ogni individuo particolarmente esperto nelle conoscenze di 
magia, e che attraverso questa potesse cambiare le proprie sembianze. II 
mago nagual poteva percio trasformare il proprio corpo in quello di un altro 
individuo, in animale - giaguaro, caimano, cane, pipistrello, gufo, tacchino, 
serpente -, in fuoco, fulmine, o addirittura scomparire completamente in 
caso di pericolo. Le caratteristiche straordinarie di questa saggia figura sono 
state descritte dai cronisti dell’epoca coloniale, sebbene venga messa in 
evidenza I’ambiguita del suo operate. Nel complesso la sua azione non era 
necessariamente di tipo malefico; il potere di tramutarsi in un essere diffe- 
rente poteva anche essere usato per scopi benefici, per esempio durante 
alcune pratiche di guarigione. 

Nelle descrizioni che ci sono state tramandate dai primi cronisti del XVI 
secolo, emerge una chiara divisione fra coloro che, facendo uso di proce- 
dimenti di tipo magico, si dedicavano a creare problemi e malattie, e quanti 
si occupavano della salvaguardia del benessere della propria comunitl Fra 
i secondi rientrava il ticiti, termine generico con il quale i mexica definivano 
la figura del medico, e tutti coloro che per predisposizione o per volere 
divino esercitavano la pratica di guaritore. 

II medico, comunemente chiamato ticiti, godeva di grande rispetto e era 
ovunque tenuto in grandissima considerazione. II ticiti era soprattutto un 
mago che interpretava e trattava la malattia come un segno inviato da forze 
sovrannaturali, e il suo intervento si presentava come una sintesi inestricabile 
di religione, magia e empirismo. Uomini e donne erano considerati 
egualmente adatti per praticare I'attivita medica, ma mentre per i primi I’at- 
tivita poteva iniziare con I’eta adulta, per le donne solitamente la pienezza 
delle facolta giungeva con il climaterio. 

Generalmente le conoscenze mediche venivano trasmesse direttamente dagli 
anziani ai giovani apprendisti, spesso appartenenti alia stessa famiglia o 
lignaggio. Molto importante era perd la determinazione dei segni sovranna¬ 
turali che Indicavano la predestinazione del future medico. Poichd il guaritore 
azteco era considerate come un tramite con le energie onnipotenti dell'uni- 
verso, prima di dare inizio aH’apprendistato del giovane I guaritori piu an¬ 
ziani esaminavano gli indizi sovrannaturali che lo indicavano come un 




Altare di un 

anziano 

granicero. 


prescelto dagli Dei. II segno di nascita, la conformazione di una parte del 
corpo Che si allontana dalla norma, un evento straordinario accaduto nel 
corso della vita del giovane, potevano essere interpretati come segnali di 
una chiamata delle divinitl 

All’interno della professione si distinguevano numerosi specialist, ognuno 
dei quali si occupava di un certa classe di disturbi oppure eccelleva in un 
determinate tipo di terapia. Fra quest il tetlacuicuiliani estraeva il male dal 
corpo del malato, il tetonalmacani era in grado di recuperare il tonal allon- 
tanatosi dal corpo del proprio paziente, il tepatiani conosceva le misteriose 
proprieta delle erbe, il teitzminqui praticava salassi, il teixpatiani si occupa¬ 
va dei disturbi degli occhi, il texoxotia utlizzava tecniche di tpo chirurgico, 
e molt altri ancora. 

Per stiare la propria diagnosi, il ticiti poteva ricorrere a metodi diversi, 
anche se il tne ultmo rimaneva sempre quello di individuare le cause so- 
vrannaturali della malattia. Solamente dopo avere identitcato la divinita of- 

fesa, 0 lo stregone responsa- 
bile della fattura, era possibile 
dare inizio al momento 
terapeutco vero e proprio. Fra 
i metodi piu usat vi erano I’in- 
terpretazione dei sogni o di 
partcolari presagi, la consul- 
tazione di amulet, dei grani di 
mais, la legatura e lo sciogli- 
mento dei nodi di alcune 
cordicelle, la cui lettura pote¬ 
va fare luce sulle motivazioni 
piu profonde del malessere. 
Spesso il medico-mago inge- 
riva sostanze che gli consen- 
tvano di compiere in spirito 
degli straordinari viaggi in di- 
mensioni ultraterrene, per in- 
contrare direttamente quelle 
entita spiritual! che gli avreb- 
bero rivelato le cause della 
malatta. Le tecniche per la 
modificazione dello state di 
coscienza erano molto varie e 
spaziavano dalla preghiera, 
nella quale si invocava I’inter- 
vento divino, all’assunzione di 
erbe e altre sostanze vegetal! 
psicoattive. Mediante I’inges- 
tone 0 I’inalazione rituale di 
quest! vegetal!, il medico 
mexica poteva ‘vedere’ e rice- 
vere informazioni da persone 
tsicamente lontane o da enti¬ 
ty sovrannaturali, conoscere il 










passato e pronosticare il future del proprio paziente. Un particolare tipo di 
guaritore, il pay/?/, cioe messaggero, era a disposizione di chiunque lo con- 
sultasse per rivelare cid che e abitualmente sconosciuto ai mortali. II payni 
dope avere ingerito delle erbe nel corso di un elaborate rituale, viaggiava in 
spirito al cospetto della divinita per sottoporgli le richieste del proprio pa¬ 
ziente. Una volta ottenuta risposta, faceva ritorno dall’individuo per offrirgli 
le tanto desiderate informazioni. 

Una delle piante sacramentali piu usate per questi fini era il tabacco (la 
Nicotiana rustica L, chiamatop/c/ef/, e laNicotiana tabacum L, o quauhyetl’, 
il loro composto veniva comunemente chiamatoyef/) il cui impiego era este- 
so anche ad altri rituali religiosi. Fra le popolazioni della Mesoamerica, come 
nella maggioranza delle culture di tutto il continente, il tabacco veniva usato 
per inalazione, fumando le foglie secche arrotolate o macinate e introdotte 
in canne. II fumo insplrato aveva anche proprieta terapeutiche, mentre quello 
espirato serviva alia fumigazione di ambienti per allontanare le forze male- 
fiche. Macinato e mischiato con calce poteva anche essere masticato e 
mantenuto in bocca per un certo periodo di tempo sino ad alleviare fame e 
fatica e, in casi estremi, produrre sensazioni di distacco dal corpo fisico. 
Wpeyotl, Wteonanacatl, ilp/p//fz/>7fz/>7f//e soprattutto yololiuhqui e Wtlitliltzin, 
erano gli altri vegetali dai forti effetti psicoattivi che gli aztechi utilizzavano 
piu frequentemente nelle loro divinazioni. Fra questi il peyotl, meglio cono; 
sciuto come peyote, e il teonanacatl, sono forse le sostanze enteogene del¬ 
la tradizione messicana piu studiate e sperimentate da ricercatori occiden- 
tali. Degli aspetti botanici, chimici e sugli usi del peyote si e anche parlato 
in maniera approfondita sul numero 5 di Altrove. II teonanacatl invece e 
stato portato alia ribalta dagli insegnamenti di Maria Sabina, la sciamana 
mazateca che ha rivelato al mondo occidentale I’uso dei funghi psicoattivi 
nelle pratiche tradizionali del suo popolo. 

Con il termine teonanacatl le antiche popolazioni nahuatl intendevano le 
diverse specie di funghi usati a fini terapeutici e divinatori. II nome deriva 
da Teotl, che significa Dio, enacatl, ossia came: letteralmente, quindi, ‘car- 
ne degli Dei\ Secondo Wasson (1966) il significato specifico della parola 
nanacatl, plurale di nacatl, e fungo. Come teonanacatl sono state identifi- 
cate a partire dagli anni '30 - grazie soprattutto alle ricerche dell’lng. Ro¬ 
berto J. Weitlaner, Gordon R. Wasson e Richard E. Schultes - numerose 
variety di funghi contenenti psilocibina e suoi derivati, fra i quali \oPsilocybe 
caerulescens Murril, il Panaeolus campanulatus L e la Stropharia cubensis 
Earle. 

Per quanto riguarda il pipiltzintzintli, sebbene il suo uso ci venga conferma- 
to dai diversi cronisti del periodo coloniale, non e stato possibile individua- 
re con certezza la specie botanica di appartenenza di questa pianta. Wasson 
propende per identificare il pipiltzintzintli con le hojas de la Pastora, oss\a 
la Salvia divinorum E. & J., ancora oggi usata dagli indios mazatechi dello 
Stato di Oaxaca, che bevono il liquido estratto dall’infusione delle foglie. 
[lololiuhqui, una Convolvulacea denominata Rivea corimbosa L, 6 forse la 
sostanza psicoattiva meglio conosciuta e piu usata nei nostri giorni fra gli 
indios di tutto il Messico. Per la precisione, in nahuatl il nome ololiuhqui 6 
riferito ai semi e non all'intera pianta. A differenza del teonanacatl, che cm- 
sce solo in determinati periodi dell’anno, la pianta trattiene i suoi semi a 
lungo; inoltre. una volta raccolti, possono essere conservati per parecchio 



tempo senza problem!. Tradizionalmente i semi di ololiuhqui vengono as- 
sunti dopo essere stati macinati e disciolti in acqua. 

II tiitliltzin viene spesso confuso con \'ololiuhqui per via delle similitudini 
nelle modalita di preparazione e di assunzione, oltre che per le analogie 
nelle proprieta magiche delle due sostanze attribuitegli dai primi osservato- 
ri spagnoli. Aguirre Beltran (1963) sostiene che il termine ololiuhqui, che 
porta con se I’idea di ‘cosa rotonda’, mal si addice ai semi di Ipomoea 
violacea L. i quali, presentandosi allungati e vagamente angolari, potrebbe- 
ro essere il tanto declamato tiitliltzin. II suo uso e stato documentato anche 
in tempi recent! fra i curanderos nelle comunita zapoteche dello Stato di 
Oaxaca. 

Queste piante misteriose erano, in una visione di tipo mistico, non solo il 
ricettacolo di forze sovrumane, bensi la stessa personificazione di esseri 
divini dotati di poteri straordinari. Veniva cosi a stabilirsi una identita fra il 
vegetale e la pianta: la pianta era Dio. La sua ingestione assumeva percid 
I’aspetto di un atto di cannibalismo rituale nel quale il medico-divinatore si 
trasformava, temporaneamente, nella divinita assorbita. Incorporando la 
divinita dentro di se, il medico mexica acquisiva le caratteristiche di poten- 
za e onniscienza dello stesso Dio. Ma il fatto di mangiare Dio era un gesto 
estremamente pericoloso e impregnate di rischi; solo un individuo iniziato 
ai mister! della divinita poteva sopportare dentro di se la presenza di una 
tale forza ultraterrena. 

L’elevato livello di complessita raggiunto dalla civilta mexica nel campo del¬ 
le conoscenze mediche era dovuto al lavoro costante dei suoi medici-sa- 
cerdoti che seppero conservare e ampliare un sapere ereditato dai loro pre¬ 
decessor!. La profondita nella visione dei problem! legati alia salute, nella 
classificazione delle cause di malattia e nel loro trattamento, rappresenta 
una conferma della preparazione e della competenza dei numerosi guaritori 
che lavoravano nella societa azteca. 

Con la conquista spagnola e la conseguente disgregazione dell’impero 
azteco, vennero introdotte in Messico nuove tecniche e conoscenze di tipo 
medico. Anche la forte repressione messa in atto dal Tribunale dell’lnquisi- 
zione nei confront! di coloro che esercitavano pratiche ‘ispirate dal demo¬ 
nic’, contribui a modificare il sapere medico tradizionale, senza pero riusci- 
re ad intaccare le sue radici ancestral!. 

Eredi della cultura greco-romana, intrisa di influenza arabe e giudee, gli 
spagnoli definivano se stessi gente de razon. La medicina che portarono 
con se, basata sulla tradizione galenica e sulla pesante eredita religiosa del 
Medio Evo, possedeva tutti gli element! razionalisti del pensiero scientifico 
dell’epoca. Questa medicina accademica pero, nonostante fosse essa stessa 
impregnata di element! emotivi e religiosi, si limito a soddisfare i bisogni 
del gruppo dominante, I’alto clero e i governanti spagnoli, e a svolgere una 
funzione di modello per le correnti mediche alternative. Infatti gran parte 
dei primi immigrati, persone di modesta estrazione sociale, per i loro pro¬ 
blem! di salute ricorrevano alle pratiche della tradizione popolare dell’occi- 
dente europeo. 

Come e note nell’Europa del 1500 I’attivita terapeutica era svolta, oltre che 
dai pochi medici di formazione accademica, da numerose figure non bene 
definite che avevano appreso alcune tecniche curative attraverso il contatto 
diretto con altri guaritori. Basti ricordare che all’epoca le estrazioni denta- 



rie, i salassi e alcune rudimentali operazioni chirurgiche venivano eseguite 
dai barbieri. I farmaci piu utiiizzati erano anche in Europa le piante medici- 
nali, prescritte da erboristi legati alia tradizione contadina, che spesso si 
prodigavano anche nella cura dei disturbi provocati da fatture, malocchio, 
invidia, e altre cause di tipo magico. Questa medicina popolare, nella quale 
i procedimenti scientific! e empiric! si mischiavano con preghiere e 
esorcismi, presentava numerose similitudini con la tradizione indigene, e si 
diffuse con una certa facilita nel Paese. 


Don Alejo, un 
granicero, alia 
grotta de las 
cruces in una 
cerimonia 
celebrata negli 
anni ‘60 
(foto di Alfonso 
Munoz). 


La confluenza di quest! divers! orientamenti nelle concezioni di salute e ma- 
lattia, nella diagnosi e nella terapia, e la formazione di un nuovo gruppo 
sociale nato dall’incontro delle due razze, i mestizos, porto alia comparsa 
di un diverse approccio medico chiamato medicina tradicional. Combattuto 
fra I’atteggiamento razionalista della culture occidentale e I’approccio natu- 
ralista della culture indigene, il meticcio si trovo a dover ricercare un nuovo 
equilibrio di valori. II padre spagnolo lo considerava gente de razdn e lo 
avvicinava alia propria visione razionalista del mondo; la madre India, lo 
attraeva nel proprio universe magico retto dall’unita indivisibile fra uomini e 
cosmo. In questo processo sincretico il medico-sacerdote indigene scom- 
parve per lasciare posto ad una nuova figure di guaritore meglio tollerata 
dal potere spagnolo: il curandero. 

La medicina popolare oggi 

Come erede delle due principal! tradizioni cultural!, il curandero, sia uomo 
che donna, divenne portavoce di questa nuova medicina tradicional, che 
meglio si adattava ai bisogni del nuovo gruppo meticcio. Sin dalle origin!, il 
curandero era consapevole della situazione conflittuale che si stava viven- 
do, e era chiamato in prime persona a correre dei rischi. Per questo le pra- 
tiche della nuova tradizione medica si presentarono da subito molto adattabili 
alle esigenze delle diverse comunita local!, e nel 
corso del tempo questa medicina si arricchi di 
nuovi contributi apportati da gruppi stranieri o da 
nuove tendenze cultural!. Fra quest!, particolar- 
mente importante fu I’arrivo degli schiavi neri de- 
portati dall’Africa durante il periodo coloniale. Le 
conoscenze e le pratiche mediche che essi por- 
tarono con s6 entrarono a loro volta nel bagaglio 
di tecniche del curandero. 

In tempi piu recent! i gruppi di impostazione 
spiritualista, le filosofie e le religion! oriental! han- 
no a loro volta arricchito il panorama della medi¬ 
cina tradizionale in Messico. Ancora oggi il 
curandero raccoglie in s6 un sapere che gli viene 
trasmesso da altri guaritori della sua comunita e 
che. come lui, lavorano e hanno sempre lavorato 
per la salute del proprio popolo. 

Indio 0 meticcio, assorbe le sue conoscenze da 
fonti diverse, e sebbene in lui predomini I’antica 
sapienza mexica, non disprezza gli apporti della 





28 


magia e della scienza occidental!. Per questo, anche se in termini general! e 
possibile parlare di una medicina tradicional, occorre chiarire che essa si 
presenta in una molteplice varieta di forme e espressioni. 

Per via di questa specializzazione, i curanderos spesso si raggruppano in 
organizzazioni, chiese, confraternite, associazioni, con una denominazione 
che li identifica. Dove invece non esistono istituzioni di questo genere, il 
curandero viene comunque individuato da un nome che ne specifica le com- 
petenze. Cosi e possibile incontrare dei curanderos espiritistas - che prati- 
cano riti di tipo medianico espiritualistas - raggruppati in vere e proprie 
chiese, realizzano interventi terapeutici di tipo spirituale yerberos - che 
prescrivono cure a base di erbe -,hueseros - cioe coloro che ricompongono 
fratture parteras - le levatrici tradizionali brujos - che si dedicano ad 
opere di stregoneria e cosi via. Ogni curandero e quindi in possesso di un 
proprio sapere medico, che pud essere prevalentemente di tipo empirico - 
come nel caso degli yerberos, degli hueseros, delle parteras -, o di tipo 
magico - come per gli espiritualistas, gli espiritistas e i brujos -, anche se 
spesso i due livelli sono compresenti nei process! curativi di OQn\curandero. 

In genere quest! guaritori sono delle persone estremamente religiose; la 
quasi totalita di essi si dichiara cattolica e partecipa alle attivita parrocchiali 
del proprio villaggio, anche se la loro interpretazione del cristianesimo non 
contraddice quanto ancora oggi rimane della tradizione religiosa mexica. 
Proprio per questa spiccata devozione, nella sua pratica il curandero fa af- 
fidamento sulla fede in Dio, un Dio che non esclude la presenza nel mondo 
sovrannaturale di una molteplicita di spirit! di eredita preispanica. Per molti 
di loro i poteri curativi fanno la loro comparsa dopo avere ricevuto dei se- 
gnali di origine sovrannaturale, prova di predestinazione all’attivita di 
guaritore e dimostrazione che il potere di curare viene conferito direttamen- 
te da Dio, da un santo o da altre entita sovrannaturali. 

La sua religiosita viene comprovata anche da una condotta di vita modesta, 
che non prevede particolari eccessi, poiche un’esistenza dissolute porte- 
rebbe alia perdita dei propri poteri. II curandero e sempre un individuo ben 
conosciuto, temuto e rispettato dalla gente del villaggio.il compito che e 
chiamato a svolgere lo porta ad essere una persona ben inserita nella pro¬ 
pria comunita. A volte pero pub accadere che, quando questa sua partico- 
lare sensibilita viene gestita in maniera inopportune, possa essere consi¬ 
derate un brujo, o addirittura pazzo, e quindi evitato o relegate ai margin! 
della societa. Cib nonostante la personalita del curandero non e anormale: 
situate in questa zona di confine fra la salute e la malattia, fra il mondo 
terrene e quello spirituale, possiede caratteristiche di adattabilita che gli 
consentono di vivere e operare all’interno della societa. 

Fondamentalmente il curandero pub accedere al sapere medico tradiziona- 
le attraverso due ben distinte modalita: la trasmissione da ‘esperto’ ad ‘ap- 
prendista’ e la rivelazione di tipo onirico o sovrannaturale. Ciascuna di que- 
ste modalita pub escludere o coesistere con I’altra; il mode con cui una 
persona acquisisce certe conoscenze dipende dalla propria sensibility, ol- 
tre che dal contesto familiare e tradizionale. 

Solitamente il curandero riceve i propri pazienti nella propria abitazione, 
dalla quale si allontana solamente per recarsi in campagna a lavorare. op- 
pure in un tempio come nel caso dei gruppi espiritualistas. All’interno della 




Don Alejo, 
accanto all’altare 
Che ha allestito 
nella propria 
abitazione. 



propria casa, ogni curandero possiede uno spazio allestito appositamente 
per accogliere i propri pazienti. Queste stanze, spesso ricavate in case di 
estrema poverta, colpiscono il visitatore per la quantita di oggetti religiosi 
Che vi contengono. Statue e immagini di Cristo e della Vergine, croci di 
diverse tipo e misura, can'dele e altri oggetti sacri di origine preispanica 
sono disposti sopra ad un piccolo altare, un tavolino situate in un angolo 
della stanza. L’atmosfera di religiosa solennita che si crea nel locale fa di- 
menticare la poverta del quartiere o della casa nella quale ci si trova. L’am- 
biente cosi carico di sacralita evoca nel paziente una sensazione di prote- 
zione e sicurezza. L’individuo pud cosi abbandonarsi all’iniziativa del 
curandero senza temere di subire del male. Naturalmente nei casi partico- 
lari, come pud esserlo una situazione d’emergenza, il curandero si reca 
personalmente sul luogo in cui si trova il malato. 

L’atteggiamento che il curandero assume con i propri pazienti e legato al 
proprio carattere, alle proprie caratteristiche umane. Alcuni comunicano fer- 
mezza e decisione, altri dolcezza, altri ancora aggressivita oppure compas- 
sione per i problemi del paziente e della sua famiglia. Nel corso della seduta 
terapeutica, II guaritore entra In una relazione molto profonda con i pazienti, 
che di solito appartengono al proprio villaggio o ad uno dei pueblos circo- 
stanti. Frequentemente I’intera famiglia del malato collabora al processo 
terapeutico, contribulsce all'acquisto di candele per I’altare del curandero e 







partecipa agli incontri con il guaritore. Con loro parla del problem! quotidia- 
ni, delle difficolta della vita di ogni giorno, e ascolta con estrema pazienza i 
particolari di ogni situazione. Al termine del colloquio stila una sua diagno- 
si, da dei consigli su come modificare una situazione problematica, e inter- 
viene con le tecniche di sua competenza. Qualora esistano dei dubbi sulle 
cause di un malessere o sulla sua gravita, il curandero pub anche ricorrere 
a quelle tecniche diagnostiche, ereditate dai suoi antenati indigeni, che pre- 
vedono I’assunzione di piante psicoattive per modificare il proprio stato di 
coscienza e consentirgli di ‘vedere’ la malattia e le sue cause. 

Sebbene cib venga ammesso con parecchie difficolta pertimore di incorre- 
re in problemi con le autorita di polizia, molti curanderos riconoscono di 
utilizzare nei loro rituali alcune piante, che appartengono alia tradizione 
preispanica e il cui consume e oggi proibito dalle leggi del Paese. L’uso di 
funghi psilocibinici, del peyote e dell’ololiuhqui per scopi religiosi e tera- 
peutici e comunque documentato presso numerosi gruppi indigeni e metic- 
ci contemporanei, come gli huicholes, i tarahumara, \ mazatechi, gli 
zapotechi, ecc. Anche oggi, come avveniva nell’antichita, queste sacre so- 
stanze consentono al curandero di entrare in contatto con le forze sovran- 
naturali che svelano le cause della malattia e il loro superamento. 

Una volta individuata la malattia, il paziente viene sottoposto ad un inter- 
vento terapeutico che dipende in primo luogo dalla tradizione alia quale fa 
riferimento il curandero e dal tipo di disturbo che e stato individuate. Inol- 
tre, non bisogna dimenticare che ogni guaritore sviluppa con I’esperienza 
delle proprie tecniche curative. Alcuni curanderos curano esclusivamente 
con erbe, o con massaggi, altri mettono in atto delle rappresentazioni che 
riflettono una visione di tipo magico della terapia. 

In genere I’intervento si apre con la recita di preghiere e un’offerta 
propiziatoria di fieri e candele agli spiriti perche aiutino il guaritore e il suo 
paziente. Poi il curandero compie dei gesti particolari sul corpo del malato 
avvicinando le proprie mani e soffiando sulla parte sofferente. 

Altre volte il paziente, in piedi o sdraiato, viene limpiado, ossia strofinato 
con un mazzo di erbe, oppure con due uova, con una croce o con altri 
oggetti sacri. Di tanto in tanto il curandero spruzza dell’acqua benedetta o 
dell’alcol sul malato. Questo procedimento viene chiamato limpia perchb 
ha il compito di esercitare una sorta di pulizia delle cattive energie che ri- 
siedono nel corpo. 

In definitiva, nonostante i mutamenti politic! e social! intervenuti con la con- 
quista spagnola e con la successiva indipendenza, il sistema medico dei 
popoli indigeni e ancora alia base di quella particolare visione della malattia 
e della terapia che contraddistingue il sapere di ogni curandero messicano 
dei nostri giorni. Ancora oggi i numerosi curanderos che continuano a rea- 
lizzare nella loro pratica quotidiana quegli insegnamenti che hanno eredita- 
to di generazione in generazione, rivivono giorno dopo giorno i miti che li 
legano alle loro origin! e rinsaldano I’identita culturale del popolo messicano. 


I graniceros dello Stato di Morelos 

Nel corso della mia ricerca sul campo, una serie di circostanze casual! mi 
portb ad occuparmi di un particolare gruppo di guaritori, che si distinguo- 
no nel vasto panorama della medicina tradizionale in Messico per le loro 



caratteristiche decisamente particolari. Infatti questi curanderos, oltre a de- 
dicarsi alia cura di alcuni disturb! psicofisici, sono ritenuti capaci di con- 
trollare gli elementi atmosferici, e quindi di chiamare o allontanare nubi e 
pioggia. Gli appartenenti a questo gruppo vengono comunemente chiamati 
con il termine spagnolo gramceros, o in nahuatl, lingua degli antichi aztechi, 
quiapequi, e anche con la definizione che loro stessi si danno: “los que 
trabajan con el tiempo", ossia coloro che lavorano con il tempo. 

I graniceros sono dei curanderos, organizzati in corporazioni ognuna delle 
quali fa riferimento ad un suo luogo sacro, una grotta, da essi chiamata 
tempio (tempio). II gruppo e molto ristretto e i suoi component! si differen- 
ziano da altri guaritori per essere stati scelti 'desde Arriba', cioe dall’Alto. 
Solamente coloro che vengono colpiti dal fulmine e vi sopravvivono, otte- 
nendo particolari rivelazioni di tipo spirituale e poteri magici, sono chiamati 
a far parte dell’istituzione. Un rifiuto del predestinate lo condannerebbe a 
soffrire per sempre le dolorose conseguenze del fulmine, sino a quando 
non sopraggiunga la morte. 

Tutti i graniceros da me avvicinati affermavano con decisione di avere in- 
trapreso questo cammino non a seguito di una loro iniziativa, ma come 
conseguenza di una chiamata da parte degli spirit!. Questi spirit! sono da 
loro chiamati trabajadores temporalenos, ossia lavoratori del/col tempo', 
presentatisi attraverso il fulmine. L’essere colpiti dal fulmine e segno di ele^ 
zione; chi vi sopravvive dovra collaborare con queste forze operando nel 
mondo degli esseri umani, chi muore svolgera la propria attivita fra gli spi¬ 
rit! del tempo. 

La designazione del prescelto da parte di entita sovrannaturali e uno dei 
tratti ricorrenti in diverse tradizioni sciamaniche di tutto il mondo. Malfor- 
mazioni, malattie, segni di sofferenza psicologica, vision!, incident!, sono 
segnali di ‘elezione’ da parte delle divinita. Fra questi segni, si ritrova con 
una certa ricorrenza presso svariate popolazioni la designazione attraverso 


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il fulmine. La folgore, cadendo dal cielo, rappresenta il contatto piu imme- 
diato con le divinita celesti. Nel suo incomparabile lavoro, Eliade (1951) 
cita il caso degli antichi Buriati, dei Camciadali e dei Soyoti della Siberia, 
degli Iglulik delle zone artiche, dei Nubiani del Sudan e di alcune tribu India¬ 
na del Nord America, dove lo sciamano viene designate attraverso il fulmi¬ 
ne. A queste tradizioni sciamaniche, per quanto concerne i metodi di ele- 
zione del future sciamano, possiamo senza dubbio accomunare quella dei 
graniceros. 

Sebbene i graniceros siano stati una vera e propria istituzione nel panora¬ 
ma culturale del Messico, non e mai stata svolta una ricerca approfondita 
nei loro confront!. La loro tradizione ha origin! antichissime, preispaniche. 

I primi cronisti del periodo coloniale gia ci parlano di maghi che controllano 
I’andamento delle nubi, di stregoni che scagliano fulmini e grandine, di sa- 
cerdoti che venerano le divinita della pioggia. Cid nonostante, gli unici studi 
specific! degni di essere menzionati sono quelli effettuati da Roberto 
Weitlaner negli anni ’30, e quelli di Guillermo Bonfil Batalla, realizzati nel 
1967-68. 

Attualmente la presenza dei graniceros e documentata nella zona setten- 
trionale dello State di Morelos, al confine con il Distretto Federale e lo State 
di Mexico, nei villaggi ai piedi dei cerros che vanno da Cuernavaca, Tepoztian, 
sino alle pendici del Popocatepetl e deH’lztaccihuatl. La popolazione che vi 
abita e mestiza di lingua spagnola; solo pochi abitanti conoscono il nahuatl 
mentre la maggior parte ne conosce solamente qualche parola. L’economia 
della regione, chiamata Altos de Morelos, e basata essenzialmente suH’agri- 
coltura, nonostante le difficolta che derivano dalla mancanza di una rete di 
irrigazione dei campi. Non esistono fiumi ne sorgenti nella zona, per cui 
I’acqua necessaria alle coltivazioni e dispensata dalla pioggia. Inoltre si av- 
vertono gravi difficolta anche neH’approvvigionamento idrico degli abitanti 
(I’unico pozzo di una certa importanza si trova nel municipio di Tlayacapan), 
e la distribuzione di acqua alle abitazioni e limitata a poche ore la settimana. 
Le attivita di competenza dei graniceros si raggruppano in due distinti cam- 
pi d’azione: il controllo della pioggia e dei fenomeni atmosferici, e la cura 
delle malattie che ad essi sono simbolicamente correlate. Come ‘maghi della 
pioggia’ sono chiamati a proteggere i campi dalla grandine e a invocare 
I’acqua durante i period! di siccitl Come curanderos sono specialist! nella 
cura dei disturb! causati da aires, una sorta di aria, di soffio non sempre 
direttamente percepibile ma portatore di malanni. Nella tradizione popolare 
\'aire e un ‘vento’ che segnala la presenza di alcuni spirit!, ma pud anche 
essere inviato da un brujo che desidera causare un maleficio. Un aire pud 
catturare e spingere lontano la sombra (ombra) di una persona, una delle 
principal! entita animiche che ciascuno possiede dentro di sd. 

Quando un individuo perde la propria sombra sente mancare la necessaria 
forza Vitale e si indebolisce sempre piu. Grazie alio stretto rapporto che 
mantengono con gli ‘spirit! del tempo’, i graniceros sono in grado, attra¬ 
verso degli elaborati rituali, di andare alia ricerca della sombra del proprio 
paziente e di restituirla al legittimo proprietarlo. Le tecniche a loro disposi- 
zione per diagnosticare un aire sono svariate, ma d comune I’usanza di 
desumere la malattia attraverso I’osservazione del contenuto di due uova 
che sono state preventivamente strofinate sul corpo del malato. Molto pra- 
ticata a scopi diagnostic!, soprattutto nei tempi passati, era I’interpretazio- 



ne dei sogni, e il dialogo con gli spiriti indotto da funghi psilocibinici e 
dall’ololiuhqui. La terapia si basa soprattutto su limpias, che consistono 
nello strofinamento di particolari oggetti sul corpo del paziente per assor- 
birne il male, oltre che su altri rituali piu complessi e elaborati. 

II viaggio iniziatico di Don Luis 

Nel corso delle mie peregrinazioni nei villaggi de los Altos de Morelos, in- 
contrai un anziano granicero, che per convenzione chiamo don Luis, con 
cui ebbi un colloquio estremamente interessante. II curandero, molto noto 
in tutto lo Stato per i suoi poteri, riconobbe di essere uno degli ultimi espo- 
nenti di una antichissima tradizione, condivisa ormai da pochi altri rappre- 
sentanti. Durante la nostra chiacchierata, don Luis accenno ai poteri che gli 
vennero concessi in dono. Senza eccessiva vanagloria, affermb testual- 
mente che “a/ giorno d’oggi pochissimi so no in grado di controllare gli 
element! atmosfericr, tanto che “non esiste piu nessuno che sappia come 
si‘spara’un fulmine”\ 

Don Luis sostenne con decisione che ogni conoscenza da lui appresa gli 
era stata trasmessa da entita spiritual, e di non avere mai avuto alcun mae¬ 
stro ‘umano’. Cio che lui conosceva gli era stato insegnato dagli spiriti, per 
poter aiutare la sua gente; percio dovette viaggiare per tre anni con i 
trabajadores del tiempo. Ma procediamo con ordine riassumendo il suo 
racconto, nel quale narra I’esperienza iniziatica da lui vissuta dopo essere 
stato colpito dal fulmine. 

Un giorno di parecchi anni or sono, don Luis si trovava, come di consueto, 
sui monti a pascolare il suo bestiame. Erano le prime ore del pomeriggio 
quando, aH’improvviso, vide una palla luminosa e colorata che si avvicina- 
va cadendo dal cielo a velocita vertiginosa. La sensazione che ebbe in quel 
momento era cosi piacevole che non si preoccupo di quanto stava acca- 
dendo, anzi allungo le braccia verso quella palla luminosa. Ad un tratto perb 
tutto divenne nero, e perse conoscenza. Si risveglid dopo alcune ore con 
una fame tremenda, notb I’erba bruciata attorno a se e si rese conto di 
essere stato colpito dal fulmine. In quel momento fu assalito da una paura 
terribile di poter essere colpito di nuovo, ma siccome c’era un sole bellissi- 
mo per riprendersi rimase seduto qualche minuto su una pietra. 

Poi torno al villaggio e non appena entro in casa, sua moglie gli chiese dove 
era stato, tanto forte era la puzza di bruciato. Poichd la donna era incinta, 
don Luis non le disse nulla per non spaventarla. Quel giorno egli mangio 
abbondantemente, ma da quel momento stette molto male, la fame scom- 
parve e rimase due settimane senza toccare cibo. Divenne cost debole da 
non riuscire piu a camminare, e da allora, per tre anni, non fu piu in grado 
dialzarsi dalletto. Lo portarono da diversi medici ma nessuno seppe come 
curarlo. II suo stato di salute sembrava non dovesse piu migliorare. 

In quel periodo, mentre si trovava immobile nel letto, don Luis ricevette la 
visita di alcune entita spiritual, che lo chiamavano e gli chiedevano di se- 
guirli Allora disse ai suoi parenti che non voleva essere piu disturbato. 
perchb se il corpo stava soffrendo il suo spirito si era risvegliato, e era 
partito per un viaggio. Quel viaggio che fece con gli spiriti del tempo sareb- 
be durato tre anni. 


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(n. 2 vol.) 


Durante quei tre anni in cui rimase disteso sul suo letto, mangiando lo stretto 
necessario per mantenersi in vita, il suo spirito imparo a lavorare con il 
tempo. II primo anno lo trascorse viaggiando fra le nubi, volando sopra 
terre lontane, e imparo a governare fulmini e temporali. Dalle sue mani ve- 
deva uscire dei raggi luminosi che comandavano la direzione dei fulmini. 
Nel secondo anno lavoro sulla terra, imparando a riconoscere le proprieta 
delle erbe e delle piante commestibili, i loro semi, e la loro coltivazione. 

II terzo anno venne portato a conoscere tutti i lavoratori del tempo e le en- 
tita spiritual! che li guidano. 

Alla fine del terzo anno avvenne un fatto estremamente importante: I’incon- 
tro con tutti gli spirit! delle persone che lavorano con il tempo, e con le loro 
guide. Durante uno dei suoi viaggi in spirito giunse in una valle molto am- 
pia, nella quale si trovavano riuniti tutti i lavoratori del tempo e le guide 
spiritual!. II panorama era stupendo e le montagne erano molto affollate per 
la presenza di una molteplicita di esseri. In mezzo alia valle stava, seduto su 
una roccia, il ‘pastore di tutti i pastori\ con una lunga barba bianca e un 
bastone sulle ginocchia. Don Luis proveniva dal fondo della valle, ma quan- 
do il 'gregge' si accorse della sua presenza tutti quanti si fecero da parte 
per lasciarlo passare. 

Una volta giunto al cospetto del supremo pastore, quest! lo guardo profon- 
damente negli occhi e gli diede il benvenuto, ricordandogli che si trovava in 
quel luogo grazie alia volonta di Dio. Poi gli chiese se davvero voleva per- 
correre il cammino sino in fondo. Egli rispose di si. 

Allora il supremo pastore gli indico un sentiero, e gli disse di ritornare dopo 
averlo percorso per intero. Cosi riprese il suo viaggio, sino a giungere in 
una piccola valle con una montagna sul fondo che sbarrava il cammino. 

Al termine del sentiero stava una croce con Cristo che lo osservava; Gesu 
sembrava unito ai legni dalla sua propria volonta perche non c’era- 
no chiodi che lo mantenevano appeso. Ad un lato c’erano tre 
grand! casse molto ben chiuse e una persona che le vigilava. 

Don Luis si avvicino alia prima, e colui che la sorvegliava 
chiese se voleva vedere cosa conteneva. Egli rispose in 
maniera affermativa e allora il custode apri la prima area. 

Dentro e’era un’acqua cristallina che scorreva tranquil- 
lamente. Uno spruzzo lo raggiun- 
se in volto e alcune gocce gli ba- 
gnarono la fronte. Don Luis com- 
prese che si trattava del li- 
quido del bene. 

Anche la seconda 
venne aperta; q 
conteneva un liquidotor 
bido, color cenere, che 
formava mulinelli e 
gettava schizzi con- 
tro le pareti. 
in questa occasio- 
ne alcune gocce 
gli caddero sul 
viso. A quel pun- 








to il guardiano delle arche chiese se era certo di voler aprire anche I’ultima 
delle tre, avvisandolo che avrebbe dovuto assistere ad uno spettacolo terri- 
ficante. Decise allora di aprire anche la terza e ultima cassa e, non appena 
il guardiano sciolse la chiusura, un violento mulinello scaglib per aria il 
coperchio. Egli riusci a gettare uno sguardo sul fondo, ma dovette ritrarsi 
immediatamente. Dentro vivevano animali orribili. Serpent! e altri rettili mo- 
struosi si muovevano in un liquido denso e oscuro compiendo baizi in su- 
perficie, tentando di morderlo con le loro bocche velenose. A quel punto 
don Luis si rese conto che la ricerca si era conclusa e decise di ritornare 
dal ‘pastore di tutti i pastor!’. 

Si avvio lungo il sentiero che aveva gia percorso all’andata e ritrovb il su¬ 
premo pastore nel luogo in cui I’aveva lasciato. Ancora una volta egli lo 
accolse con un benvenuto, lo chiamo a se e gli disse che tutto quanto a cui 
aveva assistito era stato possibile grazie alia sua intercessione. Per questo 
ora gli chiedeva di rispettare la sua volonta: ritornare al suo luogo d’origine 
e accogliere ogni essere umano, per aiutarlo ad orientarsi verso la luce 
dello spirito. 

Nell’ascoltare questa richiesta don Luis disse di provare un grande sgo- 
mento; come poteva ritornare nell’inferno terrestre dopo avere vissuto nella 
gloria dello spirito per tre lunghi anni? Nonostante il disgusto accetto la 
missione, chiedendo in cambio di potere contare sulla sua presenza duran- • 
te il lavoro che lo attendeva sulla terra. II supremo pastore annul, dicendo 
che da ora in poi avrebbe avuto il suo aiuto e quello di altre forze apparte- 
nenti al mondo spirituale. Ritorno, quindi, a questo mondo, e a poco a poco 
si riprese fisicamente attraverso la vita nei campi, lavorando la terra e rac- 
cogliendo le erbe che gli venivano indicate dagli aiutanti spiritual!. Inizio 
cosi a curare le persone malate, e a proteggere i campi allontanando la 
grandine e dirigendo i fulmini con le sue mani. 

Conclusione 

Addentrarci in interpretazioni di tipo mitologico o psicoanalitico del raccon- 
to di don Luis ci porterebbe trpppo lontano. Potremmo riconoscere nel sim- 
bolismo della narrazione deli’anziano granicero I’espressione ora dell’in- 
conscio culturale, ora dell’inconscio collettivo. La storia e estremamente 
ricca di simboli, e possiede una struttura iniziatica molto marcata. 

Restera comunque per sempre ignota la conoscenza delle condizioni 
psicofisiche di don Luis durante quegli anni, e neppure possiamo oggi ipo- 
tizzare una definizione dello stato (o meglio degli stati) di coscienza da lui 
sperimentati. Indipendentemente da tutto cio, il racconto di don Luis risulta 
sicuramente avvincente e emozionante. Per questo, personalmente mi sono 
sempre avvicinato con il dovuto rispetto a quella softerta esperienza, e ai 
suoi contenuti. che hanno cambiato la vita di un uomo e della comunita alia 
quale b appartenuto. 

Durante quel periodo di ricerca sul campo raccolsi altre testimonianze da 
graniceros della stessa zona appartenenti ad altre congregazioni. Devo ri¬ 
conoscere che nessuna di queste testimonianze mi apparve cosi toccante 
e COSI dettagliata come quella di don Luis. 


A fianco: 
cerimonia alia 
grotta de las 
cruces: dona 
Santa abbellisce 
con tiori 
e candele una 
delle croci. 

TORQUEMADA 
FRAY JUAN DE. 
Monarquia 
Indiana, 
Instituto de 
Investigaciones 
Histdricas, 
Universidad 
Nacional 
Autbnoma de 
Mexico, Mexico, 
1975, (n. 7 vol.). 



35 


VIESCA T. 
CARLOS. 
Medicina 
prehisp^nica de 
Mexico. El 
conocimiento 
medico de 
los nahuas, 
Panorama, 
Mexico, 1986. 

WASSON 
GORDON R., 
Ololiuhqui and 
the Other 
Hallucinogens of 
M6xico, in: 

Summa 
Anthropologica 
en homenaje a 
Roberto J. 
Weitlaner, 
Instituto Nacional 
de Antropologia 
e Historia. 
MEXICO. 1966, 
pp 329-348 



Test! riguardanti 
I graniceros: 

BAYTELMAN 
BERNARDO, De 
enfermos y 
curanderos. 
Medicina 
tradicional en 
Morelos, 

Institute Nacional 
de Antropologia 
e Historia, 
Mexico, 1986. 

BONFIL BATALLA 
GUILLERMO, “Los 
que trabajan con 
el tiempo, in: 
Anales de 
Antropologia”, 
Vol. V, 



36 

Institute de 
Investigaciones 
Historicas, 
Universidad 
Nacional 
Autonoma de 
Mexico, Mexico, 
1968, pp.99- 
128. 

COOK DE 

LEONARD 

CARMEN, 

“Roberto 

Weitlaner y los 

Graniceros", in: 

Summa 

Anthropologica 
en homenaje a 
Roberto J. 
Weitlaner, 

Institute Nacional 
de Antropologia 
e Historia. 

M6xico, 1966, 
pp. 291-298. 

COOK DE 
LEONARD 
CARMEN. 


Nonostante cio, le analogie che riscontrai fra i diversi racconti erano tanto 
forti da non potere passare inosservate. In particolare: 

- tutti \ graniceros con i quali entrai in relazione hanno affermato di avere 
avuto contatti con entita spirituali, spesso descritte con sembianze simili, 
legate al mondo degli elementi atmosferici, dopo essere rimasti folgorati - 
ciascuno di loro ha confermato che queste entita spirituali hanno chiesto 
una collaborazione nella gestione'degli elementi atmosferici, offrendo in 
cambio alcuni poteri di tipo straordinario, legati alia capacita di curare e di 
controllare gli elementi atmosferici. 

- tutti hanno sostenuto di essere guariti dalle ustioni e dagli altri effetti del 
fulmine dopo avere accettato la missione, e di avere ottenuto i poteri a loro 
promessi. 

Sorprende la somiglianza dei vissuti e dei contenuti dell’esperienza visio- 
naria. La domanda nasce spontanea: quali possono essere i motivi di que¬ 
ste somiglianze? Personalmente confesso di non essere in grado di fornire 
una risposta certa. E perd possibile avanzare alcune ipotesi; fra queste, 
due in particolare mi sembrarono degne di attenzione: 

a) E evidente che la folgorazione produca delle modificazioni biochimiche 
nel corpo umano. Questo cambiamento dello state biochimico potrebbe in- 
fluenzare nello stesso modo I’attivita cerebrale dei diversi soggetti, con una 
conseguente produzione di contenuti visionari somiglianti. Praticamente av- 
verrebbe qualcosa di simile a quanto accade durante il consume di sostan- 
ze psicoattive, dove e stata riscontrata una somiglianza negli effetti visionari 
che sperimentano soggetti, anche appartenenti a contesti culturali diversi, 
sotto I’effetto della stessa sostanza (p.es. e stata documentata la ricorrenza 
delle vision! di serpent! e giaguari in chi assume ayahuasca, piccoli uomini 
in chi assume funghi psicoattivi, ecc.). 

b) I contenuti delle vision! dei folgorati potrebbero essere la risposta, cultu- 
ralmente determinata, alio stress subito. Nei villaggi in cui ho effettuato le 
ricerche chiunque (donne, uomini e bambini, e non solo i graniceros) co- 
nosceva e condivideva il sistema di credenze legato agli spirit! del tempo. 
Per cui questo tipo di vision! sarebbero la risposta difensiva, piu o meno 
consapevole, alia quale ricorrono le vittime della folgorazione per ricevere 
cure, attenzioni, e contemporaneamente dare un senso alia loro sofferenza. 

A margine di tutto cio, aggiungo che ogni qualvolta una persona veniva 
colpita dal fulmine, si chiamava immediatamente un granicero per interve¬ 
nire terapeuticamente. Inoltre I’ingresso ufficiale del folgorato nel gruppo 
veniva sempre sancito con un particolare rito. Event! comuni nell’esperien- 
za iniziatica di ogni granicero, trovo strano che don Luis non menzioni que¬ 
st! particolari, tutt’altro che irrilevanti, nella sua storia. 

Personalmente sono propenso a credere che quest! due fattori, presi indivi- 
dualmente, non siano comunque sufficient! per fornire una spiegazione com- 
pleta del fenomeno. Se si considera invece possibile il concorso di piu fat- 
tori, allora queste due ipotesi andrebbero viste come delle forze comple- 



mentari che concorrono a modellare le visioni dei graniceros. Alio stato 
attuale, vista la scarsita della documentazione bibliografica disponibile, non 
sono in grado di spingermi oltre. Certamente allora trovai significativo il 
ripresentarsi di contenuti simili nell’esperienza visionaria di queste perso- 
ne, molte delle quali portano ancora evidenti sul proprio corpo le cicatrici 
delle ustioni provocate dal fulmine. Per poter approfondire ulteriormente la 
mia ricerca avrei avuto bisogno della collaborazione di una equipe 
multidisciplinare, e prolungare il mio soggiorno in Messico. Tutto cio anda- 
va ben oltre le mie possibilita di borsista. 

Oggi purtroppo la figura del granicero sta attraversando una crisi, a mio 
giudizio irreversibile, conseguenza delle mutate condizioni economiche e 
social! della regione. I graniceros da me incontrati erano tutte persone an- 
ziane, e non mi risulta che esista una disponibilita nelle giovani generazioni 
a mantenere viva questa tradizione. Attualmente i ragazzi disertano i lavori 
agricoli (solitamente sono i contadini che, lavorando nei campi lontani dal 
villaggio, corrono II rischio di essere colpiti dal fulmine), e si sentono mag- 
giormente attratti dal modello di vita di tipo gringo piuttosto che da quello 
tradizionale del campesino messicano. Le rare persone che oggi vengono 
colpite dal fulmine rifiutano di collocare la loro esperienza nel contesto ideo- 


Cerimonia alia 
grotta de las 
cruces: don Felix 
benedice gli 
strumenti del 
granicero, 
la scopa e il 
ramo di palma. 

LEMOINE 
ERNESTO. 
“Materiales para 
la Geografia 
Histdrica de la 
Regidn Chalco- 
Amecameca", in: 

Revista 
Mexicana de 
Estudios 
Antropoldgicos, 
Vol. XIV, Mexico, 
1954-55, pp. 
289-295. 







FOSTER GEORGE 
M., “Sierra 
Popoluca 
Folklore and 
Beliefs", 
University of 
California 
Publications in 
American 
Archaeology and 
Ethnology, Vo I 
42. n. 2. 
University of 
California Press, 
Berkeley and Los 
Angeles, 1945, 
pp. 177-249 


logico tradizionale (quello della chiamata sovrannaturale), e ricorrono alle 
cure del servizio sanitario anziche rivolgersi ad un granicero. 

Per concludere, vorrei ancora una volta esprimere la mia riconoscenza a 
tutti i graniceros per quanto hanno voluto condividere con me. A distanza di 
anni continue ad avvertire I’esistenza di un vincolo che mi unisce a quelle 
persone (alcune delle quali saranno certamente gia decedute); legame che, 
nonostante lo spazio e il tempo, mi fa sentire vicino a loro. Non posso per- 
cid fare a meno di provare tristezza oel pensare che con la loro morte, forse 
scomparira anche una forma di conoscenza millenaria. La mia intima spe- 
ranza (e ora e I’uomo che parla e non piu I’antropologo), e che qualche 
sciamano, da qualche parte sulla terra, abbia saputo conservare un contat- 
to con quelle ‘forze’ che hanno guidato i graniceros nel tempo attraverso i 
secoli, poiche ogni forma di conoscenza che scompare dal pianeta costitui- 
sce inevitabilmente una perdita per I’intera umanita. 



ZYLBERBAUM J.. 
Los chamanes 
de Mexico, Alpa 
Corral, Mexico, 
1987. 

ROJAS TERESA. 
“La ceramica 
contemporanea 
de Tlayacapan, 
Morelos, 

Mexico”, in: 
Anales de 
Antropologia, 

Vol. X, 

Instituto de 
Investigaciones 
Flistdricas, 
Universidad 
Nacional 
Autdnoma de 
Mexico, Mexico, 
1973, 

pp.241-264. 


Particolare 
dell'altare di 
Don Alejo. 



















REW/KTERO: a.ppunti su//sl 
cosmo\/is/one e su//3 
medicina^ tradiziona/e 

fra / WAR I JO 


Presentazione 

Questo breve articolo e parte delle attivita concernenti un lavoro che do- 
vrebbe concludersi con una monografia su una delle quattro etnie indigene 
che abitano la Sierra Tarahumara nello Stato di Chihuahua, i warijio, o come 
loro stessi si denominano, warijo. 

Piu che portare nuove o particolareggiate informazioni sulla medicina tra- 
dizionale indigena e sui suoi specialisti, il lavoro vuole innanzitutto divulga- 
re alcuni aspetti della cultura di questo popolo che, fra le altre cose, incom- 
prensibilmente non e stato inserito nel passato Censimento Nazionale del 
1990, in un chiaro esempio di ‘genocidio statistico’, senza che ci fosse una 
causa giustificata di cid (se si esclude I’incompetenza di coloro che hanno 
redatto il censimento). In effetti, secondo il documento ufficiale che riporta 
chi e quanti siamo, non vi era a quella data una sola anima che si conside- 
rasse warijo. 

Le informazioni, i dati e le persone che andremo a presentare nella nostra 
breve esposizione provengono da due fonti: 

a) dalla scarsa bibliografia e dai document! manoscritti o pubblicati sui 
warijo', 

b) dalle interviste e dalle osservazioni sui campo effettuate con student! 
della ENAH - Unidad Chihuahua, come parte delle attivita accademiche del 
corso di antropologia, e della consulenza prestata da chi scrive durante 
I’anno 1995 per la Commissione degli Affari Indigeni del Honorable Congreso 
del Estado de Chihuahua. 


Eugeni 

Porras 

Carrillo 

Etnologo, 
Escuela Nacional 
de Antropologia 
e Historia, 
Chihuahua, 
Mexico 




Dati etnografici 

Sono scarsi i dati in nostro possesso relativi alia composizione e alle carat- 
teristiche socio-culturali dei warijo durante la Conquista e la colonizzazione 
del Messico settentrionale. Cid nonostante gia nel 1588 si parla di questo 
gruppo come parte del complesso di tribu che popolavano un esteso terri- 
torio compreso fra i monti limitrofi ai fiumi Mayo e Fuerte e la Baja 
Tarahumara. Tubares, guazapares, chinipas, conchos tehuecos, guailopos, 
hi'os, yecuaromes e altre ‘nazioni’ erano sicuramente sia denominazioni di 
etnie distinte sia riferimenti a popolazioni o localita all’interno di uno stesso 
gruppo etnico-linguistico. Molti di quest! gruppi scomparvero nel corso del 
processo di colonizzazione, portato avanti soprattutto dal Gesulti, e altri si 
fusero sino a formare il panorama etnico esistente oggi. 


Relazione 
presentata al 
“// Encuentro de 
Medicina 
Tradicional del 
Norte de Mexico” 
Monterrey 
(Nuevo LePn), 
7-11 Novembre 
1995 

Traduzione dallo 
spagnolo di 
G Camilla e 
M Romand 


Pagina a fianco; 
donna 

Tarahumara. 



40 


La risposta dei warijo nei confronti delle incursioni religioso-militari (attra- 
verso le Missioni di Nuestra Senora de Uarojios, fondata nel 1626, e di 
Santa Ines de Chinipas, fondata nel 1627), oscillo fra I’accettazione o I’ap- 
parente sottomissione pacifica e indifferente, e la ribellione e opposizione 
violenta contro gli invasori. Insieme ai guazapares parteciparono alia rivolta 
armata del 1632 che provoco la ritirata dei missionari per un periodo di 
circa trent’anni, ma anche lo sterminio e la concentrazione degli indios ri- 
belli nella zona di Sinaloa. 

II gran vuoto di informazioni storiografiche pub solo essere riempito da al- 
cune ipotesi, come quella che vuole che fin dal 1770 si sia prodotta la se- 
parazione fra i warijo di Sonora e quelli di Chihuahua. Molti di questi ultimi 
vennero assimilati dai tarahumara delle barrancas (profonde valli scavate 
dai fiumi, n.d.T.), mentre i primi si trasferirono nelle regioni montuose dove 
ancora oggi vivono e dove finirono al servizio dei possidenti e proprietari 
terrieri che nel corso del XIX secolo acquistarono o ottennero grand! esten- 
sioni di terra. E solo negli anni ’30 del nostro secolo che i warijo furono 
‘riscoperti’ grazie agli studi di Howard S. Gentry dello Smithsonian Institute. 
Oggi i warijo abitano una parte della regione di confine fra gli Stati di Sono¬ 
ra e di Chihuahua, la cui linea divisoria corrisponde con una certa precisio- 
ne al corso del rio Mayo. I warijo di Sonora sono stanziati in una piccola 
regione a nord-est del territorio di Quiriego e in un’altra zona piu ampia a 
nord di Alamos, mentre la maggior parte dei warijo di Chihuahua si trovano 
in alcune localita dei territori di Uruachi e di Chinipas e, in misura minore, 
nel territorio di Moris. Si tratta di una regione orograficamente molto acci- 
dentata, con temperature estreme, con terre poco adatte all’agricoltura e 
all’allevamento del bestiame. Tutto cio, unitamente all’assenza di vie di co- 
municazione, rende la regione uno dei luoghi piu poveri e dalla forte 
emarginazione sociale. 

Rispetto alia popolazione indigena che abita lo Stato di Sonora, attraverso 
vari censimenti svolti da diverse istituzioni tra il 1989 e il 1994, si conta che 
il numero dei warijo sia compreso fra i 985 individui segnalati dall’lnstituto 
Nacional Indigenista nel ‘Censo de poblacion e vivienda del grupo etnico 
guarijio' del 1990, e i 1040 stimati dal progetto SILOS-Guarijio sulla base 
dell’analisi dei divers! censimenti. 

Per quanto riguarda il numero di warijo nello Stato di Chihuahua, i dati di- 
sponibili riferiscono di una popolazione maggiore. II progetto di cui sopra 
parla di 2.000 individui e Julio Artalejo del 'Consejo Supremo Guarijio', uno 
dei nostri principal! informatori, calcola che vi siano circa trecento famiglie 
warijo, il che sembrerebbe confermare la cifra stimata. Le comunita piu 
important! sono le seguenti: San Ignacio (48 famiglie), Silaybo (72 indivi¬ 
dui), Mocorichi (circa 150 individui), Palmaritos (98 famiglie), Chagaybo 
(35 famiglie). La Barranca, Chiltepin, San Juan, La Mesa de Ceriachi (per 
complessive 115 famiglie), Pacaybo, Arechuybo nel territorio di Uruachi; 
nel territorio di Moris si trovano La Finca, Cieneguita, El Gavil^n, Sicachi, 
Guamuchi e altre fattorie minor! (complessivamente circa 160 famiglie): 
per quanto riguarda il territorio di Chinipas, abbiamo Loreto (con 88 fami¬ 
glie), Guazaremos (25 famiglie) e Santa Ana (70 famiglie). 

Le localita e le fattorie citate si trovano in luoghi molto isolati per cui i con- 
tatti e le relazioni fra gli abitanti sono scarsi. 

Le principal! attivit^ produttive e di sussistenza che forniscono i mezzi di 






sopravvivenza in luoghi tanto ostili sono costituite da: 



42 


- agricoltura, essenzialmente stagionale, quasi esclusivamente basata sul- 
la coltivazione di mais, fagioli e zucche, sufficient a ciascuna unita familia- 
re (alcune di queste possono contare anche su un minimo di ortaggi e qual- 
che albero da frutta) 

- allevamento, poco sviluppato, soprattutto di bovini e in alcuni casi di ca- 
pre destinate al consumo familiare o alia vendita 

- raccolta di frutta, piante e radici selvatiche, secondo la stagione 

- artigianato, con prodotti derivati dalla lavorazione della palma (cappelli e 
stuoie), poco praticato 

- migrazioni stagionali nelle piantagioni di Sonora e Sinaloa, e nei centri 
urban! 

- aiuti offerti da istituzioni governative, sotto forma di derrate alimentari, 
capi di bestiame e beni material!, completano le risorse della maggior parte 
della popolazione warijo. 

Solo la lingua (appartenente alia famiglia uto-azteca, imparentata diretta- 
mente con il raramuri o tarahumara e parlata dal 30% della popolazione 
complessiva), i miti e le feste tradizionali, distinguono i warijo dai loro vicini 
yoris o mestizos, poiche per il resto la vita quotidiana e molto simile ed e 
difficile tracciare division! fra culture, o individuare un forte senso di appar- 
tenenza e di identita etnica in un gruppo o nell’altro. L’assenza di insegnanti 
in lingua warijo, per lo meno nello Stato di Chihuahua, insieme al disprezzo 
di cui sono oggetto coloro che la parlano, fanno si che questa lingua si trovi 
in reale pericolo di estinzione, e sono sempre meno i giovani e i bambini 
che la imparano. 

II problema della salvaguardia della lingua, insieme alia scarsa attenzione 
medica che ricevono i warijo, mostra il grado di emarginazione e lo scarso 
appoggio che questa cultura riceve da parte dei responsabili dell’attivita 
indigenista. Cib si spiega con il fatto che nelle region! warijo non vi sono 
grand! risorse natural! da sfruttare a basso costo, come invece e avvenuto 
nello sfruttamento forestale di altre zone della Sierra Tarahumara. 

II grande isolamento nel quale sono vissute sino a poco tempo fa le comu- 
nita warijo di Chihuahua e stato anche la causa di un altro fenomeno che ha 
contribuito alia disintegrazione culturale del gruppo. Infatti fra la fine degli 
anni '80 e I’inizio degli anni ’90 la coltivazione di stupefacenti ed il narco- 
traffico giunsero in varie region! montuose di Chinipas, Uruachi e Moris, 
portando con se una scia di omicidi, ingiustizie e cattiva fama di alcune 
localita come Arechuybo. L’inaugurazione di una strada sterrata che colle¬ 
ge questo abitato con Uruachi nel 1994 e il recente tratto (ottobre ‘95) fra 
Chagaybo e San Juan, hanno parzialmente contribuito a restituire una rela¬ 
tive calma a questa regione, facendo presagire veloci trasformazioni socio¬ 
cultural! nelle locality indigene. Questo potrebbe anche portare ad una 
rivalutazione della cultura e delle tradizioni warijd. 


Miti e feste 


Come si e detto in precedenza, e soprattutto a partire dallo studio e I’analisi 
delle pratiche rituali, delle cerimonie, dei miti e delle leggende che possia- 
mo avvicinarci ai tratti piu tradizionali e genuini della cultura warijo. Attra- 
verso questi elementi si trasmette la memoria storica del gruppo, mediante 
I’esercizio dell’oralita, I’uso della lingua e della gestualitl Tutto cio serve 
inoltre a segnare le differenze rispetto ai mestizos e agli altri gruppi etnici, 
facendo sempre riferimento ad essi per riconoscere una identita che nella 
vita quotidiana stenta ad affermarsi per lo scarso contatto esistente fra le 
diverse comunitl 

Le feste sintetizzano e condensano la maggior parte dei simboli, dell’etica e 
della cosmovisione indigena, essendo I’aspetto della cultura di cui si sen- 
tono piu orgogliosi, di cui tutti parlano. Gli stessi warijo ne esprimono il 
bisogno, lamentando il fatto che oggi le feste quasi non si celebrino piu. 
Questo denota una crisi profonda, o per lo meno transitoria, nelle forme 
dell’organizzazione sociale, nelle varie gerarchie, funzioni e compiti che si- 
curamente un tempo erano parte della cultura warijo. 

Cosi, per esempio, nelle comunita da noi visitate, erano ormai pochi i 
cantadores che sapevano dirigere le cerimonie e le danze, pochissimi colo- 
ro che conoscevano i miti degli anziani e degli antenati, e ancor meno quelli 
che sapevano suonare la chitarra, il violino e I’arpa, i tre strumenti base del 
warijo di Chihuahua. D’altra parte neppure i giovani mostravano grande in- 
teresse nell’apprendere queste pratiche, con la scusa che queste cono- 
scenze non li avrebbero aiutati a sopravvivere e ad affrontare un mondo 
dominato da un’altra lingua (lo spagnolo), dalla mentalita della competizio- 
ne, dai valori materiali e dal profitto economico. 

Le cerimonie piu importanti che tuttavia continuano ad essere celebrate in 
alcune comunita warijo di Chihuahua, anche se saltuariamente, sono le 
velaciones e il tuburi. Le prime ruotano intorno alia figura di un santo che 
viene vegliato per tutta una notte con preghiere e invocazioni, e al quale si 
richiedono favori, sia individuali (come la guarigione di una persona mala- 
ta), sia collettivi (come I’abbondanza di acqua e buoni raccolti). A volte le 
veglie si concludono con una processione del santo attraverso la comunita 
0 le terre coltivate. Le principal! immagini venerate sono quelle di San Isidro 
Labrador (patrono dell’agricoltura), San Juan, il Santo Nino de Atocha, la 
Vergine di Loreto e quella di Guadalupe. Queste sacre figure, di solito in 
ritratto, si vedono molto spesso in alcune case poiche le chiese nella zona 
dei warijd e I’attenzione religiosa da parte dei sacerdoti cattolici sono oggi 
praticamente inesistenti. 

II tuburi 6 una cerimonia molto complessa che dura tre notti e contempla 
moltissimi elementi, anche se i motivi per la sua realizzazione sono simili a 
quelli delle velaciones. Solitamente si celebra nel cortile della casa anfitriona, 
ed ha come simbolo centrale una croce di legno collocata fra il luogo dove 
opera il cantador e quello in cui si mettono le donne che si apprestano a 
danzare, una a fianco all'altra, con un lento e ritmico battere alternato del 
piedi per terra. In altri momenti, seguendo il racconto del cantador, le don¬ 
ne inscenano azioni di animali o di vita quotidiana, provocando le risate di 
tutti i present!. 

A lato della postazione del cantador danzano i pascoleros, di fronte al mu- 



43 



Panoramica della 
zona in cui 
vivono i Warijd, 
Stato di 
Chihuahua. 


sicisti, con un ritmo piCi rapido e agitando le loro chairigoras, sonagli di 
bozzoli di farfalla ripieni di pietruzze, legate alle caviglie o, a volte, alia vita. 
Gli insegnamenti che il cantador impartisce ai partecipanti, i pasti ed il con- 
sumo di tesguino, sono gli altri momenti indispensabili della cerimonia. 

II tuburi si basa sui miti di creazione del mondo e delle genti propri della 
cosmogonia wariio. Attraverso di essi ciascun narratore fa suo il passato 
indigene, impone ad esso caratteristiche particolari (variano le forme ma 
non il contenuto), va a concepire il presente come una attualizzazione del 
passato, rende possibile la continuita del tempo e stabilisce un punto di 
contatto fra il sacro e il profano, fra il naturale e il soprannaturale, fra il 
sociale e il cosmico. 

Si parte cosi da un principio in cui tutto era un grande lago e Dio, Tata Dios 
0 mono, colui che e padre, si mise a cantare per tre giorni e tre notti duran¬ 
te i quali formo il mondo, spargendo davanti a se un pugno di sabbia estrat- 
ta dalle acque. Per assicurarsi che la terra ormai si fosse consolidata, invid 
varie specie di uccelli a controllare, sino a quando la colomba ritornd a Lui 
senza ZOQUETE nelle zampine. Fu allora che discesero Jesucristo, e la Luna 
e il Sole, e quest! iniziarono a ballare il tuburi affinchd la terra si compattasse, 
ed in quel momento Dio spiegd ad ogni cosa esistente a che sarebbe dovu- 
ta servire e quale sarebbe stato il compito di ciascuno in questa vita. 
Ugualmente si narra che cred gli uomini da tre figurine di fango prelevato 
dal fondo della terra, soffiando tre volte sopra di esse. Dalle figurine che 




presero I’aspetto della cenere nacquero gli yoris o mestizos, da quelle di 
terra rossa sorsero gli indigeni, dal resto tutte le altre razze. Una variante 
del mito parla del diavolo come di un imitatore di Dio che creo tutti quegli 
animali che sono considerati dannosi, malevoli o pericolosi (come le vipe- 
re, i ragni, I millepiedi, gli scorpioni...). Un’altra variante dice che anche i 
bianchi sono figli del diavolo. Un’altra ancora narra come il canto fu appre- 
so da una grande pietra liscia e rotonda, colpita da altre pietre che gli ante¬ 
nati le scagliarono addosso all’inizio del tempo, prima che si incominciasse 
a ballare il tuburi come si fa ora ... 

11 pewatero 

Pewatero 0 pewatelo e il nome che i warijo di Chihuahua danno alcurandero 
0 medico tradizionale. Questa denominazione non compare nella bibliogra- 
fia consultata sullo Stato di Sonora, dove viene chiamato iyowiame. Alcuni 
pewateros sono tali dalla nascita, e nel corso della loro vita la missione si 
fortifica. Altri ricevono gli insegnamenti da pewateros piu anziani, ed ap- 
prendono attraverso lo studio e la pratica quotidian!. Altri ancora diventano 
pewateros in eta adulta, in seguito a rivelazioni ricevute durante una malat- 
tia 0 ad una crisi vitale. Cio nonostante \ pewateros non sono numerosi: nel 
corso delle nostre ricerche abbiamo trovato un solo individuo che si defini-. 
va tale, anche se abbiamo incontrato varie persone che conoscevano alcu- 
ne piante medicinal!, che sapevano curare, SOBAR o che occasionalmente 
esercitavano come levatrici, attivita queste fra le piu frequent! nella poco 
diversificata medicina tradizionale praticata dai warijo. A parte quest! inter- 
venti specific!, la maggior parte degli adulti conosce alcuni rimedi terapeu- 
tici 0 alcune piante medicinal!, e in famiglia solitamente e la madre che 
applica queste conoscenze nella cura dei familiari. 

I rimedi terapeutici tradizionali provengono dal medesimo ambiente in cui si 
svolge la vita sociale dei warijo. Vengono soprattutto usate piante come il 
chanate, il chuchupate, il gordolobo, la manzanilla, il paio mulato, il laurel, 
il guamuchil, il mezquite, la vinorama, il tabaco silvestre (per scopi 
diagnostic!), e altre piante ancora. Si parla anche dell’impiego di argilla, di 
tango, di COPAL e di alcuni animali o parti di essi, come la vipera, lo scor- 
pione (contro gli avvelenamenti provocati dalle punture di quest! stessi ani¬ 
mali), il MOCHOMO (gli escrementi del quale vengono usati per lavare le 
ferite infette), ecc.. Di solito la medicina domestica combina quest! ele¬ 
ment! local! con alcuni prodotti provenienti dall’esterno, come I’aspirina, gli 
analgesic!, I’alcool, le iniezioni, il vicks vaporub, ecc.. 

Per quanto concerne le malattie che necessitano dell’intervento di un 
pewatero troviamo i tipici disturb! dei bambini, come la CAIDA DE MOLLERA, 
il malocchio, la diarrea, il morbillo; quelle che sono frequent! prima, duran¬ 
te e subito dopo il parto, come la minaccia d’aborto, il mal posizionamento 
del nascituro, le emorragie, I gonfiori degli arti, i dolori addominali; le frat- 
ture ossee, colpi, lussazioni, ecc.; e tutti quei males puestos provocati dal- 
I’azione di un’altra persona o da uno stregone nel confront! del malato, o 
dall’influenza di una pianta o di un determinate luogo. Per quanto riguarda 
le tecniche di guariglone, esiste una certa uniformity nell’uso di piante e 
nella manipolazione di ossa e muscoli. 

Per il resto, ogni pewatero utilizza delle modality diagnostiche personal!, 



46 


cosi come individuali sono gli ‘strumenti’ di lavoro. In parecchie occasion! 
il pewatero esercita anche le funzioni di cantastorie e di sacerdote, essen- 
do egli una persona di riconosciuto prestigio e al quale, per il suo sapere, si 
richiedono costantemente opinion! intorno a decision! important! di natura 
sociale che coinvolgono I’intera comunita. Alio stesso tempo e una delle 
persone che meglio conoscono I’idioma warijo, le tradizioni e la storia miti- 
ca del gruppo. Tutto cio lo autorizza ad utilizzare numerosi rimedi simbolici 
nelle sue cure, durante le quali stabilisce una comunicazione da un lato con 
il ‘cielo’, il ‘sopra’ o Dio (forza o provenienza ultima del potere con il quale 
egli cura), e dall’altro con i pazienti. 

Quella che segue, e la testimonianza che ci e stata offerta nell’agosto ’95 
da un rispettato pewatero warijo di Chihuahua: 

...lo sono don Juan Septimo, soprannominato Aristeo, pewatero 
della Barranca che in warijo e chiamata Warerere, sparviero. Sono 
nato ottantuno anni fa, e a quindici anni contemplai la scomparsa 
del sole mentre ritornavo portando rami di palma con don Juan 
Renteria... 

...Iniziai a lavorare nella cura delle persone a quarant’anni, il gior- 
no in cui venne un signore malato di questa zona della Mesa [di 
Seriachi). Poi, una volta, salii al monte, mi addormentai e in sogno 
mi dissero di tagliare un pezzo di legno dall’albero che avevo gia 
usato per costruirmi un cappello, e con questo strumento avrei 
dovuto curare la gente. Ho anche trovato questa pietra (un enor- 
me quarzo) con la quale ‘limpio’ e accudisco i malati. Piu tardi, 
quando ancora non sapevo se ero un pewatero, Vicente, un 
curandero e SOBADDR che non abita in questa zona ma piu in 
alto, mi lascid queste altre due pietre (due grandi biglie CANICAS) 
e mi disse che dovevo andare per i villaggi a curare le persone. 
...Con questa pietra devo SOBAR tutto il corpo, sopra e sotto, 
sino a quando risulta chiaro che cosa ha il paziente, e si scopra il 
‘mal puesto’ (maleficio) in base al colore che segnala, se c'e feb- 
bre (verde), come se fosse un termometro, oppure se si tratta di 
un ‘susto’. Allora, quest'altra pietra si mette su questa parte del 
corpo e si incomincia a succhiare con la bocca sino a quando esce 
il ‘verme’ che ha dentro, assieme alia gente che lo sta controllan- 
do, e con questo si guarisce il malato, anche se a volte si deve 
lottare parecchio. 

...Una persona si ammala di ‘mal puesto’ quando qualcuno non gli 
vuole bene, quando non e in buoni rapporti o non e simpatico a 
qualcuno. Allora, per curarlo, solo Dio sa come fare, lo lo chiamo, 
la in alto, in cielo, ed e la che si indice una riunione nella quale Dio 
discute il caso, e al Suo cospetto portano il malato e quello che gli 
ha fatto del male. II responsabile del maleficio non viene lasciato 
libero, lo trattengono incarcerato e lo castigano, in accordo con 
le scelte fatte da Dio, mentre il malato viene lasciato libero. e 
ritorna con me, guarisce e vive tranquillo. Ci sono anche degli ani- 
mali che recano danni al corpo di una persona, non per loro stessa 
volontd, ma perch6 questa persona non 6 simpatica a qualcuno. il 
quale gli mette quell’animale nel corpo. nella testa, nella spalla. 




nel cuore o nello stomaco. Per questo quando la gente viene punta 
da un animale. bisogna verificare se e state un animale qualsiasi a 
ferirla oppure se e state per causa di un'altra perscna. 

...Ic ccncscc scic tre medicine di erbe e radici. Una si chiama 
salvia, I’altra e il jejcte cimarron, e I’altra e una grande pianta 
chiamata jece. Allcra le faccie bellire in un litre di acqua sine a 
quandc ne rimane mezzc litre, pci ne dc’ un bicchiere al paziente 
affinche espella quel male che ha nellc stemace c nel cerpc. He 
sele tre medicine di piante, a parte quelle che mi vengcnc indicate 
in scgnc, perche mi viene dettc di quali he bisegne, se si trcvanc 
su un mente e ceme le devc raccegliere e pertare cen me. 

...Die e il piu petente che e’e lassu. E una persena che sta cen 
altre cinque c sei che gli stance effrende il Icrc petere, e tutti 
assieme sene quelli che fanne venire la gente da quel pcstc. 

E il piu petente perche e una persena grande, cen il velte grande e 


Donne e bambini 
Tarahumara. 



BIBLIOGRAFIA 

CAMARA 

BARBACHANO 

FERNANDO, 

Warijios, IN AH 

(dattiloscritto), 

Mexico D.F., 

1961. 


PROYECTO 
SILOS-GUARIJI'O, 
Reporte tecnico 
de actividades 
1992-1994, El 
Colegio de 
Sonora, INI, 

CIAD A.C., 
Universidad de 
Sonora, 
(dattiloscritto), 
1995. 



SCOTT-GENTRY 
HOWARD, The 
warijio indians of 
Sonora- 
Chihuahua: an 
ethnographic 
survey, 
Smithsonian 
Institute, Bureau 
of American 
Ethnology, 
Bulletin 186, 
1961. 

TORRES 
LUCIANO 
Entrevistado por 
Eugenio Porras 
en julio, 

Transcripcidn de 
Guadalupe 
Fernandez y 
Rosa Maria 
Tamariz, 1995. 


largo. Mi hanno chiamato lassu in sogno ed ho parlato con Lui, che 
in spagnolo si dice Jesucristo ed in warijo si chiama mono, ossia 
un padre che e Dio. Egli conosce ogni cosa e la racconta, purtrop- 
po io sono un po’ sordo e I’udito non mi aiuta, anche se Jesucristo 
mi ha gia dato alcuni consigli, mi ha dato dodici parole ed ora 
conosco meglio quello che devo fare. 

Quando moriamo la nostra casa rimane qui sotto, ci seppelliscono 
con la nostra bara, con la casa o il corpo, e Tunica cosa che va 
lassu e Io spirito, Tanima. In warijo si chiama 'arewa', la ‘macchi- 
na’ che ora sta lavorando, poi esce e lassu la raccolgono. Ma se 
abbiamo fatto molti errori, o se siamo stati violent!, o ladri o cat- 
tivi allora non saliamo. Questi non salgono, restano gib, piangendo 
nel vento, e sino a quando non li raccoglie Jesucristo vagano pian¬ 
gendo quaggiu. Per questo bisogna fare una festa al defunto, reci- 
targli il rosario, riunire famigliari e parenti, fratelli, zii, papa. Uc- 
cidiamo un capretto, offriamo tamales e pozole (cibi tipici della 
zona n.d.T.) al cantador, e con questo pub salire, non rimane qui 
con noi, viene accolto lassu da sua madre o suo padre. 

...Qui ci sono due signori che possono rimanere quando io me ne 
andrb. Ho un figlio che perb vive nello State di Sonora, ed un ra- 
gazzo che ora sta qui ma e un tipo duro, non riesco a controllarlo, 
ha altri pensieri per la testa e non vuole stare con me. Perb nei 
miei sogni Io sto accompagnando lassu, siamo quasi arrivati e ci 
manca solo di essere ricevuti dal nostro Jesucristo, e allora Lui 
decidera dove bisogna andare. Perb non sono certo che mi resti 
ancora molto tempo da vivere, e pub darsi che mi ammali e muoia 
prima di lasciargli il compito di curare la gente. 

...Nel 1910, quando i porfiriani andavano facendo la guerra, pas- 
sarono di qui alcune persona che stavano recandosi ad uccidere il 
signor Saenz de Arechuybo. Poi si diressero verso Chinipas e da li 
a Cerro Prieto, da dove vengono gli indios yaqui ed i mayo. E in quel 
luogo scese Jesucristo e gli disse: "Se voi continuate a litigare, 
qui finisce tutto". Poi diede un colpo ad una spalla di un altro ed 
anche a lui disse: “Se non vi calmate, se non vi mettete d’accor- 
do, allora morirete tutti, ma il mondo non finira, solo le persons 
scompariranno". Allora quelli che stavano andando da una parte 
alTaltra e quelli che venivano da la verso di noi si salutarono pro- 
prio in quel posto chiamato Cerro Prieto, dove e’e un grande san- 
to che si chiama Virgen de Guadalupe, e smisero di azzuffarsi, si 
calmarono e ritornarono a casa. Perb ora tutti stanno litigando, 
gettando bombe, e il mondo non finira anche se la gente muore 
quaggiu, e scomparira tutta, se continue a bisticciare. Questo e 
quello che so. 

Conclusione 

La medicina tradizionale e uno degli strumenti culturali e materiali piu im- 
portanti di cui dispongono i warijd di Chihuahua. La sua realty b fondata su 
una conoscenza specifica del contesto ambientale e delle propriety specifi- 
che di piante, terre e animali. Inoltre b strettamente legata alia lingua, alle 


cerimonie e ai miti e ai racconti che condensano la tradizione orale tra- 
smessa dal gruppo. Nel pewatero o curandero warijo convergono tutta una 
serie di attributi che lo presentano come una idealizzazione dell’essere, del 
pensare e del sentire del gruppo per il quale interviene. Nello stesso tempo, 
in accordo con le tecniche, le procedure e la cosmovisione di cui si avvale, 
si presenta come un interessante modello di evoluzione dello sciamanismo, 
nel quale si ritrovano molti elementi cristiani, ed il cui studio pud accresce- 
re le nostre conoscenze sui fenomeni di sincretismo e di contatto culturale. 
II limitato sviluppo e la scarsa conoscenza che abbiamo della medicina tra- 
dizionale warijo riflette I’attuale situazione di emarginazione ed isolamento 
(in parte desiderate ed in parte subito) che predomina in questa popolazio- 
ne indigena. Inoltre evidenzia la necessity di realizzare programmi e ricer- 
che nell’area da loro abitata per sistematizzare le informazioni in loro pos- 
sesso e rivalorizzare la loro cultura, le forme autoctone di organizzazione 
sociale e le loro proprie concezioni di sviluppo. Tutto questo nel rispetto 
delle diversity umane, per evitare che I’etnocidio statistico dei numeri arrivi 
a coincidere con la realta di came ed ossa. 


ARTALEJO JULIO 
Entrevistado por 
Eugenio Porras 
en abril, 
Transcripcion de 
Rosa Maria 
Tamariz, 1995. 

SEPTIMO 
ARISTEO 
Entrevistado por 
Eugenio Porras 
en julio, 
Transcripcion de 
Alberto Rivera, 
1995. 




Pianta 
di Tabacco, 
Nicotiana 
Tabacum L 



BANISTERIOPSIS Caapi 


(Spruce ex Griseh) JVtortorv 


















PSICODINAMICA 
CON A YAHUASCA 


Nel 1992-93 la SISSC decise di condurre un lavoro sperimentale sugli ef- 
fetti dell’ayahuasca. Uno del soci fondatori, Antonio Bianchi, medico ane- 
stesista, spesso in viaggio nelle regioni amazzoniche e andine, era venuto 
in contatto con numerosi curanderos che facevano uso di questa bevanda, 
nota anche come “vino dell’anima” o “liana della morte” (in lingua guacha 
“anima” e “morte” sono la stessa parola) e, successivamente, era venuto 
in contatto con i membri della Uniao de Vegetao, una setta sincretista, mol- 
to diffusa in Brasile, che usa la bevanda come strumento iniziatico/evolutivo. 
Bianchi era rimasto molto impressionato dalla costanza e dalla predittivita- 
degli effetti della bevanda e poiche questa non era considerata una “droga” 
e si poteva importare liberamente, propose che la SISSC iniziasse delle 
ricerche addirittura in collaborazione con la Uniao de Vegetao. 

Lidea piacque all’allora Comitato direttivo e si fecero varie riunioni per met- 
tere a punto il progetto e poi tre sedute sperimentali nel corso delle quali 
vari Soci volontari ingerirono la bevanda e si sottoposero ai test che erano 
stati decisi. 

I risultati di queste ricerche furono comunicati al II Congresso Internaziona- 
le per lo Studio degli Stati Modificati di Coscienza a Lerida nel 1994, con il 
titolo: '"Preliminary results of a study on the psychodynamic effects of 
ayahuasca” a firma di Maria Clotilde Rossi, Antonio Bianchi, Bianca Braggio, 
Gilberto Camilla, Francesco Festi e Marco Margnelli. 

Considerati i mezzi a disposizione e le possibilita operative, era stato deci- 
so di studiare gli effetti psicodinamici della bevanda e poiche questi abi- 
tualmente vengono valutati con dei questionari somministrati dopo I’espe- 
rienza, si discusse a lungo sull’opportunita di aggiungere alia letteratura 
gi^ pubblicata un doppione di effetti gia noti. Si desiderava fare qualcosa di 
meglio se non qualcosa di originale e innovativo. 

Alla fine nacque I’idea di paragonare tra loro due test di Rorschach, sommi¬ 
nistrati alio stesso soggetto, uno prima dell’esperienza e I’altro al picco 
degli effetti della bevanda. In tal modo, il primo test veniva a costituire una 
sorta di condizione di riferimento, mentre II secondo avrebbe rivelato le 
variazioni indotte dagli alcaloidi deH’ayahuasca. 

Come 6 noto, il test di Rorschach, detto anche “test delle macchie d’inchio- 
stro", 6 un test proiettivo che consiste in 10 tavole (sulle quali ci sono effet- 
tivamente delle macchie d’inchiostro) che vengono presentate in un ordine 
prestabilito e che il soggetto deve interpretare seguendo la sua immagina- 
zlone e cioe dicendo cosa vi vede e quali associazloni le figure gli fanno 
venire in mente. 


Marco 

Margnelli 

Presidente della 
SISSC. 
Neurofisiologo, 
Milano 



Banisteriopsis 
Caapi, uno degli 
ingredienti 
principal! 
deH’Ayahuasca. 
Illustrata da 
EW Smith 



II test e in uso clinico da piu di mezzo secolo e percid e stato tarato su 
migliaia di soggetti. L’interpretazione delle risposte viene fatta dopo una loro 
classificazione in categorie (animali, persone, situazioni, colore, movimen- 
to, eccetera) ciascuna delle quali ha un provato significato psicologico. 

II test rivela principalmente I’abilita (ma anche la capacita e la fantasia) nel 
costruire immagini mentali partendo dalle figure delle tavole che, in realta, 
sono proprio macchie informi di inchiostri colorati. II tempo e la pratica 
hanno fatto attribuire a ciascuna tavola un nome, perche la media delle 
risposte delle migliaia di soggetti che hanno subito il test cadeva in una 
precisa area di significati. 

Ciascuna tavola contiene dei messaggi subliminali che si riferiscono alle 
autodifese che ciascuno di noi costruisce per difendersi da quanto lo ango- 
scia, perche non lo ha capito o perche lo ha traumatizzato. L’idea che aveva 
suggerito di confrontare tra loro i risultati di due test uguali ma subiti in due 
stati diversi della coscienza era che mentre i test a questionario indagano 
su “c/?e cosa succede" questa procedura poteva permettere anche qualche 
ipotesi sul “come e perche” succede. 

In altre parole, se in stato di coscienza ordinaria, nella tavola che ricorda i 
genital! femminili il colore rosso viene ignorato perche innesca sgradevoli 
associazioni con il sangue mestruale o perche innesca sgradevoli ricordi 
autobiografici con la violenza del parto e invece, al picco dell’effetto 
dell’ayahuasca, il colore rosso diventa oggetto di profonda attenzione e di 
accurata elaborazione significa che sono cadute delle barriere, che si e creato 
un coraggio introspettivo che prima non c’era e che si e creata una disponi- 
bilita a rielaborare esperienze problematiche che nello stato di coscienza 
ordinaria venivano differite o trasposte. 

Queste dinamiche psicologiche, se vere, potrebbero giustificare sia il signi¬ 
ficato iniziatico che gli sciamani amazzonici attribuiscono agli effetti 
dall’ayahuasca, quanto giustificare la funzione evolutiva che I’uso 
dell’ayahuasca avrebbe sulla psiche individuale come sostengono gli adep- 
ti 6e\yUniao de Vegetao. Nel primo caso, diventare coscienti dell’origine di 
conflitti “incoscienti” che hanno “bloccato” la libera vita psicologica, as- 
somiglia al processo catartico dell’esperienza psicoanalitica oppure alia “il- 
luminazione” che pub essere raggiunta attraverso un processo autoanalitico 
0, anche, all’accettazione di pulsioni aggressive o fortemente affermative, 
che la coscienza ordinaria non pub accettare, mentre quella “modificata” 
accetta come variant! di una realta potenziale o come opzioni di una realta 
piu ampia e impersonale di quella che la miopia dell’egoicita aveva impedi- 
to di vedere e che offre vie di fuga, percorsi alternativi o insperati compro- 
messi salvifici, con la ricchezza e la fantasia proprie della migliore creativi¬ 
ty. Nel secondo caso, I’uso sistematico della bevanda, proprio grazie a tali 
meccanismi psicodinamici permetterebbe una crescita interiore costellata 
di problem! interiori piccoli e grand! affrontati e superati fino al loro esauri- 
mento. 

Layahuasca che il gruppo sperimentale aveva a disposizione era stata for- 
nita da uno dei dirigenti brasiliani 6e\\'Uniao de Vegetao. Era conservata in 
un bidoncino di plastica e purtroppo non si riusci a fame dosare il contenu- 
to dei principi attivi. 

Le sedute sperimentali avvennero in ample case di campagna messe a di¬ 
sposizione da una volta con I’altra da uno dei membri del gruppo. 


Si osservarono alcune regole dietetiche ed igieniche suggerite in tali casi, 
quale quella di ingerire il vino dell’anima a digiuno da almeno otto ore, dopo 
essersi astenuti dall’alcol almeno da un giorno, essere ben riposati e cosi 
via. I primi eftetti deH’ayahuasca, infatti, sono piuttosto sgradevoli. 

Si vomita, si diventa molto inquieti o angosciati, si hanno attacchi violenti di 
diarrea o ci si ritrova con I’addome gonfio di gas che I’intestino fatica ad 
espellere. Sono eftetti che durano circa due o tre ore e vengono minimizzati 
(ma non aboliti) dal digiuno o dalle altre precauzioni igieniche di cui si e 
detto. In totale parteciparono all’esperimento circa 20 volontari che bevve- 
ro una dose di ayahuasca corrispondente a circa due bicchieri. 

I risultati dell’esperimento furono molto netti se non addirittura superior! 
alle aspettative. In generale sotto I’effetto dell’ayahuasca I’interpretazione 
delle tavole divenne piu ricca, piu dettagliata e piu creativa di quanto era 
avvenuto nel test preliminare. I soggetti tendevano a sostare su ogni figura 
molto piu a lungo delle medie abituali, sia ricordando I’interpretazione che 
avevano dato nel primo test che arricchendola e correggendola, sia dando 
nuove interpretazioni. L’aderenza formale alle tavole era conservata, nel 
senso che ogni tavola continuava a evocare il significato recondito che, 
come si e detto, gli e stato riconosciuto dalle migliaia di individui sottoposti 
nel tempo al test cosicche le interpretazioni e le associazioni concettuali 
erano coerenti con il significato generico di ogni tavola. Era pero piu ricco. 

Nel 90 per cento dei test di picco comparvero contenuti biografici primari 
profondi, come ricordi delle relazioni con i genitori, traumi psicologici, 
pulsioni aggressive nei confront! dei padri o delle madri, esperienze emo- 
zionali represse e cosi via, proprio come se I’ayahuasca avesse dissolto 
delle barriere censorie e quest! contenuti fossero stati lasciati liberi di dila- 
gare nella coscienza senza causare angoscia o malessere. 

Quest! contenuti, nei primi test erano comparsi in percentuale assoluta- 
mente minore. Per esempio, alia seconda tavola (che evoca il tema della 
separazione/differenziazione) un soggetto, nel primo test aveva detto che 
gli faceva venire in mente “due persons asessuate” mentre nel test di picco 
disse “due peni rossi. Mestruazioni esplosive", passando da un commento 
cauto (ma centrato sul tema) ad una percezione intensa della differenziazione 
sessuale maschile/femminile. 

Un altro, sempre alia seconda tavola, nel primo test commento “Una ma- 
schera", nel secondo “Una faccia triste che piange; i bianchi tra i rossi 
sono gli occhi; sotto c’e la lingua, anche perche e rossa; oppure e qualco- 
sa che viene vomitato”, passando da una percezione impersonale e affetti- 
vamente poco pregnante ad una ad alto contenuto empatico a sfondo 
depressivo. Ad un terzo soggetto, la stessa tavola indusse un’esperienza 
simile e mentre nel primo test disse: “Una maschera grottesca”, nel secon¬ 
do vedeva “nel rosso un gioco geometrico che si espande e diventa occhi, 
occhi che esprimono molto dolore”. 

Non sempre Tayahuasca sblocca le difese, come del caso di un soggetto al 
quale prima dell’assunzione della bevanda la tavola faceva venire in mente 
“Un muso di gatto“ mentre nel test di picco disse:7/spef/o a prima mi attira 
molto; ci vedevo la faccia di un gatto; adesso proprio no; bella la punteg- 
Qiatura rossa sul nero, senza significato ma bella; sfumatura con punti ros- 



53 



si; infinitipunti rossi in un nero profondo” dimostrando una difesa dal con- 
tatto con contenuti angosciosi mediante una elaborata verbalizzazione de- 
scrittiva. 

II carattere estetico delle associazioni sembra proteggere I’io da un’elabo- 
razione su contenuti piu emozionali. Alla terza tavola del Rorschach, che 
rappresenta la relazione e quindi i ruoli, I’identificazione sessuale e il vissu- 
to rispetto ai genitori, alcuni soggetti reagirono in modo altrettanto psico- 
dinamicamente modificato. Un prinfio soggetto (di sesso maschile), al test 
preliminare, vide ‘'due donne che cucinano” mentre nel test di picco vide 
“due negre tettute; scavano nel cervello di quaicuno; esce qualcosa”, sug- 
gerendo il passaggio da una percezione stereotipata del femminile, legata 
alle funzioni nutritive (bisogni orali) ad una piu arcaica istintiva-regressiva 
(seno come allattamento) ad una creativa, torse alludente alia procreazione 
(dal cervello esce qualcosa). 

Questa interpretazione, come quella che segue, sono molto interessanti, 
perche segnalano un fenomeno psicodinamico in parte inatteso, e cioe 
I’emersione di ricordi/associazioni/vissuti sul parto e sulla nascita, e costi- 
tuiscono uno dei risultati piu interessanti della ricerca. 

II secondo esempio di tale dinamica profonda e la risposta alia terza tavola 
di un soggetto che al primo test aveva 6e1Xo\"donne piegate su un vassoio, 
oppure danzatrici negre; potrebbero battere un tamburo; potrebbe essere 
anche un vaso" mentre nel test di picco b\sse’"primo impatto, sempre quelle 
gia descritte; poi un alieno, quasi come se volesse proteggersi; due occhi 
scuri; poi quest! occhi scuri, questo cuore incredibile; e bello, e convin- 
cente per questo rosso; le due donne che prima battevano il tamburo ora 
afferrano la maschera di un uomo e se la contendono: la lacerazione di 
Dion iso; questa maschera ha un’espressione distaccata; e poi c’e questa 
cosa che esce ed e il messaggio del gigante; mi place un sacco; il parto; 
un messaggio”. 


II passaggio psicodinamico da una elaborazione genericamente estetico/ 
difensiva ad una simbolica su temi piu emotivamente coinvolgenti pub es¬ 
sere paragonato a quello del soggetto precedente, ma I’allusione al parto e 
troppo diretta per passare inosservata. 

La rimozione delle censure nei confront! di temi psicologici delicati e stata 
comunque sempre molto evidente, indicando con chiarezza che anche 
I’ayahuasca possiede i cosiddetti “effetti psicolitici” di molte sostanze 
psicoattive, effetti che vari psicoterapeuti hanno proposto di sfruttare per 
rendere le terapie piu rapide e profonde. Molto significative in tale direzione 
sono le interpretazioni alia quarta tavola del Rorschach che evoca il tema 
del padre, dei rapporti col genitore, dei rapporti con I’autorita e dello svi- 
luppo dell’identita virile. Oppure un terzo che vedeva “uno scimmione” e 
poi, sotto I’effetto dell’ayahuasca dice: “emerge la potenza virile tallica ed 
io mi sento schiacciato; sara mio padre che mi somiglia”. II primo e il terzo 
ricordano padri autoritari, ma mentre il primo sembra non aver superato II 
rapporto di sudditanza, il secondo riconosce in s6 la stessa potenza che 
vedeva in suo padre. 

Un quarto soggetto, che nel primo test vedeva “un signore visto dal basso 
con un pene enorme”, nel test di picco elabora completamente la dinamica 



di riconoscimento/competizione/demolizione della figura paterna: Vedo lo 
stesso signore di prima; la coda non d un pene, ma una coda; il pene non 
ce rtia, e appoggiato con dei piedoni su una lastra di vetro; io sono sotto la 
lastra, forse e appeso; impiccato; rtio visto cosi, da piccolo, mio padre, da 
sotto in su, lo vedevo enorme; ora e sbudellato; rottami appesi; vestiti, 
non vedo bene la faccia, potrebbe essere legato ad un tronco\ 


Disegno di Yando 
de Rios. 1977. 
sulle visioni 
ayahuasca 
durante una 
t.rrimonia 
curativa 



















Le stesse dinamiche, riassunte in poche parole, si riconoscono nelle inter- 
pretazioni di un soggetto che prima vede "'un mefisto” e poi “t;/? uomo im- 
palato; Dracula con stivali, pene floscio, esaurito”. 

Oppure: “gatto Silvestro” e poi “gatto Silvestro schiacciato sotto un rullo 
compressore". In un altro caso, I’ayahuasca fa emergere seri problemi di 
sviluppo dell’identita maschile e una presenza ancora forte della compo- 
nente femmminile. Al test prelinfiinare, il soggetto dice: “vedo una foglia 
secca; non so cos’e questa parte superiore; e un condotto di qualche cosa; 
lo scarico di tutto o I’inizio di quaicosa" e poi nel test di picco dice: ""mi 
aveva colpito questa parte in alto: vedo che tutte (le tavole) hanno in co- 
mune due meta; tutte in comune il simbolismo di un fiore in sezione o di un 
fallo femminile. Prima avevo visto la foglia secca; ora non mi colpisce piu 
particolarmente”. 



L’indebolimento delle censure o la comparsa di rimossi avveniva anche per 
altri temi psichici delicati, quali il sesso o la morte. Nella sesta tavola, un 
soggetto, nel test preliminare vede “un filetto di merluzzo spiaccicato” e 
poi “un morto; la morte qui; (la tavola) mette alia prova lo spirito di osser- 
vazione: prima non vedi, poi guard! e guardi; basta, ho visto troppo”. 

Alla settima tavola, “due void che uriano" diventano “due falli eretti uno 
contro I’altro". Sempre nella settima tavola, un soggetto prima vede “due 
teste di bambina con le trecce" e poi viene “colpito, come nelle altre tavo¬ 
le, dal la giuntura, dove convergono le due immagini. In tutte c’e un punto 
di fusione e di separazione insieme, con aspetti cromatici bellissimi, inten- 
si". Nell’ottava tavola un altro soggetto vede prima “degli animali” poi “un 
animate che divora tutto; divorare e il suo destino". 

Nella nona, “una pianta; un cactus" e poi “folletti con riso sardonico; un 
organo sessuale femminile con gam be aperte”. 


Come si diceva piu sopra, I’emersione di ricordi/associazioni e vissuti ri- 
guardanti il parto o il momento della nascita e stato un risultato parzialmen- 
te inatteso, da una parte perche nei test di Rorschach questi contenuti sono 
rari, dall’altra perche Grot aveva gia segnalato un tale tipo di spinte 
psicodinamiche sia come effetto della LSD, che come effetto della respi- 
razione olotropica (il metodo di terapia da lui messo a punto) che come 
corollario abituale dei cambiamenti di stato di coscienza. 

Nel materiale di questi esperimenti con I’ayahuasca risposte di tale tipo nei 
test di picco si sono avute in ben il 50 per cento dei soggetti. Per esempio, 
nella prima tavola, al test di base, un soggetto vede: “un muso di animate; 
una maschera minacciosa; due uomini che ballano; un animate che vola; 
un profile maschile con nasone; una dea” mentre nel test di picco, coglie: 
“la dea di prima; un demone che vuol fare paura ma non ci riesce; anzi, ha 
preso delle legnate in testa; non avevo notato le manine e la vulva tra le 
manine; esce....bacino del sesso femminile, si apre verso il basso e quai¬ 
cosa esce . la nascita e un momento tremendo; I’asse centrale d impor- 

tante, ma non so perche". 

Un altro, nella sesta tavola, aveva visto: “una pelle distesa ad asciugare; 
organ! sessuali maschili e femminili; una scultura" mentre nel test di picco 
dira (ridendo): “e un uomo piccolo, piccolo con i piedi bianchi; brava la 
bernarda che lo libera". 



Un terzo, sempre nella sesta tavola, prima vede “una spada conficcata nel- 
la roccia” e poi ""due piedi che provocano una lacerazione per uscire di 
qua” (indicando un punto della figura). 

Mentre in alcune elaborazioni si e notata una certa continuita tra le associa- 
zioni durante il prime test e le elaborazioni nel corso del secondo, I’emersione 
di questi contenuti pub avvenire anche solo nel secondo test e costituire 
un’interpretazione della tavola univoca e monotematica, come nel caso di 
questo soggetto che, nel test di base vede nella sesta tavola “una fata; un 
folletto che danza; due void di lupi", mentre nel test di picco la stessa tavo¬ 
la gli fa venire in mente “I’ingresso di un’apertura, ia fessura e lunga e 
stretta; questa e una profondita (indica un punto della figura); potrebbe 
essere opprimente se i muri si incontrassero, ma non s’incontrano; se si 
incontrassero non avremmo piu via di scampo; poi la croce (indica di nuo- 
vo un particolare della tavola); si pud morire o ci si pud salvare; I’apertura 
ricorda I’utero”. 

Le associazioni riguardanti il parto e il momento della nascita non venivano 
evocate da una tavola in particolare, ma potevano essere innescate da tut- 
te. Nell’ottava tavola, per esempio, una soggetto aveva visto: “due animair 
mentre nel test di picco, gli stessi due animali diventano “animaletti che 
spingono e una lacerazione; sono tutti in fase di lacerazione; c’e anche 
qualcosa per raccogliere; ii tunnel e necessario per fare nascere questi 
gattr. Anche un altro soggetto, nella stessa tavola, prima dell’assunzione 
dell’ayahuasca vede “due animali alle estremita; potrebbero essere due 
felini, ma non vorrei sbagliare; no, due lontre" e poi nel test di picco vede 
“ie stesse cose di prima” ma con “un bell’impatto colorato” e viene “colpi- 
to di piu dalla colonna centraie attraverso la quale passa, pud passare qual¬ 
cosa; scendere; uscire”. 

Oppure dalla nona tavola, nella quale un soggetto al test di base vedeva “la 
radiografia di un bacino” e poi 6\sse:"deve succedere qualcosa ali’interno, 
come un calice che promette; come qualcosa in formazione; ora sta bene 
Ii, poi dovra nascere; sono piu interessanti di prima (le tavole)”. Un’ultima 
serie interessante di contenuti che I’ayahuasca sembra slatentizzare riguar- 
da I’area magico-religiosa e spirituale. Anche questo risultato era parzial- 
mente atteso: non a caso H vino dell’anima e usato dagli sciamani come 
strumento professionale e dagli aderenti alia Uniao de Vegetao come po- 
zione iniziatica. 

Tuttavia, anche molte altre sostanze hanno tale potere stimolante, tanto da 
essere state anche definite “enteogeniche”, ovvero “rivelatrici delle divinita 
interiori”, cosicche poteva sembrare un effetto psicodinamico scontato. In 
realta, come si vedra piu avanti, la comparsa di un alto numero di interpre- 
tazioni/allusioni alle dimension! trascendenti nei test di picco, confermava 
analoghe osservazioni di Stanislav Grof, non solo sugli effetti della LSD, ma 
anche sulla sua ipotesi che le modificazioni dello stato di coscienza dareb- 
bero luogo, obbligatoriamente, a quattro tipi fondamentali di esperienze: 
estetica, autobiografica, simbolica o transpersonale. Tra gli esempi di que¬ 
sti avvenimenti psicodinamici si pud citare il commento alia prima tavola di 
un soggetto che nel Rorschach in stato di coscienza ordinario vedeva “due 
angeli che si incontrano” e nel secondo test disse: “bella; la prima cosa 
che mi rimanda e un volto; un volto che mi fa capire che d possibile cono- 
scere una persona soltanto partendo dagli occhi”. 



57 


Oppure, di quell’altro soggetto che nella quinta tavola vide "'una farfalla” e 
poi, nel test di picco disse: ''un’immagine poetica di una farfalla notturna 
che vive nelle caverne, che ha come momenta della propria vita la notte; ha 
una sua dignita nel contesto In cui vive; ho gia avuto questa sensazione, di 
sentire 11 mio volo nella notte silenziosa. 

Con I’ayahuasca sento le cose in modo concrete, materiale; sento la soli- 

Kiecksografia di ^ccomuna. La farfalla e ancorata a questo habitat, 

Justinus Kerner, cosi anche I’uomo. Vlsta dall’alto la terra e un sasso. Perche separare la 

1857. ’ farfalla daH’uomo? E tutto una cosa sola”. 



0 anche I’evoluzione associativa dei commenti 
all’ottava tavola di quel soggetto che nel pri¬ 
me test vedeva ""due orsi che si allontanano 
dalla preda gia mezza mangiata, e’e 11 san- 
gue" e nel secondo elabora: “giaguari, e cie- 
lo in alto, che attrae, tocca I giaguari; manda- 
rino, simbolo complesso da decifrare; ecco 
perche iniziatica; storia dell’asse centrale; qui 
nel verde (indica un punto della tavola) si vede 
uno scheletro con uno strano pene". 
L’innesco delle esperienze transpersonal! si 
poteva accompagnare a una vaga sensazione 
di smarrimento, cosi come potrebbe avvenire 
quando i punti di riferimento abituali perdono 
parte della loro potenza. Un soggetto diceva: 
“vediamo se riesco a perdermi; e ricco di sug- 
gestione, e un mondo mitico; so che sto Im- 
maginando; questo angelo potrebbe essere 
un extraterrestre calato nel nostro mondo; in 
questo momenta mi sento parte della terra; 
se un globulo sanguigno si immaginasse di 
avere una vita propria, con I’ayahuasca siren- 
derebbe conto di essere parte di un tutto”. 

0, per finire, il commento alia decima tavola 
di un soggetto che nel test di base vedeva “un 
guerriero samurai; la faccia” e nel test di pic¬ 
co vedeva “cose bellissime; armonia; slmme- 
tria in sintonia con le forme natural!, come se 
vedessi cose da vicino; un torero; fiori; da vi- 
cino; troppo da vicino; diventano altro.... non 
so... ora...”. 

Al di la delle possibili critiche metodologiche 
0 della preliminarieta dei risultati, questa ri- 
cerca sugli effetti psicodinamici dell’ayahua- 
sca rappresenta una delle migliori iniziative 
della SISSC. L’idea di utilizzare il test di 
Rorschach prima e al picco degli effetti della 
bevanda e molto originale e meriterebbe di 
essere raffinata e perfezionata in modo tale 
da diventare un metodo corrente per lo studio 


delle sostanze psicoattive o di altri stati modificati di coscienza. Raffinarla 
significherebbe, nel caso deirayahuasca, aumentare il numero dei soggetti 
sperimentali, tenerli all’oscuro degli scopi dell’esperimento (dicendo solo 
Che assumeranno la pozione, ma non dando spiegazioni sul perche do- 
vranno subire il test di Rorschach ne sul suo significato), elaborare accura- 
tamente, punto per punto, tutte le dinamiche e i temi che compaiono nei 
singoli test; elaborare statisticamente i dati; richiedere interpretazioni cro- 
ciate con altri esperti di Rorschach all’oscuro deH’esperimento; confronta- 
re questi con eventuali altri test eseguiti in stato di coscienza ordinaria, e 
cosi via. 

Perfezionarla significherebbe standardizzare tutta la procedura, rispettando 
le regole della ricerca scientifica (per esempio, istituendo anche un gruppo 
di controllo), dosando il contenuto in beta-carboline e DMT, paragonandola 
con altre sostanze, e cosi via, mediante un lungo e faticoso lavoro che ri- 
chiederebbe impegno e continuity Infatti, seppure preliminari, i risultati di 
questa ricerca hanno dimostrato che I’ayahuasca possiede un potente ef- 
fetto psicodinamico, tale da giustificare e confermare la fama di strumento 
iniziatico/evolutivo che le popolazioni amazzoniche e gli aderenti al Santo 
Daime o diiyUniao de Vegetao le attribuiscono. 

Queste capacita riportano all’attualita I’idea di usare sostanze psicoattive 
come adiuvanti nelle psicoterapie. Gia negli anni ‘60-70 Timothy Leary e 
Richard Alpert avevano proposto I’uso della LSD e successivamente altri 
quello del DMT o addirittura della ketamina. E stata chiamata lerapia 
psicolitica” e le poche esperienze disponibili dimostrerebbero che molte 
sostanze hanno gli effetti psicodinamici dimostrati dell’ayahuasca in que¬ 
sta ricerca. 

Al di la delle difficolta politiche e pregiudiziali che la terapia psicolitica su- 
scita, e chiaro che rappresenterebbe I’uso pratico degli stati modificati di 
coscienza in terapia, un metodo che le popolazioni tribali praticano da se- 
coli (anche se non e possibile parlare di psicoterapia) con risultati proba- 
bilmente soddisfacenti, visto che non I’hanno abbandonata. 

E ben vero che forse non hanno di meglio, sia culturalmente che chimica- 
mente, ma non sarebbe la prima volta che I’esperienza empirica delle me¬ 
dicine primitive insegni qua'lcosa di “nuovo” alia medicina scientifica occi- 
dentale. Come si e piu volte accennato, vari risultati di questa ricerca erano 
in parte attesi. Studiando piu di cinquemila protocolli di seduta con la LSD, 
Stanislav Grot, infatti, si e convinto che tale molecola pub dare luogo a 
quattro tipi diversi di esperienza: 

1) estetica, che consiste nelle allucinazioni colorate e nelle trasformazioni 
psichedeliche degli oggetti della realta esterna che tutti conoscono e che 
hanno ispirato il conio del termine “psichedelico”; 

2) autobiografica, che consiste nell’emersione e nel rivissuto di memorie 
personal! profonde riguardanti traumi, relazioni primarie, event! affettivi, lutti 
e cosi via; 

3) simbolica, nel corso della quale singole immagini assurgono al ruolo di 
messaggi plurivalenti, densi di significati reconditi sulla struttura della mente, 
su problemi psicologico/filosofici, suH’essenza delle cose e cosi via; 



4) transpersonale, e cioe di contatto con dimensioni trascendenti, con il 
mito, con i piani ultraumani e con il significato religioso della vita. 

Nelle singole sedute si possono vivere tutte e quattro le esperienze mischiate 
tra loro oppure una sola o due, con un grado di variabilita individuale legato 
principalmente a fattori personologici e psicodinamici. 

Le esperienze autobiografiche sono spesso consistite in memorie straordi- 
nariamente precise degli eventi del-parto e della nascita, con un evidente 
transito nell’esperienza simbolica. 

La frequenza di questi ricordi era altissima, tanto che se un soggetto inge- 
risce piu volte la sostanza, prima o poi ha questo tipo di esperienza. La 
memoria degli eventi e prodigiosa: in molte occasioni Grot ha controllato la 
verita di dettagli troppo precisi e inusuali per poterli ritenere allucinatori o 
inventati, interrogando le madri di coloro che li avevano avuti e spesso que¬ 
sts si sono meravigliate che i figli potessero sapere particolari del parto 
che esse non avevano mai loro raccontato. 

Su tali basi, Grot sostiene che il parto e la nascita costituiscono una fonte 
di spinte psicodinamiche estremamente potenti, che agiscono per tutta la 
vita. Ogni fase del parto pud dare origins a vissuti traumatici molto vividi 
che finiranno per funzionare come cause occults per angosce, malesseri e 
vari disturb! psicologici collegati simbolicamente agli incident! avvenuti in 
una delle fasi del parto. Quests sono quattro. 

Nella prima, che viene detta anche “nirvanica”, il feto, che vive in uno stato 
beatifico, cullato nel liquido amniotico, nel buio e nel silenzio, nutrito e ri- 
scaldato, galleggiando leggero nel nulla, pud essere disturbato da eventi 
chimici (scariche di adrenalina, intossicazioni materne, asfissia o penuria 
di ossigeno), meccanici (traumi) o altri meno chiari che vengono (ardita- 
mente) ipotizzati sulla base di una presunta comunicazione tra madre e feto 
che avverrebbe per canali misteriosi, ancora da scoprire. 

La seconda fase del parto e quella nella quale, all’lmprovviso, lo stato 
nirvanico viene interrotto e iniziano le contrazioni del travaglio. II feto si 
sente scacciato, schiacciato, e (forse) rifiutato. La minaccia di morire stri- 
tolato lo induce a cercare una via d’uscita e a impegnarsi con tutte le sue 
risorse in una fuga difficilissima e faticosissima. 

Nella terza fase si verifies il passaggio attraverso il canale del parto, che 
viene ricordato spesso come il transito attraverso un “tunnel” angusto e 
interminabile, con la sensazione che il passaggio possa interrompersi da 
un momento con I’altro e si rest! imprigionati fino a morire. 

La quarts fase, quella finale, dopo I’espulsione del feto, e caratterizzata dal 
primo respiro, dal freddo, dai rumori, dal taglio del cordons ombellicale e 
dalla sensazione che da li in avanti occorrera cavarsela solo con le proprie 
forze. Tutto il parto e caratterizzato da un rapporto di alleanza/assistenza 
che la madre con la sua abilita e serenita nel partorire, trasmette misterio- 
samente al feto. Grot ha chiamato le quattro fasi “mafr/c/ basali perinatair 
e ha ricostruito fase per fase una presunta influenza dei vissuti soggettivi in 
ognuna di esse sullo “stile” psicologico, le tendenze, I comportamenti e i 
disturb! degli individui. E una teorizzazione ardita, che la psicologia acca- 
demica rifiuta sdegnosamente e che, comunque, non ha ancora ricevuto 
un’adeguata conferma sperimentale. Nella ricerca suirayahuasca. quindi, i 
ricordi e i comment! sulla nascita e il parto sono stati molto important!, sia 


perche hanno confermato le osservazioni di Grot, sia perche dimostrano 
Che anche altre sostanze possiedono lo stesso drive psicodinamico e per¬ 
che rendono piu credibile la teorizzazione successiva di Grof sulla struttura 
deirinconscio. 

Infatti, poiche gli stessi tipi di esperienza si verificano anche in seguito alle 
sedute di “respirazione olotropica”, un metodo per provocare nfiodificazioni 
dello state di coscienza che Grof ha sviluppato per poter fare a meno di 
innescatori chimici, Grof ha pensato che ogni modificazione dello state di 
coscienza sfoci obbligatoriamente in una delle quattro possibili esperienze 
scoperte con la LSD. Anche questa e un’idea che dovra essere sottoposta a 
verifica sperimentale e cio richiedera tempo, impegno, lavoro e “fede” nelle 
intuizioni di Grof. In ogni case, gli esperimenti con I’ayahuasca di cui si e 
riferito giustificano le credenze sulle sue proprieta iniziatico/evolutive e sul¬ 
la sua potenza psicodinamica. 


Disegno di 
Yando de Rios 
raffigurante un 
felino, figura 
ricorrente 
durante le 
esperienze con 
ayahuasca. 











RANORAM/CA SULLA 
R/CEHCA CON DMT 


Rick J. 

Strassman 

M.D. 

Dipartimento di 
psichiatria, 
Universita del 
New Mexico, 
Albuquerque. 



62 


Articolo 
originariamente 
apparso su; 
/WAPS, vol 8(3), 
1998: 4-11. 

La redazione di 
ALTROVE e la 
SISSC ringrazia- 
no il dr. Strass¬ 
man e lo staff di 
/WAPS per la 
gentile conces- 
sione alia 
versione italiana. 

MAPS. 2105 
Robinson Ave. 
Sarasota 
Florida 
34232 

WWW maps.org 






Preludio: le prime session! 

Nel Novembre del 1990 somministrammo a Philip la prima dose di DMT del 
nostro progetto di ricerca. In quel primo caso la somministrazione avvenne 
per via intramuscolare (IM). Diversamente da quanto facemmo in seguito. 
Come si vedra, gli effetti del DMT IM furono scarsi, e dopo quella prima 
seduta passammo alia somministrazione per via endovenosa (EV). 

Quando iniziai il progetto DMT, Philip era un uomo di 45 anni, di statura e 
corporatura media, barba e occhiali, psicologo clinico di fama internazio- 
nale, psicoterapeuta e conduttore di workshop. 

Philip aveva in precedenza gia fumato il DMT, ed io ero contento che lo 
avesse fatto. Lui e Nils, il nostro secondo volontario, lo avevano fumato 
circa un anno prima, a casa di Philip. Fu il giorno dopo che uno sciamano 
peruviano, o guaritore tradizionale, condusse una cerimonia religiosa uti- 
lizzando piante contenenti DMT. La pozione in questione e conosciuta come 
ayahuasca o yage, la famosa “liana dell’anima” o “liana dei morti”. I due 
furono entusiasti di questa forma oralmente attiva di DMT, ed erano curiosi 
di fumare la sostanza il giorno successivo, quando alcuni partecipanti al 
workshop I’avrebbero resa disponibile. I due volevano provarne gli effetti in 
modo piu rapido e intense. L’esperienza di Philip e di Nils col DMT fumato 
fu quella tipica di molti individui. Incredibile rapidita degli effetti, 
caleidoscopica apparizione di visioni e sensazione di separazione della co- 
scienza dal corpo fisico. E, piu curiosamente, un sentimento dell’a/fro in 
qualche modo all’interno del mondo allucinatorio al quale il DMT permise 
loro I’accesso. 

Anche se non incoraggio I’abuso di psichedelici, soltanto chi ha esperienza 
con queste sostanze e un potenziale candidate per la nostra ricerca. Ci6 6 
dovuto in gran parte a motivi di “consenso informato". 

Si pub veramente sapere cosa accade con questo tipo di ricerca senza aver 
avuto la propria personale precedente esperienza? 

Era difficile credere che fossimo pronti a somministrare il DMT. II processo 
per ottenere I’autorizzazione e i fondi necessari che durb due annI e che 






credevo non avesse mai fine, era finalmente alle mie spalle. Se da un lato 
eravamo arrivati a un giorno storico, il fatto che stavamo per somministrare 
a Philip il DMT per via intramuscolare (IM), mi aveva gia proiettato al dopo. 
Pensavo che il metodo IM fosse troppo lento e morbido rispetto alia droga 
fumata. Quello che avevo letto sul DMT IM mi indicava che la sostanza avreb- 
be impiegato piu di un minuto ad agire, molto di piu che col fumo, quando 
gli effetti sono avvertibili fin dalla prima inalazione. Ma poiche tutte le pre¬ 
cedent ricerche sul DMT pubblicate, eccetto una, si riferivano al metodo 
IM, fui costretto ad iniziare in questo modo. 

Valutai che 1 mg di DMT per chilogrammo di peso corporeo, vale a dire 
circa 75 mg, sarebbe stata una dose moderatamente alta, basandomi sulla 
letteratura medica precedente. Erano ormai passati cinque anni dalla mia 
ultima iniezione IM, e mi sentivo un po’ nervoso nel somministrare per que- 
sta via la prima dose di DMT. Cosa sarebbe successo se avessi sbagliato? 
Probabilmente la mia ultima IM fu di aloperidolo, un farmaco antipsicotico, 
eseguita su un paziente psicotico in stato di agitazione. Pazienti di questo 
tipo sono spesso stati precedentemente bloccati alle braccia e alle gambe 
dal personale psichiatrico o dalla polizia per impedire che le loro condizioni 
disorganizzate e spaventate possano tradursi in atti di violenza. Tutto cid 
comporta che il braccio del paziente si trovi in una posizione relativamente 
stabile per praticare un’iniezione. 

Anche se cio accadeva alcuni anni or sono, potevo ancora ricordare la si- 
curezza con cui facevo le iniezioni IM, avendone fatte centinaia durante un 
periodo di circa dieci anni. Mi piaceva fare iniezioni. II segreto stava nel 
pensare alia siringa come ad un dardo. Alla scuola di medicina ci era stato 
insegnato ad immaginare di scagliare un dardo nel muscolo rotondo della 
spalla di un paziente, o nel grande gluteo, che comprende la maggior parte 
della massa della natica. Un singolo e fluido movimento, tale da permettere 
all’ago di entrare nel muscolo, di solito da ottimi risultati. La pratica veniva 
fatta su di un pompelmo. Ma Philip non era un pompelmo, e nemmeno un 
paziente psicotico inviatomi per essere sedato. Era un collega, un amico, 
un volontario con la nostra stessa preparazione in molti campi. Philip stava 
per essere I’esploratore. 

Eseguivo la tecnica neH’aria, prima di entrare nella stanza di Philip. Spiegai 
quello che stavamo per fare: “Strofinero la tua spalla con dell’alcool. Pren- 
diti tutto il tempo necessario per rilassarti. Poi introdurro I’ago nella spalla, 
aspirerd per assicurarmi di non aver perforate nessun vaso sanguigno, poi 
spingerd lo stantuffo della siringa. Forse sara un po’ doloroso, forse no. 
Dovresti sentire qualcosa dopo un minuto o anche meno. Ed io non so di 
cosa si tratter^i". 

Philip aveva gli occhi chiusi, gid pronto ad avventurarsi In territori scono- 
scluti, territori che solo lui avrebbe percepito, lasciandoci a vegliare sulle 
sue funzioni vital!. Aveva bisogno di un po’ di tempo per rilassarsi e prepa- 
rarsi. Chluse di nuovo gli occhi e disse: "Sono pronto”. L’iniezione fu fatta 
senza II minimo Intoppo. 

Dopo circa 60-90 second! Philip apri gli occhi, incomincid a respirare piu 
profondamente e appari "alterato". Le pupille erano dilatate, si lamentava, i 
lineament! del viso si ammorbidirono. Chiuse gli occhi mentre Robin, la 
sua compagna, gli stringeva la mano. Alzd gli occhi su di lei dopo circa 25 


minuti. Le sue prime parole furono; “Avrei potuto fare di piu”. Tutti noi ti- 
rammo un sospiro di sollievo. Quaranta minuti dopo I’iniezione incomincio 
a parlare con voce lenta e incerta, nel suo tono pacato. “Sono stato nel mio 
corpo”, disse, intendendo dire di aver mantenuto la consapevolezza del suo 
“se fisico pertutta la seduta”. Ha poi aggiunto: “Rispetto al DMT fumato la 
visione e stata meno intensa, i colon meno profondi, le geometrie non ave- 
vano la stessa velocita”. 

Cercd le mie mani in segno di conforto. Le mie mani erano sudate per la 
tensione e Philip rise di gusto della mia ansia, che era, chiaramente, mag- 
giore della sua! 

Quando si alzd per recarsi in bagno era abbastanza malfermo sulle gambe. 
Al ritorno prese del succo di frutta e un po’ di yogurt mentre compilava il 
nostro questionario. Si sentiva “fuori posto” mentre ci recavamo in un altro 
edificio dove io avevo da fare alcune commissioni. Volli accompagnarlo e 
vedere come stava per le successive due o tre ore. 

Ci salutammo nel parcheggio e gli dissi che Io avrei rivisto in serata. Quan¬ 
do ci risentimmo Philip mi disse che lui e Robin sarebbero andati a pranza- 
re dopo aver lasciato I’ospedale. Si sentiva di colpo piu attento e concen¬ 
trate. Mentre Robin percorreva le quaranta miglia che li separavano dalla 
loro casa sulle montagne attorno Albuquerque, Philip era euforico, e i colo- 
ri gli apparivano piu luminosi. Al telefono mi sembrd abbastanza contento. 
Dopo alcuni giorni Philip mi fece avere un suo rapporto scritto. Particolar- 
mente significative fu il suo ultimo commento: “Mi aspettavo di raggiunge- 
re un livello piu alto, di lasciare il corpo e la coscienza dell’lo, di raggiunge- 
re Io spazio cosmico, ma non e successo”. 

Philip non riteneva che gli effetti avessero oltrepassato la soglia che lui si 
aspettava. Questa soglia, che abbiamo chiamato “soglia psichedelica” de- 
gli effetti pieni del DMT, e superata quando vi e una separazione fra la mente 
e il corpo, e la completa sostituzione dei contenuti mental! con gli effetti 
della sostanza. Vale a dire un sense di meraviglia, di timore, un sentimento 
di innegabile certezza nella realta dell’esperienza. Simile livello non fu rag- 
giunto da Philip con DMT IM. 

Da parte mia ero contento di aver qualcuno come Philip nel ruolo di “cavia 
umana”. Era psicologicamente mature e stabile, familiare con gli effetti di 
queste droghe, e poteva fornire chiari e comprensibili parallel! fra gli effetti 
delle diverse sostanze. Mi sentii rassicurato sulla correttezza di inserire nel 
nostro progetto di ricerca soltanto consumatori esperti di psichedelici. 

II racconto di Philip non lasciava dubbi sul fatto die gli effetti del DMT IM 
sono inferiori a quelli del DMT fumato. Avremmo potuto somministrare una 
dose piu alta IM, ma non credevo che do avrebbe fornito il caratteristico 
rush (il passaggio fulmineo dalla normalita alia realta psichedelica) del DMT 
fumato. Forse il fatto che c’e cosi poco tempo per prepararsi al rush rende 
gli effetti della sostanza cosi inusuali. Non c’e molto da fare, se non stare 
fermi e guardare, e ricordare. Non c’e nulla da elaborare. 

Poichd il nostro lavoro si focalizzava sugli effetti degli psichedelici cosi come 
di solito vengono sperimentati dai consumatori, credevamo fosse impor- 
tante riprodurre il piu fedelmente possibile gli effetti del DMT fumato, il modo 
in cui 6 di regola assunto “nelle strade". 

Oltretutto pensavo che, poich6 il DMT 6 prodotto naturalmente dall’organl- 
smo umano, il modo migliore per determinarne gli effetti e il possibile ruolo 




sulla nostra vita mentale, fosse quello di farlo giungere al cervello il piu 
rapidamente possibile. 

Fumare DMT al research unit era impossibile. A parte il terribile odore che 
emana la combustione del DMT, simile a quello di plastica bruciata, non 
sapevamo quali prodotti potenzialmente tossici prodotti dalla combustione 
potevano svilupparsi e finire nei polmoni. E non eravamo neanche sicuri 
che tutto il DMT sarebbe stato assorbito con il fumo. I fumatori di DMT 
dicono che di solito ci vogliono 3-4 profondi “tiri” per ottenere effetti pieni. 
Sapevo che quando viene fumato la stanza sembra esplodere in milioni di 
cristalli e il corpo con essa. Stabilire se si sta inalando o no diventa abba- 
stanza complicato, cosi come sapere se si e immesso nei polmoni suffi- 
ciente vapore di DMT. Parlai col collega che aveva sintetizzato il DMT, prof. 
David Nichols della Purdue University, un’autorita internazionale nei campo 
delle droghe psicoattive. Egli ritenne necessario passare alia somministra- 
zione per via endovenosa, ma disse di essere felice di non essere lui a 
percorrere quella strada! Chiamai allora il medico supervisore della ricerca, 
il quale disse cinque parole che contemporaneamente mi sorpresero, tran- 
quillizzarono e terrorizzarono: “E lei I’esperto. Decida lei”. Era vero, ma le. 
implicazioni del commento erano enormi. 

La ripresa della ricerca psichedelica americana su esseri umani avvenne 
proprio con questo progetto, con la mia ideazione e la mia guida attraverso 
il protocollo durato due estenuanti anni. 

Ora lo stavo mettendo in atto. Con la responsabilita provavo anche una cer- 
ta incertezza. Ero preparato a tutto cio, indipendentemente dagli anni di 
training? I dubbi e i rischi erano tanti. Ed ora, dopo la nostra prima dose di 
DMT, mi trovavo a dover decidere di fare con la sostanza una cosa mai 
provata prima: immetterla direttamente nella circolazione di un soggetto sano 
attraverso la via endovenosa (EV). 

La sola notizia sul DMT EV era in un rapporto pubblicato negli anni '50, che 
analizzava pazienti sofferenti gravi forme di schizofrenia, la maggior parte 
del quali non era in grado di'fornire elementi chiari sulla sua esperienza. II 
medico supervisore consiglio: "Provi con 1/5 della dose utilizzata IM; que¬ 
sto probabilmente vi dara i livelli massimi di DMT nei sangue e nei cervello 
minor! di quelli avuti via IM, e dovreste avere spazio di manovra”. 

Philip e Nils furono entusiasti di sottoporsi a questa nuova e inesplorata 
fase della ricerca, quella di stabilire un soddisfacente dosaggio di DMT EV 
in volontari normal!. Poich6 entrambi avevano fumato DMT, avremmo potu- 
to stabilire direttamente un confronto fra il DMT fumato e per via endoveno¬ 
sa; e, nei caso di Philip, anche per via intramuscolare. 

Nils, che viveva in Arizona, si trasferi con un gruppo di amici nei New Mexico 
per un mese, in modo da poter cominciare il lavoro col DMT. Quando inizid 
aveva 36 anni, negli ultimi anni aveva utilizzato sia marijuana che “funghet- 
ti" contenenti psilocibina. Aveva anche scritto, sotto pseudonimo, dei li¬ 
bretti underground suH’uso psichedelico del veleno del rospo del deserto di 
Sonora, veleno contenente altl livelli di un composto molto simile al DMT, la 
5*metossi-DMT. 

Nils era allampanato, affascinante e buffo ad averci a che fare. Nutriva un 
forte interesse verso gli psichedelici ed era perennemente alia ricerca di 
qualche sconosciuto animale o pianta che potesse avere un effetto psiche- 


li Bufo Alvarius, 
rospo 

psichedelico del 
deserto di 
Sonora, produce 
un veleno 
contenente 
alti livelli di un 
composto molto 
simile al DMT, la 
5-metossi-DMT. 



delico. Era una miniera di conoscenze di chimica e di piante sconosciute, 
aveva preso LSD molte volte, “perdendo il conto dopo la 150® volta”. Non si 
pud dire che fosse estraneo agli psichedelici e ai loro effetti. Rimase forte- 
mente impressionato dalla sua prima ed unica esperienza con DMT fumato, 
I’anno prima a casa di Philip. Disse: “Mi ha dato forti sensazioni telepatiche 
che mi hanno fatto stabilire legami mentali con le persone attorno. Tutto cio 
era travolgente e disorientante. Mi emozionai tantissimo, come se una voce 
interiore mi parlasse. Era il mio desiderio direttamente relazionato a me stes- 
so. E stata I’esperienza piu intensa della mia vita. Non potevo alzare le brec¬ 
cia, e stato un viaggio duro. E una Mecca mentale, un eccellente punto di 
riferimento per tutti gli altri psichedelici. Quelli attorno a me sembravano 
insetti spaziali alieni”. 

Nils ebbe 0,2 mg/kg di DMT EV una settimana dopo la prima dose IM di 
Philip, nel Novembre 1990. Come nella somministrazione di DMT a Philip, 
sebbene questa volta fosse una specie di punto di riferimento, sentii che si 
trattava di un “giro a vuoto”, una prove per la dose vera e propria che cre- 
devo sarebbe stata sopra i 0,2 mg/kg. 

E questo il metodo della ricerca clinica: piccoli e lenti passi per assicurarsi 
di non far danni. Sfortunatamente a volte e difficile ascoltare i propri am- 
monimenti, come avremmo visto ben presto. La nuova soluzione di DMT 
giunse all’Ospedale universitario in quantita scarsa, non piu di un cc, un 
sedicesimo di cucchiaio. Cosi, al fine di controllare bene la quantita di dro- 
ga da somministrare per non iniettarla tutta in una volta sola, aggiunsi 4 cc 
di soluzione fisiologica. 

Mentre cio avrebbe diluito il DMT in misura insignificante, mi permetteva di 
somministrare la droga piano e delicatamente con un flusso costante di un 
minuto o giu di li. Cynthia, la nostra infermiera, ed io ci sedemmo ai due lati 
di Nils, steso nel suo sacco a pelo militare. 

Lo ha portato con se ogni volta che ha viaggiato, sia quando ha viaggiato 
on the road (sulla strada) sia quando ha fatto un “viaggio psichedelico”. A 
meta dell’EV Nils disse; ”Si, ne sento il gusto”. Nils fu uno dei pochi volon- 
tari che riuscirono a sentire il gusto del DMT mentre questo passava attra- 
verso la bocca e la lingua diretto al cervello. Un gusto metallico, legger- 
mente amaro. 





Quando ebbi terminato I’EV notai, e ne fui sorpreso, quanto rapidamente la 
soluzione di DMT fece la sua strada. Terminal I’iniezione lavando I’EV con 
ancora un po’ di soluzione fisiologica, per esser certo che tutto il DMT fos¬ 
se passato in circolo. Le mie annotazioni relative agli effetti di 0,2 mg/kg di 
DMT EV somministrati a Nils sono piuttosto scarne. 

Forse perche Nils e un uomo taciturno, o forse perche disse che quella 
dose era un terzo o un quarto di una dose plena, rispetto alia sua esperien- 
za col fumo. Con un po’ di presunzione per la sicurezza con cui erano state 
condotte queste due prime sedute, decisi di triplicare la quantita EV di Nils: 
0,6 mg/kg. Ad un’analisi retrospettiva il passaggio a 0,4 mg/kg sarebbe 
stato piu adatto. La mia sicurezza era prematura. 


In un freddo e ventoso mattino di Albuquerque, nel Dicembre 1990, entrai 
nella stanza di Nils che, infilatosi nel suo sacco a pelo, attendeva la prima 
dose da 0,6 mg/kg. Cynthia aveva applicato al braccio un piccolo ago per 
Iniettare la soluzione di DMT Era seduta alia destra di Nils, mentre io presi 
posto alia sua sinistra, dove il tubo della EV pendeva dal braccio. Era pre¬ 
sente anche Philip, che avrebbe ricevuto la stessa dose piu tardi, se le cose 
andavano bene con Nils. Sedette ai piedi del letto, curioso dell’esperienza 
di Nils, e per provvedere ad un sostegno morale a tutti noi. Un po’ sospet- 
tavo che avremmo avuto bisogno di lui anche per un aiuto fisico. Iniettai la 
soluzione di DMT piu rapidamente della volta precedente, in 30 secondi 
anziche 45. 

Pensavo che un’iniezione piu rapida avrebbe prodotto una minor diluizione 
del DMT nel sangue, e conseguentemente un picco maggiore nel cervello. 
Dopo la somministrazione della droga e la pulitura dell’EV con soluzione 
fisiologica Nils disse: “Posso sentirlo... Eccolo!”. Subito dopo aver parlato 
comincio a tossire e a rivoltarsi nel sacco a pelo, poi si aizo di scatto: “Sto 
per vomitare”. Ci guardo, intontito e confuso. Cynthia e io ci guardammo 
I’un I’altra e ci accorgemmo di non aver nulla da dargli per vomitarci dentro, 
non avevamo previsto questa necessity 

Nils brontold: “Ma non ho fatto colazione... Non ho nulla da vomitare”. In- 
comincid a rigirarsi, si copriva il viso col cuscino e col sacco a pelo. As- 
sunse una posizione fetale tra noi e la macchina per misurare la pressione, 
attorcigliando il tubo di collegamento, in modo che non fummo in grado di 
misurare adeguatamente la pressione per 2-5 minuti, quando pensavamo 
fosse all’apice degli effetti, e potenzialmente pericoloso. Nils cercd di scen- 
dere dal letto, ma il suo tentativo sembro piu un movimento senza senso di 
braccia e gambe. Le mani erano fredde e appiccicose, mentre noi Io rimet- 
tevamo nel letto che ora sembrava troppo piccolo. Dopo 6 minuti vomito in 
una bacinella che recuperammo dal gabinetto. Poichd per vomitare dovette 
mettersi seduto, avemmo I’opportunita di riposizionarlo in modo da poterlo 
osservare meglio e per poter misurare la pressione e registrare il battito 
cardiaco. Si voltd verso Cynthia, cercando un contatto e le toccd le mani e 
i capelli. Sembrd sul punto di afferrarsi ai capelli ma di colpo sembrd di- 
menticare cid che stava facendo. Mi fissd e disse: “Ho bisogno di guardare 
te adesso, non Philip o Cynthia". 

Feci del mio meglio per apparire calmo e rispondere al suo sguardo: se mi 
fossi rivolto a lui con serenity sarebbe andato tutto bene. Dopo 10 minuti, 
quando finalmente riuscimmo a misurare in maniera soddisfacente polso e 


A 



pressione, questi risultarono sorprendentemente normali. Dopo 19 mi- 
nuti si aizo sui gomiti e scoppio a ridere. Sembrava veramente “cotto”: 
pupille dilatate, volto sfatto, borbottio incoerente. Alla fine disse: “Penso 
che la dose ottimale sia fra 0,2 e 0,6”. Tutti noi ci mettemmo a ridere e la 
tensione si fece minore. Nils aveva ancora le sue facolta mentali, almeno 
in quel momento. Continuo: “C’era il movimento del se, mi spiace sia 
finito. Era una tavola calda di colon. Una sensazione familiare. Si, sono 
tomato. Loro erano la e ci siamo riconosciuti”. Gli chiesi “Chi?”. “Nes- 
suno 0 niente di identificabile in quanto tale”. Sembrava essere sotto 
effetto, non volevo pressarlo. Ha proseguito: “Scendere dall’alto era co- 
loratissimo, ma era niente paragonato a quello che era il picco. AH’apice 
mi accorsi di essere tomato dov’ero stato I’anno scorso quando fumai il 
DMT. Era triste abbandonare quel luogo. Credevo di stare veramente male. 
Sentivo la vostra presenza sopra di me, come se stessi per morire e voi 
che cercavate di resuscitarmi. Ho sperato che andasse tutto per il me- 
glio. Cercavo di afferrare quello che accadeva dentro”. Fece una pausa e 
poi aggiunse: “Sono stanco, mi piacerebbe fare un pisolino, ma non ho 
veramente sonno”. Oltre a questo Nils disse poco, se non che era spa- 
ventosamente affamato, avendo (fortunatamente) saltato colazione. Man- 
gio con gusto mentre compilava il nostro questionario. Cosi persino Nils 
reputava che 0,6 mg/kg fossero troppi! 

Rimasi qualche minuto nella stanza a riflettere. Dal punto di vista cardio- 
logico la pressione e il battito cardiaco erano stati solo modestamente 
coinvolti, anche se non possedevamo i dati di quello che era stato il 
picco. Sembrava pertanto che la somministrazione di 0,6 mg/kg di DMT 
EV non comportasse alcun danno fisico. Tuttavia non ero certo se la 
scarsita del racconto di Nils dipendesse dal fatto che non ricordava cid 
che era successo o se era nel suo stile tenere per se la maggior parte di 
cio che provava. 

Lo interrogai su “Loro”, con cui si era incontrato. Cosa significava “ci 
siamo riconosciuti”? Perche era malinconico quando lascib quei “Loro”? 
Pensava fossero amici ed era triste la separazione. Ero intrigato dal sen- 
so di Nils della natura “abitata” della sua esperienza. Tutto questo era 
differente da molti racconti che avevo sentito sugli altri psichedelici, come 
USD 0 i funghi psilocibinici, ma combaciava con molte descrizioni degli 
effetti del DMT raccolte mentre intervistavo i consumatori abituali di questa 
sostanza alio scopo di mettere a punto il questionario. Avevamo chiara- 
mente oltrepassato la “soglia psichedelica”. La rapidita e I’intensita della 
salita degli effetti, I’irrefutabile natura dell’esperienza, il temporaneo (e 
forse troppo prolungato) disorientamento all’inizio del suo resoconto. la 
natura “abitata” dell’esperienza, tutto fa pensare ad una dose piena di 
DMT. Ma era troppo oltre la “soglia psichedelica”? Nils, come si autodefini, 
era una “testa dura”, e richiedeva dosaggi piu alti di altre persone per 
ottenere gli stessi effetti. Come sarebbero andate le cose con Philip? 

Nils ora stava bene, ero contento di vedere le sue condizioni cosi buone 
poco dopo essere stato spinto giii da una specie di scogliera psichica. 
Chiesi a Philip se fosse sicuro di volere la stessa dose, e mi rispose 
immediatamente di si. lo non ero cosi sicuro, speravo che rifiutasse 
un’esperienza come quella di Nils. Forse avrebbe scelto un dosaggio di 





0,5 0 0,4 mg/kg, abbastanza semplice 
da somministrare, un po’ meno della 
siringa plena di soluzione di DMT. Cre- 
devo inoltre che questa dose fosse fi- 
sicamente innocua, che gli effetti men- 
tali si sarebbero rivelati a noi con mi¬ 
nor incertezza di quanto non avvenne 
con Nils. 


\ G^Ni'rigMi 




Ma Philip si ritenne pronto per i suoi 
0,6 mg/kg. 



Questa tendenza del nostri volontari ad 


andare avanti anche col rischio di 

un’esperienza psichedelica annichilente era molto marcata. Cio fu ancora 
piu evidente nel nostro studio sulla tolleranza, quando nessun soggetto, 
per quanto stravolto, rifiuto la quarta ed ultima dose di DMT in un solo 
mattino. Mi trovavo di fronte un dilemma scientifico, personale ed etico. 

La mia preparazione mi consigliava di prescrivere sempre il meno possibile 
di un farmaco per valutarne gli effetti tossici, per essere in grado di ricono- 
scerli in varie circostanze. Questo vale ancora di piu quando si ha a che 
fare con una nuova droga sperimentale. 

Avrei dovuto dire a Philip che non intendevo ripetere con lui I’esperienza 
con 0,6 mg/kg di DMT. Questo era in mio potere, in qualita di direttore del 
progetto di ricerca, ma Nils stava bene, ed era stata la prima e sola persona 
ad aver avuto un simile dosaggio di DMT. Philip viveva lontano da 
Albuquerque, e costringerlo a rifare il viaggio per 0,6 mg/kg qualora 0,4 o 
0,5 mg/kg non fossero stati sufficient! lo avrebbe infastidito. Inoltre Philip 
mi piaceva e lui voleva i suoi 0,6 mg/kg. Quanto ha influito la nostra amici- 
zia a farmi fare cio che richiedeva? Mi augurai di aver preso la decisione 
giusta mentre mi apprestavo a somministrare a Philip i fatidici 0,6 mg/kg. 

Philip e io raggiungemmo Cynthia e Robin nella stanza. La stanza, spoglia e 
sterile, aveva il pavimento di linoleum brillante, le pareti rosa salmone e tubi 
per I’ossigeno, per aspirare le secrezioni, per I’acqua, dietro il letto. Philip 
aveva appeso un poster di Avalokistevara, il santo della compassione 
buddhista dalle cento braccia, sulla porta di legno del bagno che fronteg- 
giava il suo letto. Un televisore attaccato con un groviglio di fill al soffitto 
guardava dall’alto il letto meccanico dalle leggere lenzuola dell’ospedale. 
Uaria condizionata emetteva un forte brusio. Philip indossava pantaloni e T- 
shirt, si distese sul letto e si mise nella posizione piu confortevole possibi¬ 
le. Cynthia inseri con abilita il laccio nella vena per iniettare il DMT. II brac- 
cio aveva gia il cavo del misuratore di pressione. L’altro braccio aveva una 
EV piu grande per prelevare campion! di sangue e quantificare la concen- 
trazione di DMT nel sangue una volta iniettato. Questa EV era attaccata ad 
un contenitore di plastica che portava soluzione fisiologica nella vena, in 
modo che il sangue non si coagulasse nel passaggio. Cynthia e io ci se- 
demmo ai lati di Philip, non sicuri di cosa aspettarci alia luce della prece- 
dente esperienza. Robin prese posto ai piedi del letto. 

Philip, ancora fresco dell’esperienza di Nils, avvenuta solo un’ora prima, 
ebbe bisogno di poca preparazione, sapeva che saremmo stati pronti ad 
aiutarlo in caso di bisogno. Chiuse gli occhi, si distese, respirp profonda- 












mente un paio di volte e poi disse “sono pronto”. Vedevo la lancetta del 
second! dell’orologio a muro avvicinarsi al 6, avrei quindi finito I’iniezione 
in 30 second!, quando la lancetta segnava le 12, quella che m! sembrava 
r”ora zero”. Erano quasi le died del mattino. 

Avevo appena inserito I’ago della siringa di DMT nell’EV e stavo per spinge- 
re lo stantuffo quando ci fu un forte e insistito bussare alia porta. Mi fermai, 
tolsi I’ago dall’EV e mi alzai. II dr. Davis, il medico del laboratorio del Centro 
Ricerche, era fuori dalla porta. Ci mettemmo a passeggiare nel corridoio, 
per non fare! sentire dalla stanza. Disse bruscamente, e in un modo che nel 
mio stato di allerta mi sembrd un po’ troppo ad alta voce, che i precedent! 
campion! di sangue per le analisj del DMT erano stati raccolti in maniera 
non corretta. Gli risposi che avremmo modificato la tecnica. Tornai nella 
stanza di Philip e mi misi di nuovo seduto vicino al letto. Sembrava non 
essersi accorto dell’interruzione, avendo gia iniziato la concentrazione che 
gli avrebbe permesso I’ingresso piu dolce possibile nel regno del DMT. Per 
lui, in questo senso, il “viaggio era gia iniziato”. 

Respirai profondamente e mi scusai per I’interruzione. Cercando di scher- 
zare gli dissi: “Dov’eravamo rimasti?”. Mi rispose con un borbottio, apri gli 
occhi e con un cenno del capo mi disse di andare avanti. Tolsi il cappuccio 
della siringa e inserii I’ago nell’EV. Anche Cynthia mi fece un cenno col 
capo, per dirmi che poteva procedere se io ero pronto. 

Cominciai delicatamente e a meta dell’iniezione il respiro di Philip risuono 
nella gola, come un colpo di tosse che non riuscisse ad uscire. Piu tardi 
avremmo capito che ogni qualvolta questo rantolo seguiva una forte dose 
di DMT eravamo su un terreno pericoloso. 25 second! dopo che I’EV fu 
terminate Philip incomincid a lamentarsi: “Amo. Amo...” La pressione sali e 
il cuore raggiunse i 140 battiti al minuto, molto superiori ai 65 che regi- 
strammo prime. Questo aumento di pulsazioni e piu o meno quello che si 
ha dopo tre o quattro piani di scale, ma nel nostro caso, Philip non si era 
mosso. A un certo punto si aizo, guardd Cynthia e me con gli occhi spalan- 
cati, le pupille fortemente dilatate. I movimenti erano automatic!, a baizi, 
come quelli di una marionette. Sembrava non ci fosse nessuno a comanda- 
re i movimenti di Philip. Si piegd verso la sua compagna e si aggrappo ai 
capelli: “Amo. Amo...” Per due volte, nella stessa mattinata, un nostro vo- 
lontario, in stato alterato, si era aggrappato ai capelli di una donna. Nils a 
quelli di Cynthia, Philip a quelli di Robin. Forse rappresentavano la piu po- 
tente immagine di esistenza, vivente, organica, familiare, disponibile quan¬ 
do ci si guarda intorno, in uno stato fortemente psichedelico, in una triste 
stanza di ospedale, come quella in cui si trovarono oggi Philip e Nils. Con 
nostro sollievo Philip si ridistese da solo senza aiuto. La pelle era fredda e 
appiccicosa, come lo era state quella di Nils, il sangue affluiva poco dalla 
vena a causa di un pronunciato vasospasmo. 

Questo si ha quando, per un alto tasso di adrenaline, i minuscoli muscoli 
che coprono le vene si stringono, riducendo I’afflusso del sangue alia pelle. 
II corpo di Philip era nella classica reazione di “fight or flight” (lett. “com- 
batti 0 scappa”): ipertensione, battito cardiaco accelerate, pelle fredda e 
umida, afflusso del sangue agli organ! intern!, tutto questo anche se I’attivi- 
ta fisica era ridotta quasi a zero. Dopo 10 minuti comincio a gemere: “Quanto 
e bello, quanto e bello...” II suo viso era bagnato dalle lacrime. "Ora c’6 
state quella che chiamiamo esperienza trascendentale: sono morto e sono 





andato in paradise. C’erano meno effetti visivi ma piu sensazioni”. 

Polso e pressione tornarono normali in trenta minuti. “Si volava neirim- 
mensita, non esistevano spazio o forma relativa”. Gli chiesi: “Cos’hai sen- 
tito quando il respire ti si e bloccato in gola?” “Ho sentito una sensazione di 
freddo e di contrazione nella gola. Ho avuto paura; ho creduto mi si sarebbe 
fermato il respire. II pensiero fu di lasciarmi andare, arrendermi. Tutto cio e 
avvenuto in un baleno, poi il rush della droga ha spazzato via tutto quanto”. 
45 minuti dope I’iniezione, mentre beveva un te, senza piu avere ulteriori 
effetti della droga, disse di non ricordare di essersi seduto, di averci guar- 
dato, ne di avere toccato Robin. 

Lui e Robin tornarono a casa lo stesso giorno, e ci sentimmo la sera dope. 
Aveva avuto un po’ di depressione, ma era riuscito a dormire bene. Fece dei 
sogni “piu interessanti del solito” anche se non particolarmente strani, che 
tuttavia non era in grade di ricordare. II giorno dope lavoro per 10 ore, 
anche se non a pieno regime, tuttavia nessuno si sarebbe accorto che era 
stance. 

Curiosamente queste sono tutte le annotazioni che presi in quella seduta e 
dal resoconto del giorno dope. Cio e fortemente in contrasto con le di solito 
eloquent! descrizioni di Philip sulle sue esperienze con droghe. Forse il riu- 
scire a superare indenne la seduta era I’informazione piu importante che 
volevo avere da lui. Dopo la seduta con Philip, confortato dalle sue condi- 
zioni e sapendo che Robin poteva occuparsi di lui, mi diressi verso I’uscita 
nord dell’ospedale. Uscii da una porta secondaria dell’edificio costruito un 
po’ alia volta negli ultimi trent’anni. Una brezza gelida colpi il mio vise, di- 
stogliendomi dalle mie fantasticherie. Lancial un’occhiatina al sole e sospi- 
rai, stance dell’attivita mattutina. 

C’erano parecchie spiegazioni al fatto che Philip e Nils ebbero pochi ricordi 
delle loro esperienze. 

Una possibilita dipende da quanto si conosce con il termine di “memoria di 
state specifico”. Con questo termine si fa riferimento a cosa avviene quan¬ 
do le cose percepite, sentite o pensate in uno state modificato di coscienza 
non sono accessibili alio state normale. Questo avviene con sostanze come 
I’alcool 0 la marijuana, con farmaci come il Valium o lo Xanax. Avviene 
anche in stati modificati di coscienza non indotti da droghe come I’ipnosi, 
nella cosiddetta suggestione post-ipnotica o nei sogni. 

Un’altra possibilita e che Nils e Philip possano aver avuto un breve episodio 
delirante, una “sindrome organico-cerebrale acuta”, o uno “state confusio- 
nale acute”. II termine delirio proviene dal latino de (fuori da) e lira (solco), 
letteralmente “uscire dal solco”. II delirio pub essere causato da un intense 
stress psicologico, da fattori fisici quali febbre, mancanza di ossigeno, 
Ipogllcemia. 

Non sapevo quanto stress psichico contribui ai loro brevi episodi confusio- 
nali 0 delirantl. Quanto era una reazione agli effetti della droga piuttosto che 
un effetto diretto della droga stessa? In altre parole: salire una scala che 
porta ad una visione di inimmaginabile valore emotive pub gettare una per¬ 
sona in uno state confusionale o delirante, ma non b la scala, bensi la visio¬ 
ne avuta sulla scala. la causa responsabile. Fu cib che videro di cosi stra- 
no, cosi incomprensibile, cosi aberrante, che fece spegnere le luci per ri- 
sparmiare loro lo shock di vedere cosa veramente c’b lagglu. Sfortunata- 






mMi 


72 


Pipa utilizzata 
per fumare DMT. 


mente (o no) nessuno, ne loro ne noi, potra mai saperlo. In ogni caso o 
troppa droga o troppa esperienza: la dose somministrata a quest! due sta- 
gionati veteran! era troppa. Ph!l!p spenmentd per un mese o due de! 
flashback, de! ntorn! de! s!ntom! della sua esperienza con 0,6 mg/kg. 
Rlmanemmo !n stretto contatto per tutto questo perlodo, s!a per telefono 
Che d! persona. Philip parlava della sua seduta come d! “un sofflo cosmico, 
una tempesta d! color!, sconcertante, come se toss! stato scaraventato In 
una bufera e restass! fuor! controllo, saltato via come un tappo d! bottiglla”. 
Tornando a casa sulle montagne d! Albuquerque ebb! modo d! pensare. Ero 
contento che entramb! gl! Intrepid! volontarl fossero tornatl dalle loro sedu- 
te con 0,6 mg/kg san! e Intattl. IVta pensavo anche: “Qual’e la soglla dl DMT 
che non comporta perdita dl memorla?”. 

II prof. Nichols ed lo discutemmo dl nuovo II dosagglo, quale poteva essere 
la minor alta dose? 0,5 mg/kg sarebbe stata solo 1/6 Inferlore, mentre 0,4 
lo sarebbe stata dl 1/3. Era difficile decldere. 

Avevo tante motivazloni conflittuall. 

Non volevo ritrovarmi con del volontarl “fuorl dl testa” pertroppo DMT. “Prl- 
mo, non far dannl”, e I’asserzlone della medicina In generale e In partlcola- 
re della ricerca su esserl umanl. Decisl dl utilizzare come dose massima 
0,4 mg/kg nel corso della futura ricerca. Poco dopo, nello stesso mese, 
ebbi I’occaslone dl parlare per telefono con II dr. Stephen Szara, lo psichia- 



BOCOHINC 


CRISTALLI t>l 


QOti IL CALOI2E 
IL I)MT oiveUta — 

CHE SI IN^L^ 



tra e chimico ungherese che per primo inietto del DMT IM dope aver con- 
statato che la sostanza e inattiva oralmente. L’esperimento ebbe luogo a 
Budapest a meta degli anni '50. Poco dopo il dr. Szara emigro negli Stati 
Unit! dove si dedicd con successo ad una trentennale carriera come ricer- 
catore e amministratore al National Institute on Drug Abuse. Gli chiesi: “Le 
e mai capitato di somministrare troppo DMT ai suoi soggetti?”. Ci pensd un 
momento, poi col suo tipico accento dell’Europa orientale rispose: “Si, non 
furono In grado di ricordare nulla. Non credevamo valesse la pena sommi¬ 
nistrare dosi del genere”. Dopo aver somministrato 0,4 mg/kg di DMT EV a 
56 volontari oltre 100 volte, ho constatato che esiste una vasta gamma di 
sensibilita different! a questo dosaggio di DMT. Alcuni soggetti dissero che 
potevano fare di piu ma altri dissero che avrebbero potuto “sballare di brut- 
to” con una quantita maggiore. Altri ancora, anche a basso dosaggio, non 
furono in grado di ricordare cosa fosse successo al culmine degli effetti. 
Sono contento di aver scelto piuttosto un ipodosaggio che una overdose, 
come invece avvenne con Philip e Nils. 

Emersero molti temi di riflessione, sia dai resoconti delle prime due forti 
esperienze, sia dalle esperienze degli altri volontari: 

^)La natura "abitata" dei regni del DMT. Chi o che cosa hanno incontrato i 
nostri volontari? Dove stavano “loro” e qual’era la loro natura? Come defi- 
nire quello che dicono o insegnano? Sono solo frutto della fantasia o rap- 
presentano abitanti di indipendenti, autonome realta “alternative”? 

2) II tema delTapprossimarsi della morte. Come accade che la gente crede 
di morire o di essere sul punto di farlo quando assume una forte dose di 
DMT? E una anticipazione dello stato incontrato al momento del trapasso, o 
forse e una cosiddetta “esperienza di morte” la cui attinenza con la morte 
reale e aspramente dibattuta? Personalmente ipotizzo che la ghiandola 
pineale possa produrre, al momento della morte, DMT o altre triptamine. Se 
cid fosse vero, potrebbe il DMT esogeno essere una specie di allenamento 
sia per i morenti sia per chi e interessato al processo della morte? 

3) llcarattere religioso-spirituale dell’esperienza. Gli stati prossimi alia morte 
hanno molto in comune con le esperienze mistico-religiose, e queste a loro 
volta sono simili alle esperienze psichedeliche ad alti dosaggi. I miei anni di 
pratica e di studio con un’organizzazione buddhista mi hanno ispirato ed 
aiutato a modellare il mio pensiero rispetto a questa ricerca. Ora che questa 
specie di esperienza e stata fatta dai nostri volontari, come metterla in pra¬ 
tica? Molti studios! hanno diviso con me I’importanza delle loro esperienze 
psichedeliche nel determinare la scelta di una vita meditativa o monastica. 
Queste sostanze, chiamate tradizionalmente “intossicanti” o “vino di delu- 
sione", potrebbero fornire esperienze e aiuto ai praticanti religiosi? 

Se queste droghe sono da usarsi religiosamente, qual’e il modo migliore 
per farlo? 

4 ) Lelemento dipaura che accompagnd entrambi i nostri coraggiosi volon¬ 
tari nelTentrare nello stato alterato di coscienza. Limprovvisa, inaspettata 
e imponente natura del cambiamento 6 yacid test deirabilitd a lasciarsi an- 
dare. L'lncapaclt^ di molti a gestire questa transizione sembra essere la 


1 


causa principale di reazioni indesiderate sia al DMT sia, come avremo sco- 
perto in seguito, alia psilocibina. 

5) Le mie motivazioni nel somministrare il DMT. E questo un altro esempio 
Che ricercare e in realta cercare se stessi? Col senno di poi avrei dovuto 
iniziare con una dose piu bassa di 0,6 mg/kg. Tuttavia, come dicevo prima, 
molti sentimenti conflittuali guidavano le mie scelte, non ultimo un mio 
coinvolgimento personale con i volontari. Era stato aperto il vaso di Pandora? 
Doveva rimanere chiuso? C’erano motivi egoistici e manipolativi che con- 
trastavano quelli altruistici e assistenziali? Che effetto ebbe su di me I’aver 
somministrato cosi tanto DMT a cosi tante persone: da un punto di vista 
personale, psicologico, professionale, spirituale? Quale impatto ebbe sulla 
mia famiglia? 



6) II modello. Mentre la raccolta dei dati scientific! era il “sine qua non” 
della ricerca, quanto questo modello coinvolse i volontari? Quali erano altri 
modelli alternativi? La ricerca psichedelica e forse una contraddizione in 
termini? In questa direzione, chi dovrebbe somministrare gli psichedelici e 
come dovrebbe essere addestrato e preparato? Chi somministra droghe, 
dovrebbe averne una propria personale esperienza diretta? 

7) Queste sostanze sono buone o cattive? Cioe, qual e il loro reale benefi- 
cio in rapporto al rischio? Ci sono piu persone che da queste hanno tratto 
beneficio o persone danneggiate? Chi ha tratto beneficio, e chi e stato dan- 
neggiato? Come sono definiti quest! termini? Possiamo prevedere un certo 
tipo di risposta in un determinato individuo? Quanto e importante il set and 
setting? 

Se queste droghe posseggono una intrinseca utilita, e sufficiente star vicini 
in tranquillita a chi e sotto effetto? Quanta preparazione, guida e supervisione 
dev’essere assicurata? Seorientarsi verso un particolare tipo di reazione e 
da incoraggiare, qual’e allora il ruolo che assume la droga stessa? Si ha 
bisogno di una droga? 


Non e stato certamente un lavoro semplice. Nemmeno lineare ed esente da 
conflitti. Sono ormai trascorsi tre anni da quando lasciammo il New Mexico 
e la ricerca fini. Anche con tutto questo tempo le risposte alle domande . 
scaturite dal progetto non sono chiare come vorrei. Tuttavia stanno diven- 
tando chiare le domande. E solo ponendo le giuste domande che il dibattito 
sugli psichedelici si pud allargare adeguatamente per trovare le risposte 
migliori. Nel presentare oggi ai lettori il mio libro in preparazione, DMT: the 
spirit molecule, spero che la moltitudine di sentimenti, emozioni, scoperte, 
stupore che hanno accompagnato la nostra ricerca sia stata, almeno par- 
zialmente trasmessa. 







CHIMICA 
FAR MAC O LOG/A 
!ir DELUAMANITA 

MUSCAR/A 


Considerata ancora 
fino al secolo scorso 
un fungo velenoso, 
\'Amanita muscaria e 
oggi totalmente ridi- 
mensionata come 
fungo tossico, men- 
tre sempre piu assu¬ 
me rilevanza come 
agente psicoattivo 
per il ruolo avuto in 
molte culture in con- 
testo magico-religio- 
so. Fino agli anni '60 
si credette che il suo 
composto principale e 
piu importante fosse la mu- 
scarina, scoperta nel 1869 da 
Schmiedeberg e Koppe, respon- 
sabile fra I’altro di una particolare sindrome causata da numerose specie di 
Clitocybe bianche e da alcune Inocybe. La sindrome muscarinica e un’in- 
tossicazione di tipo colinergico, che da luogo ad una sintomatologia a ca- 
rattere parasimpaticomimetico, con miosi, ipersecrezioni sudorali e nasali, 
lacrimazione, scialorrea e bradicardia. A questi sintomi si accompagnano 
solitamente disturbi gastro-intestinali, vomito, diarrea, forti dolori addomi- 
nali, oliguria, disturbi vasomotori e ipotensione. La muscarina perd ha un 
effetto quasi esclusivamente colinergico, molto raramente di natura neu- 
ropsichica, quindi diverso baW'Amanita muscaria. Oltretutto, pur essendo 
presente anche in questo fungo, la muscarina lo 6 in percentuale assoluta- 
mente irrisoria (0,0002-0,0003% del fungo fresco) e pressochd innocua. 
Oltre alia muscarina sono presenti altre sostanze in quantity molto limitata: 
dagli isomeri della muscarina (allo-muscarina, epi-muscarina, epiallo-mu* 
scarina) alia colina, fisiologicamente Inattiva. Sono state rinvenute anche 


a cura di 

Gilberto 

Camilla 


75 


Disegno dello 
psiconauta 
Matleo 
Guarnaccia tratto 
da un aftresco 
dell'abbazia di 
Plaincourault, 
Francia 
(cir Altrove 
n 1 pp 32‘: 








N 


J^crt-coo 

Acit>o »E07£.isiiCo 



^^USc\rAO|^0 


acetilcolina e tracce di R (-) 4 idrossi-pirroli- 
done 2, un derivato dell’acido gamma-ammi- 
noburritico, dalla peraltro poco nota attivita bio- 
logica. 

Alcuni Autori hanno inoltre segnalato tracce di 
bufotenina, alcaloide indolico presente nella 
secrezione ghiandolare di alcuni rospi, sostanza 
allucinogena ma non oralmente. Negli anni '60, 
infine, le ricerche condotte in contemporanea in Giappone, Svizzera e Gran 
Bretagna, portarono all’individuazione del meccanismo psicotropo dell’Ama- 
nita muscaria in due derivati issosazolici e in uno di struttura ossazolica, e 
piu precisamente nell’acido ibotenico, nel muscimolo e nel muscazone. At- 
tualmente si e sostanzialmente concord! nel ritenere che solo I’acido ibote- 
yc nico sia presente nel fungo fresco (in proporzione variabile fra lo 0,3 e 1 g 
per chilo di fungo), mentre il muscimolo e II muscazone deriverebbero da 
modificazioni artificiose del primo durante la fase di preparazione e conser- 
vazione del fungo, oppure durante il processo di isolamento chimico. II com- 
posto maggiormente responsabile dell’azione psicoattiva sembrerebbe es- 
sere il muscimolo, ottenuto dalla decarbossilazione dell’acido ibotenico. 
Tanto I’acido ibotenico, sostanza molto instabile e il cui tenore diminuisce 
man mano che il fungo e sottoposto ad essicazione, quanto il muscazone 
svolgerebbero un’azione poco marcata. 

II muscimolo invece si e dimostrato da 5 a 10 volte piu potente dell’acido 
ibotenico e capace di produrre sperimentalmente stati confusionali, altera- 
zioni della percezione visiva ed acustica, del senso del tempo e dello spa- 
zio, perdita dell’equilibrio, rapid! cambiamenti dell’umore, da euforico a di- 
sforico. Effetti riconducibili ad una sindrome psicotomimetica compaiono 
da mezz’ora a tre ore dopo I’assunzione per via orale di 7,5-10 mg di mu¬ 
scimolo, e possono durare fino a 10 ore. 

II tenore di acido ibotenico sarebbe maggiore negli esemplari estivi piutto- 
sto che in quelli autunnali, in quelli giovani rispetto al carpofori adulti. L’acldo 
ibotenico si presenta sotto forma di cristalli incolorl; anche il muscimolo 
presenta le stesse caratteristiche fisiche; secondo Roger Heim (1978) sa¬ 
rebbe questa la sostanza che passa neH’urina dell’intossicato conferendo 
ad essa le stesse prophets inebrianti del fungo, propriety conosciute da 
lungo tempo dai popoli Siberian!. II muscazone 6 stato finora ricavato sol- 
tanto dalle specie europee: si tratta di un amminoacldo neutro che in am- 
biente acquoso produce dei cristalli incolori e, come I’acldo ibotenico, 6 
otticamente inattivo e di carattere racemico. 


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Amanita muscaria 


Cappello: diametro da 6 a 20 cm e talvolta anche di piu; inizialmente globo¬ 
se, poi emisferico, convesso e inline spianato, spesso leggermente de- 
presso al centre; margine brevemente scanalato-striato, soprattutto negli 
esemplari adulti. La cuticola, facilmente separabile, e di un caratteristico 
colore rosso-vermiglio, sbiadita assume tonalita arancione-rossastro, tal¬ 
volta tendente al giallo verso il margine, brillante. Inizialmente il cappello e 
interamente ricoperto dal velo generale friabile, poi rimane cosparso di “ver- 
ruche” bianche o biancastre (talora giallastre) anch’esse caratteristiche del 
fungo. Queste verruche nella fase adulta del fungo possono anche mancare 
per azione di agenti esterni, quali la pioggia o il vento. 

Gambo: altezza12-25 cm, facilmente separabile dal cappello, cilindrico, no- 
tevolmente rigonfio alia base, dapprima pieno, poi midolloso-cavo; colora- 
zione bianca o leggermente crema, piu o meno fioccoso, ornate all’altezza 
del bulbo da centri concentric! di verruche provenienti dal velo generale. 
Anello ample, membranaceo, lievemente striato, bianco o giallastro pallido. 
Lamelle: serrate, larghe e ventricolose, libere al gambo, bianche, raramen- 
te crema-citrine, finemente dentellate al margine. 

Spore: bianche, in massa, iaiine al microscopic. 10-12 x 6-7 micron. 
Habitat: Specie tipicamente nordica o montana. Cresce alia fine dell’estate 
airautunno inoltrato, principalmente sotto le betulle, ma anche sotto abeti, 
pini, larici o altre essenze, sempre in relazlone micorrizica. L’area di distri- 
buzione beWAmanita muscaria e vastissima: comprende I’Europa, gli Stati 
UnitI, I’Africa australe e settentrionale, il Giappone, I’Australia, I’Uruguay. 
In Italia e diffusa in tutte le region! ad esclusione della sola Sicilia. 

II suo potehziale allucinogeno sembra dipendere da molti fattori, quali il 
periodo di raccolta, la latitudine, I’altitudine, fine alle diverse parti del fun¬ 
go, variando le concentrazioni di principi attivi in base alle diverse parti del 
carpoforo. 



77 


Esemplari adulti 
di Amanita 
Muscaria 




inter\/ista. con 
lta.lo Sa.nguineti 


a cura di 

Gilberto 

Camilla 



78 

Italo 

Sanguineti 

Docente di 
Clinica delle 
Malattie Nervose 
e Mentali 
airUniversita di 
Milano, Primario 
Emerito di 
Neurologia 
airOspedale 
“San Gerardo” a 
Monza. 


II prof. Italo Sanguineti e stato uno dei primi ricercatori italiani a condurre 
sperimentazioni cliniche con LSD e mescalina. Ci siamo conosciuti quasi 
per caso: e stato il prof. Sanguineti a contattarmi dopo aver letto un mio 
breve articolo sulla terapia psichedelica pubblicato sul Manifesto il 18/11/ 
1997. Da allora ogni tanto ci incontriamo per pranzare insieme e chiacchie- 
rare di LSD, di psicanalisi e di tante “umane passioni”. Durante questi in- 
contri e nata I’idea di pubblicare la sua testimonianza. 

Gilberto Camilla: Lei, prof. Sanguineti, e stato uno dei pionieri italiani nella 
sperimentazione psichiatrica con LSD e mescalina. Mi racconta come in- 
comincio a interessarsi delle sostanze psichedeliche e di come giudica la 
ripresa negli ultimi anni della ricerca su queste sostanze? 

Italo Sanguineti: E una cosa sulla quale riflettevo proprio in questi giorni. 
In un recente articolo di Michel Jouvet sul tema “sonno-sogno", del quale e 
uno dei piu autorevoli studiosi, I’autore denuncia la clamorosa diminuzione 
d’interesse nel mondo scientifico per le ricerche di base e su quell’argo- 
mento in particolare. Negli Stati Uniti le ricerche sul sonno sono in via di 
estinzione come tutte le ricerche fondamentali prive di applicazioni dirette. 
Su un migliaio di ricercatori degli anni 70 ne restano oggi meno di un cen- 
tinaio. Questa notizia mi ha ricondotto agli inizi della mia vita universitaria, 
quando mi ero interessato - correvano i primi anni '50 - a quelle sostanze 
Che sarebbero presto diventate famose come allucinogeni ed incluse nel 
vasto campo degli stupefacenti. 

Forse e di qualche interesse come io ci sia arrivato ed anche chiedersi come 
in tempi lontani e abbastanza calamitosi ci fosse tuttavia un interesse fine a 
se stesso, indirizzato alia sola conoscenza, che mi sembra maggiore di 
oggi, in tempi peraltro ben piu favorevoli. 

Ero un appassionato lettore di Aldous Huxley e mi imbattei - non casual- 
mente dato il titolo del libro - nel saggio “Le Porte della percezione" che 
trovai in francese nelle “Editions de Monaco”. II libro 6 tuttora singolare ed 
affascinante, ma soprattutto va inscritto in un indirizzo di ricerca allora agli 
esordi, quello delle pattern psychosis, nel tentative di raggiungere in que- 
sto tempo negletto qualcosa di piu di un semplice approccio fenomenologico. 


Va detto a chiare lettere che la psichiatria, accoppiata nel bene e nel male 
alia neurologia nella disciplina fondamentale di “Clinica delle Malattie Ner- 
vose e Mental!” figurava come insegnamento complementare solo in qual- 
che ateneo e non era proprio in cima agli interessi dei cattedratici. 

La considerazione che il mondo delle psicosi maggiori non dovesse restare 
eternamente confinato nell’ambito descrittivo, anche grazie al pensiero freu- 
diano che certo non permeava I’ufficialita universitaria, cominciava tuttavia 
a tarsi timidamente strada, cosi da ricercarsi la possibilita di entrare da 
“sani e coscienti” nel mondo dello psicotico. 

Tuttavia fino a quel momento erano comparsi in Italia solo due contributi 
(Morselli e Ceroni), entrambi di autoesperienze con mescalina e ne ero ve- 
nuto a conoscenza dopo la lettura del saggio di Huxley. Devo dire che il mio 
maggiore interesse nell’affrontare il problema era piuttosto di ordine neuro- 
fisiologico ed in questo senso la lettura non fu deludente. 

Come accade, mi domandavo, che ad esempio la famosa sedia dipinta da 
Van Gogh, abbia, come dire, una marcia in piu nel senso non solo tecnico 
di pittura, ma come forza espressiva, ricchezza di estesia sensoriale, uni- 
versalita del genere rappresentato, quasi da evocare I’archetipo platonico 
della “seggiolita”, se cosi si pub dire? Con la lettura di Huxley mi era parso 
possibile che ci fosse in taluni artist! un abbassamento della soglia percet- 
tiva, cosi da ampliare gli input dei messaggi sensorial! e di arricchirli a di- 
smisura. 

Tuttavia quest! problem! non ebbero la meglio nelle mie preoccupazioni di 
allora, cosi che finii per affrontare piuttosto il tema conoscitivo-terapeutico 
dell’impiego dell’acido lisergico nei malati di mente ricoverati in manico- 


Italo Sanguineti 
nel suo studio. 





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L’esploratore 
psichedelico 
Aldous Huxley, 


mio, soprattutto schizofrenici. Ma la ricerca fu deludente. Sia pazienti in 
fase processuale, sia pazienti cronici, non presentarono modificazioni sen- 
sibili della loro sintomatologia, nemmeno a dosi massicce di LSD e nem- 
meno come eftetti secondari. Trascurai cosi, e me ne duole, sia I’indagine 
sui nevrotici, sia su volontari privi di apprezzabili aspetti psicopatologici. 

In questo senso vedo con interesse i recent! tentativi terapeutici, non solo 
nell’analisi delle psiconevrosi, ma anche come possibile supporto in quella 
delle psicosi che - all’epoca di cui parlo - avveniva raramente e nell’assolu- 
ta indifferenza del mondo accademico. 


G.C.: L’LSD e le altre sostanze allucinogene hanno avuto perd piu importan- 
za (o per lo meno piu risonanza) come droghe che come tarmac! psicotera- 
peutici. Come visse allora questo risvolto, e come lo vive oggi? 



I.S.: Devo dire che il fatto non mi stupi piu di tanto. Sono sempre stato 
consapevole dell’inquietudine della mente umana: la vita e complicata, e 
inevitabilmente la gente cerca di evadere dalle ansie quotidiane. L’evasione 
dal quotidiano e sempre stata I’alcool, una droga devastante. Prima della 
scoperta di Hofmann, alle droghe ricorrevano solo i ricchi, annoiati dalla 
vita, ma a quei tempi era un fenomeno molto limitato. Quando USD e dive- 
nuto accessibile a larghi strati di popolazione non ho avuto altro che la con- 
ferma che il disagio esistenziale e di massa, che non pud essere ascrivibile 
ad una sola classe sociale. 

Oggi rimango sostanzialmente della stessa opinione. 

G.C.: Tante persone, soprattutto artisti e giovani, sono state attratte dal- 

I’esperienza psichedelica. Perche? 



I.S.: Probabilmente per lo stimolo, per le fan- 
tasie che liberano, per la possibilita di ampli- 
ficare un discorso latente, un arricchimento 
della percezione. Nel saggio di Huxley que¬ 
sto aspetto emerge con chiarezza: un mazzo 
di rose non e solo “un mazzo di rose”, e qual- 
cosa di molto di piu. Forse siamo in presenza 
di un’affinita biologica tra gli psichedelici e la 
chimica cerebrale; se cosi fosse e da ipotiz- 
zare una radice organica dell’arte. Per dirla 
in parole povere: non e vero che i “matti” sono 
artisti, ma qualche artista e certamente “mat- 
to”. II caso di Van Gogh e emblematico. 

G.C.: Albert Hofmann, il padre delllSD, con- 
cludendo la sua relazione al primo Congres- 
so Internazionale sugli Stati Modificati di Co- 
scienza, tenutosi a Gottingen nel 1992, si 
auspicava I’istituzione, sul modello dei Mi¬ 
ster! Eleusini, di centri di crescita spirituale 
in grado di creare i presupposti per una tra- 
sformazione della coscienza, trasformazione 




Che sarebbe il presupposto per una vita migliore. Al di la di questa visione 
un po’ misticheggiante, lei crede che le sostanze psichedeliche possano 
trovare un impiego diverse dal contesto rigorosamente terapeutico da un 
lato e quello edonistico dall’altro? 

I.S.: Non sento questo problema. Devo confessare che sono un po’ scetti- 
co al riguardo. Forse e per la mia formazione freudiana, ma nel momento in 
cui riconosciamo la pulsione di morte e la pulsione di vita, sappiamo che le 
due funzioni convivono, e che la prima, forse per la coazione a ripetere, e 
prevalente. Non credo sia possibile un miglioramento deH’umanita: non sono 
pessimista, ma soltanto realista. Certo, e vero che vi sono contest! social! 
migliori di altri: ad esempio e fuori di dubbio che quello della Svezia sia 
meglio di quello dell’Afghanistan dei Talibani, ma questo non dipende certo 
dall’uso 0 meno dell’LSD. 



G.C.: Lei e uno psicoanalista freudiano. Penso quindi che viva la mia stessa 
contraddizione teorica: da un lato la curlosita, I’interesse verso queste so¬ 
stanze come possibili coadkivanti terapeutici in grade di riportare alia co- 
scienza con incredibile rapidita e maggiore “potenza” emotiva ricordi e vis- 
suti inconsci; dall’altro la consapevolezza che deriva dall’esperienza pro- 
fessionale che il processo terapeutico e il risultato di un lungo cammino di 
introspezione guidata. Lo stesso Freud mise sempre in guardia dalle spe- 
ranze di poter abbreviare il processo psicoanalitico. 


I.S.: Questo 6 un punto importante. lo sono convinto che quello che dan- 
neggia la psicoanalisi sia la fretta. L’analisi non e una terapia, per lo meno 
nel sense stretto del termine, e piuttosto un work in progress. Non credo ' 
che la terapia psichedelica possa accelerare il processo terapeutico; chi lo 
crede pud compiere degli error! molto gravl. Personalmente non utilizzerei 
mai I’LSD per abbreviare I’lntero processo analitico. 


6.C.: Perd lei parla anche di possibility terapeutiche delle sostanze psiche¬ 
deliche. Quali sarebbero? 

I.S.: Credo alia necessity della sperimentazione in questa direzione. Vedo 


Gli strani effetti 
di una buona 
dose di LSD 
illustrati da 
Andrea Pazienza 

















La chiesa di 
Auvers com’e 
nella realta e 
come viene 
trasfigurata dalla 
potenza 

visionaria di Van 
Gogh (olio su 
tela, Parigi, Jeu 
de Paume.) 


con molto interesse il lavoro che svolge la SISSC circa la documentazione 
e I’informazione culturale rispetto a questo campo. Quando facevo ricerca 
la letteratura non dava risposte. Oggi forse - e sottolineo forse - un uso 
intelligente, particolarmente attento e dqsato di queste sostanze potrebbe 
favorire una mobilitazione piu profonda. E un forse, ma varrebbe la pena di 
sperimentare. Se le leggi lo consentissero. 

G.C.: Nel suo “Studio Clinico-Biologico delle reazioni indotte dalla Mesca- 
lina e dalllSD” condotto con Zapparoli e Laricchia nel 1956, concludeva 
che “non e sostenibile I’utilita terapeutica nel campo delle nevrosi e delle 
psicosi”. Oggi a oltre 40 anni da quello studio ha mutato opinione. 


I.S.: Vero. Oggi non mi sento piu di affermarlo in maniera cosi drastica. 
Ma vede, ai miei tempi non esisteva nessuna documentazione e nessuna 
casistica: eravamo veramente dei pionieri. La stagione della sperimentazio- 
ne terapeutica si ebbe in America, ma solo negli anni ’60-70. 



G.C.: Se esuliamo dal campo puramente clinico sperimentale, la ricerca 
sugli allucinogeni coinvolge inevitabilmente aspetti spirituali, come d’altra 
parte tutta la ricerca sugli stati modificati di coscienza.. E un dato di fatto 
che, almeno nella maggioranza dei casi, questo campo di studi e sempre 
stato oggetto di interesse da parte di studiosi e ricercatori di Destra. 

Come interpreta il monopolio della Destra su quest! temi? E ancora, come 
si conciliano marxismo e stati modificati di coscienza? Come dovrebbe es- 
sere una scienza marxista degli stati di coscienza? 



I.S.: Ottimo interrogative. Non sono pero 
del tutto d’accordo circa il monopolio 
della Destra su quest! temi e su queste 
esperienze. Molti letterati che fecero uso 
di droghe leggere, penso a Baudelaire, a 
Poe, alio stesso Huxley, non possono 
certo essere considerati di Destra, nep- 
pure oggi. 

E comunque vero che la Sinistra, alme¬ 
no in Italia, ha sempre rappresentato la 
“moralita”: ha sempre avuto la coda di 
paglia: “non indaghiamo troppo, perche 
altrlmenti possiamo scoprire che non 
abbiamo poi tanto ragione...” Ricordo 
che il mio amico Cesare Musatti, il pa¬ 
dre della psicoanalisi in Italia, era con- 
vinto che in Unione Sovietica non esi- 
stessero nevrosi. 

Ma questa e una favoletta: in Unione So¬ 
vietica le nevrosi e’erano come in ogni 
altra parte del mondo. II disagio non 6 
prerogativa delle class! agiate, come di- 
cevo prima, e non 6 neppure il risultato 
di una society di classe. Eppure nei pae- 









si socialist! Freud era il demonio. Mi sono sempre chiesto: ma come e pos- 
sibile Che in Unione Sovietica non capiscano che Freud non era “di Destra”, 
ma che, pur essendo figlio del suo tempo, aveva scoperto le radici della 
dinamica psichica? Personalmente ho sempre cercato una “scienza mar- 
xista” degli stati di coscienza, e non ho mai smesso di credere che per una 
Sinistra intellettualmente onesta quest! siano argomenti da affrontare, da 
discutere. Certo, non so come, ma non e un’utopia. Del resto il quotidiano 
il Manifesto lo sta facendo. 


G.C.: Torniamo all’LSD. Lei lo ha mai provato su se stesso? 



6.C.: Un’ultima domanda. 0 per 
meglio dire: tre parole chiave: la 
guerra, la resistenza, il '68. Cosa 
ml dice? 


I.S.: Cosa dire? La guerra: come 
rho vissuta? Male, molto male. Ho 
sempre considerate gli eserciti il 
peggio della society. Sotto il fasci- 
smo mi trovavo nella posizione di 
coloro che dicevano che il prime 
dovere civico era quello di diserta- 
re. Odio la violenza, ma confesso 
che ero quasi contento quando le 


I.S.: Personalmente non I’ho mai provato. Credo sia importante da sottoli- 
neare, perche la cosa e certamente interessante e significativa. Ho sempre 
glustificato il fatto con I’affermazione razionale che chi e osservatore non 
pud e non deve essere influenzato dall’oggetto che osserva. 

Ho sempre tenuto alia lucidita mentale, e confesso di aver avuto paura di 
comprometterla. Forse non ho mai volute provare USD per paura. Sotto 
I’aspetto conoscitivo ammetto che nel passato qualche interesse I’ho nutri- 
to, ma poi non I’ho mai fatto. Sicuramente per paura. Perd vede, io sono 
andato fuori gioco molto presto. Le ricerche con le sostanze psichedeliche 
le portal avanti subito dope la docenza, e quando ho avuto I’incarico a Monza 
non ho piu avuto possibilita di ricerca in questo campo. D’altra parte un’al- 
tra ricerca che mi sarebbe piaciuta ma che non ho potuto attuare e sulla 
Narcoanalisi. Una volta provai a interrogare soggetti in state ipnotico con 
domande morali: paradossalmente le risposte date in questo state di co¬ 
scienza erano piu morali di quelle 
date in coscienza normale. Mi chie- 
devo: ma allora I’inconscio e piu 
morale di quello che ci inculcano? 

Purtroppo non ho proseguito nello 
studio, peccato. 

Mi auguro che anche in questo 
campo prima o poi riprenda la ri¬ 
cerca che potrebbe rivelarsi frut- 
tuosa. 


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83 







nostre navi erano affondate dagli alleati, perche ero convinto che il fasci- 
smo sarebbe caduto solo dopo la disfatta militare italiana. Mi ricordo molto 
bene gli anni che vanno dal 1948 al 1953, anni durante i quali presi la 
docenza. Mi occupavo di Neurologia. 

Cosa strana, perche io, che avevo sempre avuto dimestichezza con le lette- 
re, mi sono trovato ad occuparmi di neurologia, la disciplina piu scientifica 
della medicina. 

Ma torniamo agli anni deH’immediato dopoguerra. Furono gli anni dell’in- 
difterenza: la gente si adeguava ma c’era molto disagio. Sono gli anni del- 
I’egemonia democristiana e dell’instaurazione di una specie di nuovo fasci- 
smo. 

Ho vissuto molto male quegli anni, intendo politicamente. Si assisteva ad 
una sorta di rivalsa del vecchio regime, anche perche Togliatti voile mettere 
una pietra sopra al passato, la stessa cosa che Violante vuole fare oggi. E 
cosi nei vari Minister! continuavano a rimanere gli stessi fascist! di prima. 
Siamo stati colpevoli? In un certo sense si, ma bisogna tener conto che il 
paese era veramente affranto. 

Come si faceva a dire alia gente che doveva fare la rivoluzione? D’altra par¬ 
te anche i compagni cominciavano a girare con la Topolino... Oltre tutto 
sono convinto che gli Stati Unit! non avrebbero mai permesso I’affermarsi 
in Italia di una sinistra di governo. Devo dire che dopo il 1953-54 le cose 
sono un po’ migliorate. Poi venne il '68 e quella che lei chiama Rivoluzione 
psichedelica". Considero quel periodo come esemplare della fragilita del- 
I’essere, come dicevo anche prima. I giovani del ’68 sono stati i primi ad 
avvertire consapevolmente il disagio esistenziale. Curiosamente erano an¬ 
che i figli della borghesia, ma cid non toglie nulla al fenomeno che e stata 
un’epoca straordinaria, e che e fallita perche tutti i movimenti veramente 
rivoluzionari sono destinati a fallire: il potere non si lascia fregare... 

II tempo trascorre veloce in compagnia del prof. Sanguineti. Ma e bello 
starlo ad ascoltare mentre racconta della sua giovinezza, degli anni tra- 
scorsi in Francia, del padre letterato che ebbe rapport! d’amicizia con d’An- 
nunzio e Apollinaire. Di quando, da piccolo il padre gli dava dei libri perchb 
ritagliasse le pagine, di come Io gratificasse di un modesto compenso. Di 
come ancora oggi gli sia grato per non avergli mai insegnato il valore del 
profitto economico, valore che oggi e esclusivo e universale. Ma e ora di 
andare. II sole sta per morire dietro ai palazzi di San Babila, la piazza della 
Milano-bene, della Milano "da here". La piazza dell’usa e getta, la piazza 
che negli anni W-70 fu teatro delle scorrerie neofasciste. Una stretta di 
mano che e rispetto, stima, ma anche amicizia. 

E un arrivederci alia prossima chiacchierata, e per un attimo anche la grigia 
Milano sembra colorarsi di speranza. 




/ KAIVJCHADAU 
LAM ANITA MUSCAR/A 



“Fra i funghi il velenoso agarico 
moscario (in russo mukhamoor, 
nella lingua dei Kamchadali 
ghugakop) e tra i piu apprezzati. 

Negli insediamenti russi questa pratica 
si e perduta ormai da tempo. Tuttavia at- 
torno al Tigil e lungo il confine Koryak essa e an- 
cora estremamente viva. 

Gli agarici vengono seccati, poi mangiati a pezzi 
senza masticarli, dopo averli fatti rinvenire in ac- 
qua fredda. Dopo circa mezz’ora la persona e 
completamente intossicata ed esperimenta stra- 
ordinarie vision!. I Koryachl e gli Yukagiri vanno 
letteralmente pazzi per quest! funghi. Li amano a 
tal punto da comprarli dai Russi ogni volta e ovun- 
que sia possibile. 

Coloro Che non possono affrontare il costo ele- 
vato dei funghi bevono le urine di quelli che li 
hanno mangiati, e come quest! ultimi si intossi- 
cano, se non ancora di piu. L’urina sembra esse- 
re ancora piu potente del fungo, e i suoi effetti possono tarsi sentire anche 
sul quarto o quinto uomo. 

Nonostante io abbla personalmente osservato questa pratica nel 1739, al- 
cune persone hanno contraddetto la mia esperienza. Ho douto faticare pa- 
recchio per dimostrare che cio che raccontavo era la verita. Resoconti di 
persone la cui autorita non pud essere messa in discussione hanno poi 
confermato le mie scoperte. 

Un uomo della piccola nobilta di campagna, di nome Kutukov, di guardia ad 
un gregge di renne, vide che quest! animali mangiavano frequentemente 
quest! funghi e con grande piacere. Dopo essersi comportati come ubria- 
chi, gli animali crollavano in un sonno profondo. Quando i Koryachi incon- 
trano una renna Intossicata, le legano le zampe finchd il fungo non ha perso 
forza ed effetto. Poi uccldono la renna. Se uccidono I’animale mentre 6 
ubriaco o addormentato e ne mangiano la came, tutti coloro che I’hanno 
assaggiata si intossicano come se avessero mangiato il fungo stesso." 

Georg Wilhelm Steller, Leipzig, 1774 


Un esemplare 
adulto di 
Amanita 
Muscana 
disegnato da 
Michael Smith 














/ MISTERI D! 
MO TRA CIA 
E IL CUETO DE! CABIRI: 
un 'ipotesi m/co/og/ca 


L’isola di Samotracia 

Lisola di Samotracia si trova nell’Egeo nord-orientale, di fronte alia citta di 
Alexandroupolis da cui dista 29 miglia marine, sulla rotta che anticamehte 
portava ai ricchi giacimenti minerari dell’Asia minore e del Mar Nero. 

Le sue minacciose montagne sembrano sorgere direttamente dalle acque 
per innalzarsi fino agli oltre 1.600 metri del monte Fengari che domina la 
costa e I’arcipelago della Tracia. Narra la leggenda che da questa vetta Po- 
seidone osservasse la distruzione di Troia (OMERO, lliade, XIII, 10). 

AI tempo di Omero I’isola era ricoperta da fitti boschi, e sicuramente era 
molto piu fertile di quanto non lo sia oggi, ma nonostante secoli di 
deforestazione e di erosione, ancora oggi Samotracia e ricca di acque pu- 
rissime: le fonti solforose di Loutra, nella parte centrale del nord dell’isola, 
sono frequentate nel periodo estivo da numerosi pellegrini, oggi come al 
tempo deirimpero bizantino. Dal piccolo porto di Kamariotissa, all’estremi- 
ta nord-occidentale dell’isola, parte una strada che conduce al villaggio 
principale, Chora, nascosta tra i pendii degli aspri monti; un’altra strada 
porta, sempre da Kamariotissa, alia zona archeologica, Paleopolis, la “Citta 
Vecchia". 

La vita dell’uomo non e mai stata facile in questa terra selvaggia: I’isola e 
sempre stata famosa per il suo mare burrascoso, agitato dai venti che sof- 
fiano impetuosi da nord, e da quelli, altrettanto impetuosi, che nascono dai 
pendii interni, oltre che dalle forti e temibili correnti marine provenienti dai 
Dardanelli. L’inverno a Samotracia e rigido, caratterizzato da piogge gelide 
e da frequenti nevicate che ricoprono non solo le montagne, ma a volte 
anche le pianure e le coste. 

Per contro I’isola 6 sempre stata agevolata proprio per la sua posizione e la 
sua conformazione geografica: situata sulla rotta che college la Grecia con 
lo stretto dei Dardanelli, in una regione priva di porti naturali, Samotracia, 
con le sue alte vette, visibili da lontano, 6 sempre stata il punto naturale di 
attracco e di guida per tutti i colonizzatori, i mercanti, i viaggiatori, gli esuli 
politici. 


Gilberto 

Camilla 

Psicoanalista 
direttore 
scientifico di 
Altrove, Torino 



87 


Nella pagina a 
fianco: Nike di 
Samotracia, 190 
a.C. circa, 
marmo, museo 
del Louvre 
Dip, Antichit^ 
greche. etrusche 
e romane 


T 



Le prime fasi della civilta di Samotracia non sono ancora ben decitrate, 
anche se una serie di reperti archeologici dimostrano che I’isola era gia 
abitata nel neolitico, per lo meno a partire dal secondo millennio a.C. 

I mitografi greci riferiscono che i primi abitanti nacquero dalla terra stessa, 
prima di qualsiasi altra razza greca. Altri li fanno discendere dai mitici Pelasgi 
provenienti dalle terre Danubiane. 

Certo e che la religione di Samotracia e antichissima e conservo un carat- 
tere primitive fine ai tempi classici; ancora ai tempi di Diodoro gli abitanti di 
Samotracia parlavano una lingua non greca, usata come lingua rituale: le 
iscrizioni recentemente rinvenute nella contigua isola di Lemnos ci danno 
un’idea di quell’antica lingua, che sembrerebbe affine all’etrusco (FEO, 
1997). 

L’ultimo strato di questo popolo pregreco sembra essere appartenuto alia 
famiglia delle genti trade, che all’alba della storia dominarono il sud-est 
balcanico, e che certamente lasciarono traccia nei concetti fondamentali 
della religione di Samotracia: a loro viene abitualmente attribuita I’edifica- 
zione delle piu antiche costruzioni rinvenute nel santuario misterico, un muro 
“ciclopico” e un altare di pietra situate sotto I’Arsineion. 

La sopravvivenza di un’antica lingua pregreca, unitamente alia presenza di 
elementi non greci nella religione di Samotracia, la mescolanza di cerami- 
che greche e native rinvenute insieme nel Santuario in un deposito del VII 
secolo a.C. indicano che i colon! greci giunsero suH’isola soltanto intorno 
al 700 a.C., integrandosi pacificamente con la popolazione autoctona. 
Alcuni scrittori classici facevano provenire quest! primi gruppi di colon! 


88 


MAR 





dall’isola di Samos anteponendo la loro venuta di qualche secolo: Omero 
parla esplicitamente di Samotracia definendola la “Samos dei Traci”: ma 
I’archeologia smentisce queste tradizioni letterarie, nate probabilmente per 
la similarita dei nomi. 

Un frammento di un’iscrizione su stele del IV secolo a.C. suggerisce che il 
dialetto greco di Samotracia fu I’Aeoliano, e non lo loniano, facendo cosi 
derivare i primi coloni greci dall’Anatolia nord-occidentale o da Lesbos, re- 
gioni collegate a Samotracia da testimonianze sia mitologiche che 
archeologiche. 

I coloni costruirono la loro citta, Paleopolis, la capitale di una Citta-Stato di 
tipo greco, comprendente I’intera isola; questa fu probabilmente retta da un 
re denominate Basileo, il cui appellative sopravvisse a lungo, sia a 
Samotracia che in tutta la Grecia, a designare un alto magistrate. I cittadini 
erano organizzati in cinque tribu; come dea tutelare fu scelta Atena - come 
nella maggior parte delle citta aeoliane - il cui santuario e state localizzato 
nella parte alta della citta. Contemporaneamente i coloni greci si preoccu- 
parono di sviluppare e di elaborare il culto originario dell’isola alio scope di 
integrarlo meglio nella religione “greca”. 

La fama dei misteri di Samotracia durante il periodo ellenico superb i con- 
fini deirisola e assunse una particolare importanza: se Eleusi fu il centre 
misterico del mondo panellenico, Samotracia rappresentb il luogo di inizia- 
zione piu importante per la Grecia settentrionale e orientale; il Santuario dei 
Cabiri attirava visitatori da ogni luogo e divenne famoso in tutto il mondo 
greco. Numerosi sono i document! letterari che si riferiscono al culto mi¬ 
sterico, sia in epoca ellenica che nella prima era cristiana. 

Erodoto fu un iniziato ai misteri di Samotracia, cosi come Lisandro, Re di 
Sparta: Aristofane fa spesso riferimento ai Misteri, e presumibilmente mol- 
te persone del suo seguito furono iniziate proprio a Samotracia. Qui Filippo 
il Macedone incontrb la sua futura moglie, Olimpia, che gli avrebbe date 
come figlio Alessandro Magno: il Santuario fu sempre protetto dalla Dina- 
stia macedone, e qui si rifugib I’ultimo loro re, Perseo, nel tentative dispe- 
rato di sfuggire ai Romani. 

Samotracia visse un altro periodo di grande splendore proprio sotto i Ro¬ 
mani, e molti famosi personaggi della Repubblica di Roma solevano recarsi 
a visitare il Santuario dell’isola: interne al 200 a.C. vi si recb anche I’lmpe- 
ratore Adriano. 

II decline di Samotracia incomincib a manhestarsi nel tormentoso terzo 
secolo dell’era cristiana, e,,analogamente al culto eleusino, il Santuario venne 
definitivamente chiuso. 



II santuario dei “Grandi Dei" 

Quando i primi coloni greci giunsero a Samotracia, fondarono la loro capi¬ 
tale nelle vicinanze di un luogo di culto dedicate alle antiche divinita 
autoctone: dope la distruzione del prime tempio da loro costruito in seguito 
a un terremoto (560 a.C. circa), venne eretta una nuova costruzione, 
I’Anaktoron, sul modello eleusino. L’Anaktoron era destinato all’iniziazione 
dei candidati che, come ad Eleusi, si dividevano in due gradi, i mystoi e gli 
epoptoi, gradi che si conseguivano nel corso di cerimonie distinte. 

La sala delle Iniziazioni era lunga circa 27 metri e larga 12, e conteneva sul 




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lato minore un piccolo vano separato dalla sala principale da una parete 
con due porte; in quel vano e stata rinvenuta una stele di marmo con I’iscri- 
zione in greco-latino che recitava: “Vietato I’ingresso ai non iniziati”. 
L’Anaktoron e rimasto inalterato - tranne che piccoli restauri - per quasi 900 
anni, da quando fu eretto fino alia chiusura del Santuario. A fianco di que- 
sto edificio troviamo una sorta di “sacrestia” chiamata un tempo “la Casa 
Sacra”, le cui pareti erano ricoperte di iscrizioni recanti i nomi di tutti gll 
iniziati; questa piccola costruzione (7 metri quadrat! di diametro) 6 collega- 
ta all’Anaktoron e ne forma la parete nord. L’edificio successive e I’Arsineion, 
fatto erigere dalla Regina d’Egitto Arsinoe II nel 280 a.C. circa. 








Si tratta di un edificio rotondo che, con i suoi 20 metri di diametro, rappre- 
senta la Rotunda piu grande di tutta la Grecia. 

La funzione dell’Arsineion non e del tutto chiara: torse servi come amplia- 
mento dell’Anaktoron, torse come luogo di raccolta dei partecipanti alle 
cerimonie estive in onore dei “Grandi Dei”, cerimonie aperte a tutti, iniziati 
e non. Gli scavi archeologici all’interno e alia periteria dell’Arsineion hanno 
riportato alia luce altri rest! che tanno pensare che in origine I’intera area 
tosse usata nei riti sacriticali; in protondita gli archeologi hanno scoperto la 
parte maggiore di una struttura arcaica, il “doppio precinto”. 

Questo era orientate in direzione nord-sud e si divideva in una sezione piu 
ampia a nord e in una minore a sud: il doppio precinto tu costruito 
presumibilmente nel VII secolo a.C., ma comprendeva una struttura ancor 
piu primitiva. Nella parte orientale si possono vedere i resti di una “terraz- 
za” arcaica costruita in stile “ciclopico”, con immensi blocchi di pietra; il 
muro risale ai primi abitanti di Samotracia, ed e databile tra il prime e il 
secondo millennio a.C. 

II muro termina con una scalinata di pietra che porta ad un basamento di 
portido la cui superticie tu adattata alio scope di permettere ad una perso¬ 
na - presumibilmente un sacerdote - di prendervi posto. Uno stretto canale 
al tondo della roccia-altare serviva con ogni probabilita come raccoglitore 
delle libagioni sacre. Piu avanti troviamo il Temenos, situate praticamente 
al centre del Santuario; si tratta di una costruzione rettangolare con porti- 
cato (propylon) con accanto lo Hieron (o “Nuovo Tempio”) dove i mystoi 
ricevevano - a distanza di settimane o mesi dalla prima - la seconda inizia- 
zione. 

Sul lato occidentale si trova la Stanza dei Doni Votivi; a sud il Cortile dell’AI- 
tare; accanto il teatro, assai poco conservato, sotto la cui orchestra scorre 
un torrente incanalato in una galleria artiticiale. Dietro il teatro si pud notare 
la lunga stoa, un porticato di circa 80 metri in stile dorico. Tra la stoa e il 
teatro vi e la base del monumento torse piu tamoso di Samotracia, la Nike 
di Samotracia o Vittoria Alata, statua oggi conservata nel Louvre di Parigi. 
Originariamente la statua era collocata in un ninteo, una costruzione con 
tontane e zampilli, su una base a torma di prua che guardava il mare. 



I “Grandi Dei” e I’iniziazione ai Misteri 


Cid che costitui la tama dell’antica Samotracia tu il culto dei “Grandi Dei”, 
come erano utticialmente chiamati. 

II culto comprendeva le pratiche misteriche considerate di origine divina e 
riniziazione ai Misteri che, presso i Greci e i Romani non era considerata 
interiore a quella di Eleusi. A Samotracia comunque, a ditterenza di Eleusi, 
riniziazione non era una condizione richiesta: il suo Santuario, come tutti i 
santuari pubblici greci, era aperto a tutti, e la venerazione degli dei avveni- 
va anche in torma pubblica. Come i santuari di Delphi e di Olimpia, 
Samotracia aveva un carattere internazionale e nel corso delle testivita an¬ 
nual! raccoglieva le rappresentanze di molti Stati. 

Una plurality di divinita era raggruppata intorno ad una tigura maggiore, 
una "Grande Madre” la cui immagine, seduta in mezzo a due leoni, tormava 
una taccia delle monete dell’isola. Questa dea era collegata alia Grande Madre 
dell’Asia Minore, Cibele, e alia Madre del Monte Ida di Troia. 



92 


Era la Signora del mondo selvaggio e delle montagne, adorata su altari di 
pietra sui quali venivano compiuti sacrifici, altari che gli scavi hanno ripor- 
tato alia luce. L’origine della Dea di Samotracia e indubbiamente pregreca e 
precede I’arrivo dei Greci e le loro costruzioni, come dimostra I’altare di 
pietra rinvenuto sotto I’Arsineion. Nella lingua di Samotracia era chiamata 
Axieros, e dai coloni greci venne identificata con la loro Madre Terra, 
Demetra. E probabile che i primi greci I’avessero chiamata Elektra, la “Ri- 
splendente”, che in seguito venne trasformata dalla religione olimpica in 
una sorta di mitica eroina. Insieme alia Grande Madre, e a lei subordinate, 
vi era un dio itifallico, Kadmillos, dai Greci assimilate ad Hermes. 
Important! erano anche i Kaboiroi, raffigurati come giovani itifallici, imper¬ 
sonal! demon! della natura present! in molte culture, dai Greci assimilati ai 
loro gemelli Dioscuri. 

Questo complesso di divinita, Axieros, Kadmillos e i Cabiri formano una 
“unita” pregreca: ma i “Grand! Dei” comprendevano anche altre figure, tra 
cui una dea del mondo sotterraneo, Axiokersa, e il suo sposo, Axiokersos, 
che i Greci identificavano con Ade e Persefone. L’insieme dell’area sacra di 
Samotracia si estende da nord a sud, in uno scenario ancor oggi di rara 
bellezza paesaggistica; le costruzioni si trovano in parte su collinette e in 
parte a valle, cosicche il corteo degli iniziandi scopriva gradualmente la via 
dell’iniziazione. II corteo giungeva dalla citta lungo la via sacra ed entrava 
nel recinto del Santuario attraverso il Propylon. 

Come ad Eleusi, i novizi dovevano sottoporsi a riti propiziatori che com¬ 
prendevano il digiuno e vari sacrifici, poi dovevano purificarsi con un ba- 
gno nei corsi d’acqua che anticamente attraversavano il recinto sacro. 
L’iniziazione in senso stretto avveniva sempre di notte, al chiarore di alte 
fiaccole i cui support! in pietra sono ancora oggi visibili. 

Ogni iniziando portava una lampada come attestano i reperti in terracotta 
rinvenuti, con il monogramma greco degli dei, la “TH”. Indossavano lunghe 
vest! bianche, e quando entravano nell’Anaktoron iniziavano le danze ritua- 
li. Tutto intorno alia sala aspettavano, seduti su panche o gradini, coloro 
che gia avevano superato I’iniziazione, i parent! o gli amici dei novizi, ma 
anche semplici curiosi del popolo. 

Gli iniziandi entravano poi uno alia volta in una nicchia dove versavano la 
loro offerta nel pozzetto sul cui fondo si trovava la pietra sacra. Simbolica- 
mente si legavano cost alle forze del mondo sotterraneo, perche in quella 
pietra - si credeva - risiedeva la forza della Grande Madre. 

Gli iniziandi prendevano poi posto su un’alta tribuna di legno, di cui sono 
state trovate le tracce, che si ergeva in mezzo alia sala; durante questa 
fase, detta “insediamento sul trono”, venivano accerchiati da persone che 
imitavano i Coribanti che li dileggiavano con alte grida e scherzi pesanti. 
Ritroviamo qui I’eco dei gephyresmoi eleusini, che i pellegrini dovevano 
subire attraversando il ponte sul fiume Kephysios (CAMILLA,!996: 20). 

Le danze, la tensione emotiva, le uria dei coribanti che rimbombavano tra le 
mura dell’Anaktoron, portavano ad un passo dalla “grande visione" che i 
novizi avrebbero esperimentato di li a poco; ma prima di accedere alia con- 
sacrazione, essi ricevevano una sciarpa rossa con cui si dovevano coprire 
le spalle o il capo, e i telesmata, gli “oggetti sacri” che da questo momento 
avrebbero sempre portato con s6, a testimonianza della protezione divina e 
deiriniziazione ottenuta. 




Entravano poi neiradyton, la parte del tempio riservata all’iniziazione vera e 
propria: davanti alia porta d’ingresso vi erano due statue di divinita itifalliche 
Che Erodoto afferma essere quelle di Hermes di derivazione pelasgica 
(ERODOTO, II, 51). Cosa poi avvenisse all’interno della stanza non ci e dato 
di sapere, se non che bevevano una pozione rituale. 

Nel mistero completo e avvolto anche il secondo grado iniziatico, quello 
dell’epopte, raggiunto nel cosiddetto “Nuovo Tempio”, lo Hieron. 

Dagli elenchi di coloro che si sottoponevano a questo rito sappiamo che il 
loro numero era molto limitato: al fatto non vi e una spiegazione sicura, ma 




Lemno, museo 
archeologico 
Sirena alata in 
terracotta. 
VII sec 3 C 




Tempio dei Cabiri si presume che i costi per ottenere I’epopte fossero molto elevati, oppure 
a Lemno. venissero impost! comandamenti moral! particolarmente rigid!. Certo e 

che chi aspirava al secondo grado iniziatico doveva, come ad Eleusi, esse- 
re immune ai peccati di sangue. A Samotracia vi era infatti un sacerdote 
incaricato specificamente della confessione dei peccati. Prima di entrare 
nella sala delle iniziazioni il novizio doveva giurare solennemente di mante- 
nere il piu stretto silenzio su cio che avveniva all’interno. Poi in un’abside 
protetta da tende, si aveva la “visione”, una specie di “rottura” con la vita 
precedente, una ristrutturazione dell’lo, come trapela dalle parole di Diodoro, 
secondo il quale coloro che erano iniziati erano piu devoti, piu giusti e mi- 
gliori di quanto non fossero stati in precedenza (DIODORO, 5, 49). 

Allucinogeni a Samotracia? 



Se il culto eleusino fu appoggiato da una mitologia sostanzialmente lineare 
e coerente che verteva sulla ricerca da parte di Demetra della figlia Perse- 
fone rapita da Ade, altrettanto non si pud dire dei Mister! di Samotracia che 
coinvolgevano piu personaggi e piu element! mitici. Si narra che nell’anti- 
chita le acque del Ponto (il Mar Nero) si riversarono su tutta la regions 
affondando tutte le terre; solo I’alta vetta di Samotracia resto fuori dalle 
acque, offrendo riparo e scampo ai fuggiaschi (DIODORO, 5, 47-49). Uno 
degli scampati era Dardano, figlio di Zeus e di Elettra, la “Risplendente”, 
figlia di Atlanta. Dardano giunse a Samotracia, dove istitui i Misteri, su una 
zattera in cui era riuscito a mettere in salvo il Palladio, il cofanetto conte- 
nente le “immagini” degli Dei. I suoi discendenti fondarono la citta di Troia, 
trasferendovi il Palladio. Dopo la distruzione della citta, Enea, unico super- 
stite fra gli eroi troiani, salvo il cofanetto portandolo con se in Italia: i Ro¬ 
mani chiamarono quest! “dei” Penati: Virgilio li chiama sia Penati che Magni 
Dei (VIRGILIO, Eneide, VIII, 679). L’autore di solito assai precise, li lascia 






avvolti in una insolita vaghezza: sappiamo solo che il Palladio era un cofanetto 
trasportabile, contenente le “immagini” di questi Grandi Dei, nel quale era- 
no presenti gli dei stessi. Virgilio non ci dice pero nulla circa il loro numero, 
il loro “aspetto”, il loro sesso. II fatto curioso e che alcuni li consideravano 
giganti, altri nani (ERODOTO, III, 37). 

Siamo evidentemente in presenza di una religiosita pregreca e pratiche ri- 
tuali ed estatiche risalenti probabilmente al neolitico. Quando la religione 
greca assunse sempre piu caratteristiche antropomorfiche, quando tutte le 
divinita assunsero un nome e un sesso, si cerco di darne uno anche agli 
dei di Samotracia: Erodoto li chiamo Cabiri (ERODOTO, II, 51), nome da 
tutti accettato ma che sostituisce un enigma con un altro enigma, perche 
dalle fonti letterarie apprendiamo che i Cabiri erano di fatto intercambiabili 
con altre divinita impersonali, i Cureti e i Coribanti: Nonno chiama esplicita- 
mente i Coribanti “Cabiri che amano la danza” (NONNO, Dionisiache, 3, 
73). L’indeterminatezza dei “Grandi Dei” di Samotracia ci rimanda ai popoli 
presso cui e storicamente accertato I’uso di piante o funghi psicotropi: i 
siberiani credono che gli spiriti del fungo Amanita muscaria siano uomini o 
donne di piccola statura, a volte visti come giganti, il cui numero non pud 
essere stabilito con precisione. 

La stessa indeterminatezza la ritroviamo presso i Mazatec del Messico, che 
chiamano i funghi psilocibinici con il generico appellativo di “figli delle ac- 
que”. In una prima fase del pensiero religiose i nomi e I’identita degli “dei” 
venivano sottoposti ad un rigido tabu e mai pronunciati pubblicamente. I 
“veri” nomi venivano tramandati dai sacerdoti soltanto agli iniziati e sempre 
per via orale; questi, dal canto loro, erano tenuti a mantenere il piu stretto 
segreto. Lesatta trasmissione dipendeva quindi dalla memoria soggettiva 
degli adepti, e se, per qualche ragione, era necessario trasmettere il con¬ 
cetto, ad esempio attraverso le rappresentazioni artistiche, questo veniva 
fatto in maniera ermetica, in modo che fosse comprensibile ai soli iniziati. 
Come gia evidenziato in precedenza (CAMILLA, 1997: 31), molte associa- 
zioni divinita-elemento botanico presenti nell’antica Grecia possono essere 
spiegabili solo come metafore final! di una lunga evoluzione culturale parti¬ 
ta proprio per nascondere dietro a nomi simbolici I’identita della pianta sa¬ 
cra, innominabile. 

AI pari dell’esperienza eleusina anche quella vissuta a Samotracia era tut- 
t’altro che simbolica, bens’i, presumibilmente, visionaria. 

Ma per ipotizzare che dietro al culto dei “Grandi Dei” vi fosse I’assunzione 
di una pianta allucinogena e necessario che i dati mitologici e letterari ab- 
biano un “simbolismo enteogenico”, o per lo meno che possano essere 
interpreted in chiave etnobotanica. 

In effetti tutta una serie di figure mitiche che, direttamente o indirettamente, 
hanno a che fare con i Mister! di Samotracia sono gia state interpretate 
come personificazioni di vegetal! psicotropi, in particolare del Soma, la pianta 
sacra della tradizione vedica, identificata da Wasson come il fungo Amanita 
muscaria (WASSON, 1968). 

Innanzitutto Prometeo, al quale C.A.R Ruck ha dedicate un’interessante 
analisi (RUCK, 1986): secondo I’autore, il furto del fuoco di cui si rese 
responsabile Prometeo, 6 un simbolismo enteogenico; Prometeo 6 descrit- 
to aver nascosto il fuoco nel nartex (ESIODO, Le Opere e i Giorni, 52), 
assimilabile al tirso dionisiaco; altri parlano del fuoco come di un “fiore", o 



95 



anthos (ESCHILO, Prometeo, 7) che dona agli uomini conoscenza e chiaro- 
veggenza. II dono del fuoco rientra nelle tradizioni misteriche del Cabiri, 
perche si narra che il furto ebbe luogo a Lemnos, il cui volcano ospitava la 
fucina di Efesto. Beneficiari del furto furono quindi, presumibilmente, i pri- 
mitivi abitanti dell’isola, i Cabiri, ritenuti essere nati dalla terra. La loro na- 
scita “miracolosa” e una probabile metafora per indicare che i “Grandi Dei" 
erano creature botaniche, piu specificamente creature fungine. 

Al primitive il fungo doveva apparire ben misterioso e “miracoloso”: il suo 
cicio riproduttivo diverse da qualsiasi altro vegetale, senza fieri, ne foglie, 
ne semi; la rapidita con cui il fungo compare dope la pioggia, I’altrettanto 
rapida sua scomparsa, dovevano incutere sentiment! di meraviglia e di “sa- 
cro terrore”. 

E poi la forma stessa del fungo, che si presta sempre ad allusion! e metafo- 
re sessuali. Non e’e da stupirsi se nel “primitive” quest! sentiment! di sacro 
terrore aumentarono ancor di piu quando I’uomo scopri - per case - che 
certi funghi possedevano un intrinseco potere, e consumandoli ci si trova- 
va faccia a faccia con vision! ed esperienze schiaccianti che confermavano 
e rafforzavano la sua credenza nella realta di un mondo soprannaturale. 
Ruck ipotizza che lo stesso Prometeo, stando ad alcune version! mitiche, 
altri non sarebbe che I’antropomorfizzazione di una pianta psicotropa: una 
pianta color zafferano, parassita di un albero, crebbe dal sangue di Prome¬ 
teo (RUCK, 1986:172). Medea uso il succo di questa “pianta” per proteg- 
gere Giasone dai tori che custodivano il vello d’oro (APOLLONIO RODIO, 
Argonautiche, 3, 845). 

Questa misteriosa “pianta” dai magici poteri cresceva presumibilmente sulle 
montagne, perche Prometeo venne incatenato da Zeus su di una vetta del 
Caucaso, e divide interessanti e non casual! caratteristiche con il Soma, 
prototipo del fungo sacro in tutta la tradizione euroasiatica. 

La branca “ellenica” dei popoli indoeuropei, al pari degli Ari che si 
insediarono in Persia e in India, porto con se la conoscenza delle tradizioni 
sciamaniche in terra greca; il fatto sembra confermato dalla conservazione 
nell’epoca greca di un modello per la mistura delle pozioni magiche che 
presenta molte analogie con il materiale vedico. 

II termine Soma (haoma in persiano) deriverebbe da una radice linguistica 
indoeuropea, “su”, che significa “schiacciare”, “frantumare”, “spremere”. 
Lambrosia e il nettare di cui si nutrivano gli dei olimpici non e null’altro che 
la versione deformata di quello che nel contesto ariano era chiamato Soma, 
infatti anche questa “pianta” cresceva solo sulle montagne: 

Sulle piante hai disteso I’aere, nel cavalli la forza conquistatrice, nelle vac- 
che I I latte. Varuna pose nel cuori rintelletto, nelle acque 11 fuoco, nel cielo 
il sole, sul monte Soma (RIG VEDA, V, 85, 2). 

Anche Efesto, il dio del fuoco, e collegato a Samotracia, in quanto i Cabiri 
sono genealogicamente classificati come suoi figli, ed e anch’egli una pos- 
sibile versione ellenica del Soma. Ricordiamo che nel Rir Veda molt! inni 
collegano Soma ad Agni, il dio del fuoco, fino a rendere le due figure quasi 
intercambiabili. 

E inoltre curioso, e anche qui non certo casuale, come Efesto sia tradizio- 
nalmente descritto come “zoppo”, caratteristica che in molte tradizioni fa 
riferimento al fungo Amanita muscaria (WASSON & WASSON, 1957; 
WASSON, 1986; GRAVES, 1992). Ancora, nella Francia medioevale il ter- 





mine le bot (“storpio”, “zoppo”) designava sia Satana che I’Amanita mu- 
scaria. Caratteristiche enteogeniche sono possedute anche da Atlante, la 
cui punizione pud essere considerata parallela a quella del fratello Prome- 
teo, e queste caratteristiche ci riportano ancora al Soma. Atlante fu infatti 
condannato a “far da sostegno al cielo”, e analogamente il Soma viene de- 
scritto nel Rig Veda in questi termini: 


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Sostegno del grande cielo neH’ornbelico della terra, colato neironda entro 
I fiumi (...) sipurifica Soma che da ebbrezza al cuore (RIG VEDA, IX, 72, 7). 
Entra nel cuore di Indra, ricettacolo del Soma (...) gradito a Mitra, a Varuna, 
a Vayu, sei I’eccelso sostegno del cielo (RIG VEDA, IX, 108,16). 



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Rovereto n° 10: 
307-326. 


Erodoto, il primo a parlare di “misteri” a Samotracia, li attribuisce a quella 
popolazione autoctona che definisce pelasgica. 

Narra la tradizione che i piu bellicosi fra i Pelasgi furono i Centauri, capitanati 
dal re Chirone; in un famoso saggio, purtroppo di difficile reperibilita, Robert 
Graves propose I’ipotesi che i Centauri usassero proprio I’agarico muscarico 
(GRAVES, 1964). La dea madre dei Centauri era chiamata in greco Leukotea, 
la “Dea Bianca” (GRAVES, 1992:73) e curiosamente anche I’isola di 
Samotracia si chiamava Leukonia, I’isola bianca. Ma Samotracia era anche 
detta Elektania, I’isola risplendente, riportandoci da un lato alia grande madre 
Elektra, ma dall’altro al sole, al fuoco, al colore rosso. Bianco e rosso, dun- 
que i colori del fungo deH’immortalita, i colon del Soma: 

Con I’immutabile abito splendente, appena indossato, I’immortale rosso si 
avvolge. Ha preso la volta del cielo per vestirsi, un abito color delle nubi 
(RIG VEDA, IX, 69, 5). 

Soma muggisce, terrificante toro, mentre affila le sue derate coma (...) 

La pelle e del toro, I’abito dell’agnello (RIG VEDA, IX, 70, 7). 

Di glorno ha il colore del fuoco, di notte e bianco come I’argento 
(RIG VEDA, IX, 97, 9). 

La contrapposizione fra rosso e bianco, i colori caratteristici dell’amanita 
muscaria, e inoltre evidente proprio all’interno del rituale misterico di 
Samotracia, talmente evidente che sorprende il fatto che non sia mai stato 
evidenziato finora: gli iniziandi prima di entrare nella stanza delle iniziazioni 
e here la bevanda sacra dei Cabiri dovevano indossare sopra le loro blan¬ 
che vesti una sciarpa rossa. Non e questa una probabile forma di identifica- 
zione con il fungo dell’lmmortalita? 

Un panno (o una sciarpa) rosso come cappello e presente in una tradizione 
micologica di Tessalonica, la piu grande citta greca della penisola calcidica, 
non lontano da Samotracia, che riferisce che due dei fratelli Cabiri avrebbe- 
ro assassinate il terzo, nascondendo poi la sua testa in un panno rosso 
sanguigno (KERENYI, 1979:163). 

La sciarpa rossa ci riporta infine al vello d’oro e agli Argonaut!, la cui vicen- 
da pud essere letta come metafora di un percorso iniziatico-sciamanico, 
dove, ancora una volta, il vello d’oro sembra una versione ellenica del Soma. 
Gli argonaut! sono inoltre direttamente collegati a Samotracia e ai suoi Mi¬ 
steri, in quanto si narra che durante il viaggio alia conquista del vello d’oro 
approdassero proprio a Samotracia perche ‘'scoprissero nella dolce inizia- 
zione leggi segrete” (APOLLONIO RODIO, Argonautiche, 1, 917 ). 

Conclusioni 

Quella che abitualmente definiamo cultura greca rappresenta I’espressione 
piu chiara e meno deformata del sincretismo fra la tradizione mediterranea 
e quella dei popoli indoeuropei che penetrarono in terra greca intorno al 
secondo millenio a.C. Ma e anche la tradizione europea dove maggiormen- 
te si possono incontrare racconti mitici che evidenziano, simbolicamente, 
una profonda conoscenza di vegetal! psicoattivi, sia di tradizione mediter¬ 
ranea che di tradizione indoeuropea (CAMILLA, 1997). 

L’ipotesi di Wasson e Hofmann che gli ingredient! del kykeon eleusino con- 



tenessero derivati dell’acido lisergico e stata sostenuta da evidenze sia far- 
macologiche che linguistiche (WASSON et al. 1996), e negli ultimi anche 
Dioniso, almeno nelia sua forma originaria, e stato interpretato come il dio 
delle piante allucinogene, in particolare del fungo Amanita muscaria 
(SAMORINI E CAMILLA, 1995; CAMILLA, 1997). 

Crediamo che I’ipotesi che i Misteri di Samotracia e il culto dei “Grand! Dei” 
vadano anch’essi interpretati in chiave enteogenica sia qualcosa di piu di 
una pura fantasticheria, ipotesi implicitamente sostenuta anche da Lehmann 
quando affermava che ‘Tintossicazione da vino sembra essere stata un’an- 
tica pratica nei riti di Samotracia” (LEHMANN, 1995:31). 

D’altra parte il “vino” greco non era altro che un liquido madre in cui veni- 
vano infuse piante e vegetal! inebrianti (SAMORINI E CAMILLA, 1995; 
CAMILLA, 1997). 

Su Samotracia e i suoi Misteri esistono in realta pochissimi studi, nessuno 
dei quali va nella direzione di una lettura etnobotanica come proposto in 
questo articolo. 

Ma se questa lettura fosse attendibile, allora dovremmo riconoscere che 
anche nell’estremo nord del territorio greco, al confine con la Tracia, fiori e 
si sviluppo un importante culto estatico-visionario il cui nucleo rituale fu 
rappresentato da un vegetale psicotropo. Molti aspetti rimangono ancora 
oscuri, e la ricerca e ancora tutta da sviluppare; ma se si dovessero trovare 
indizi piu convincenti di quelli trovati su queste pagine, allora dovremmo 
porci I’interrogativo sul reale significato non solo su Samotracia, ma su 
tutti i culti misterici dell’antichita, dall’Orfismo ai culti in onore di Cibele e 
Attis, fino ai Misteri di Mitra e quelli dedicati a Iside e Osiride. 



WASSON R.G. & 
V.R WASSON, 
1957, 
Mushrooms, 
Russia and 
History. 
Pantheon Books, 
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WASSON R.G., 
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99 


Press, New 
Haven & London. 

WASSON R.G. et 
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scoperta dei 
misteri Eleusini. 
URRA/APOGEO, 
Milano. 


Mura della 
fortezza di 
Myrina a Lemno 








MONTANO E 
L’ES TAS! FRIG/A 


Ezio Albrile 

Torino 


II Montanismo fu un movimento profetico cristiano sorto nel terzo quarto 
del II secolo d. C., che si diffuse in tutti gli angoli del mondo greco-roma- 
no. Eusebio di Cesarea, che cita uno sconosciuto oppositore del Montanismo 
che oggi viene chiamato I’Anonimo, ci da un resoconto delle origini di que- 
sto movimento (cfr. H\sl eccl. 5, 16, 6-9) sorto in Frigia in un villaggio 
chiamato Ardaba. Per tale motive i seguaci del Montanismo furono chiama- 
ti anche “Catafrigi”, dal greco oikata Phrygas, oppure “Pepuziani”, dal luo- 
go (Pepuza) dove sarebbe dovuta apparire la Gerusalemme celeste, mentre 
gli stessi si autodefinivano adepti della “Nuova Profezia”, a causa delle pre- 
tese rivelazioni ricevute dal Paracleto del Vangelo di Giovanni. 

Poco si sa della figura del fondatore Montano. Prima della sua conversione 
alia fede cristiana, secondo San Gerolamo (Ep. 41,4) era forse stato sacer- 
dote della grande dea frigia Cybele, “mutilato e castrato” (abscisum et 
semivirum habuisse). Secondo altri era stato sacerdote di un idolo (cfr. 
Didimo Alessandrino, De trin. 3, 41, 3), mentre una fonte anonima lo fa 
sacerdote di Apollo. Non e neanche certo quando inizio il movimento: se¬ 
condo Epifanio di Salamina avrebbe avuto origine nel 156-157 d. C. circa, 
mentre Eusebio di Cesarea lo colloca negli anni tra il 172 ed il 173 d.C., 
questa seconda data e la piu probabile. 

Secondo le fonti piu antiche Montano si proclamo lo strumento del 
Parakletos, il “soccorritore”, il Cristo celeste degli scritti giovannei che in¬ 
tercede per I’umanita nella qualita d’inviato di Dio sulla terra. Annunziato il 
giorno della Pentecoste non era ancora disceso sugli Apostoli, ma si dove- 
va manifestare attraverso lo stesso Montano, onde introdurre la Chiesa nel¬ 
la verity ultima e definitiva. Due donne, Priscilla (o Prisca) e Massimilla, 
furono le prime discepole conquistate alia nuova dottrina; divenute anch’esse 
partecipl del dono profetico acquisito durante la trance di possessione del¬ 
la setta, furono presto venerate accanto alio stesso Montano. 

La profezia si annuncid nuova, specialmente per la sua forma estatica, con- 
traria per certi versi al concetto cattolico di profezia, cosi come espresso 
da San Paolo nella prima lettera ai Corinti (14). Della letteratura montanisti- 
ca sono giunti sino a nol unicamente sedici frammenti oracolari, conservati 




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Nella pagina a 
fianco: immagine 
del dio Sabazios 
da una laminetta 
in bronzo 
proveniente dalla 
Spagna. 
La divinity con il 
tipico cappello 
frigio 6 associata 
a Cybele. 
In basso a destra 
si pud notare un 
boscaiolo pronto 
a recidere un 
pino sacro, 
mentre a sinistra 
6 presente 
Dioniso senza 
barba con una 
corona di rami di 
vite 











Iside di Cyrere. 


sotto forma di citazioni da alcuni scrittori protocristiani (antimontanisti ed 
eresiologi). Tra questi il quinto esprime con chiaro linguaggio simbolico la 
confessione estatica che fa da sfondo alle esperienze visionarie della setta, 
dove in uno stato di rapimento e di estasi gli adepti enunciavano le 
rivelazioni del Paracleto: 



"Ecco, I’uomo e come una lira, 
e io (=Montano) volo sopra 
come un plettro. L’uomo dorme 
e io son desto. Ecco e il 
Signore colui che fa uscire 
di se i cuori degli uomini e li 
rinnova". 


In questa caratteristica violenza estatica si riconosce I’appor- 
to dominante della religione frigia arcaica, intrisa di fenomeni 
legati alia trance di possessione e al culto della “Grande ma- 
dre” anatolica riconoscibile nella dea “eviratrice” Cy- 
bele. A quest’ultimo aspetto, connesso alia disinte- 
grazione del games matrimoniale, va inoltre ricondotta 
I’ossessione montanista verso il rigorismo sessuale 
e I’ascetismo intenso. Alla rinuncia totale al matri- 
monio vanno aggiunte le prescrizioni rituali circa i 
digiuni prolungati ed austeri. Montano stesso proba- 
bilmente richiese che tutta la vita del fedele, sino al 
ritorno del Signore, fosse un continue, ininterrotto 
digiuno. A questi postulati va unita I’assoluta dispo- 
nibilita e predisposizione al martirio, come sottoli- 
neato piu volte da Tertulliano (cfr. De fuga, 9), Io ze- 
lante padre della Chiesa che per eccesso di zelo si 
fece egli stesso montanista. 

Le trance di possessione della setta sono certamen- 
te tra gli aspetti piu suggestivi della prassi dottrinale 
montanistica. Montano “vittima della follia e delle 
convulsion!” si autodefinisce veicolo del Paracleto: 
differentemente dal “Padre di tutte le eresie” Simon 
Mago che parlava di se stesso come della “potenza 
di Dio, quella chiamata la Grande”, egli parla in prima 
persona quale medium di Dio, colmandosi del suo 
spirito profetico. II medesimo pneuma che riempie e 
fa parlare “in modo folle, inopportune e bizzarre” le 
due profetesse Priscilla e Massimilla. Anche se non 
unanime, sembra chiaro il retaggio pagano di tale pro- 
fetologia: Apollo e il dio oracolare vividamente descrit- 
to nella novella di Par Lagerkvist, che parla attraver- 
so la sua profetessa, la Pizia delfica; essa enuncia i 
suoi responsi quando e en-theos, plena deo, "ricolma 
di Dio”. Virgilio oeW'Eneide (6, 77) descrive plastica- 
mente I’evento quando narra di Enea, che giunto nei 
penetrali dell’antro cumano interpella la Sibilla scos- 






sa dai fremiti di Dio, pregandola di fargli udire “il suono del futuro”. Una 
situazione parallela si trova nelle Metamorfosi di Ovidio (14, 107) dove la 
Sibilla deo furibonda recepto e una vergine recalcitrante alle proposte di 
matrimonio del dio Febo (Apollo), e per questo punita con una effimera 
forma di immortalita che si protrae nel tempo, ma non nel corpo. II raccon- 
to della Sibilla trova una sorprendente analogia con quanto narra Ovidio 
sempre nelle Metamorfosi (1, 689-712), a proposito di un’altra vergine ri- 
belle all’amore di un dio. Syrinx (Siringa). E curioso come la divinita avente 
I’epiteto di Nomios “soffi” attraverso il corpo della vergine ribelle, colman- 
dola del suo spirito. Ancor di piu e il nome della virgo Syirinx/Siringa, che 
riporta alio strumento rituale della misteriosofia orfico-dionisiaca e metro- 
aca: tempo addietro il Macchioro, in un epocale libro (Zagreus, Firenze, 
1930, pp. 74-76), ha dimostrato I’importanza nei riti magici dell’atto del 
syrizein, voglia o no cio significare il suonare la siringa. Da questo deriva 
inoltre I’epiteto di syriktes dato ad Helios in un inno orfico, e il referente 
cosmico attribuito al syrizein di Zeus. 

Degno di nota e ancora I’episodio della soror montanista su cui si sofferma 
Tertulliano nel De anima (9, 4). La comunione con il divino attuata dalla 
visionaria in conversatur cum angelis, se non con Dio stesso, porta ad una 
comunicazione tra I’umano e il mondo spirituale segnata non solo dalla 
visibilita di realta sovramondane, ma anche e soprattutto al discernimento 
del cuore degli uomini. La trasparenza, ineffabile, dell’anima divina, si rive- 
la all’estatica in forma corporea: immagine che solo apparentemente e va¬ 
cua illusione, poiche possiede una sua “afferrabilita” e percepibilita ai sen- 
si fisici. La visione angelica, divina, nelle parole dell’estatica assume la 
concretezza di una sostanza 
luminosa, che a livello compa¬ 
rative si pud avvicinare alia 
auge teurgica, il lampo noeti- 
co stigma dello splendore di 
Hekate negli Oracoli caldaici 
(cfr. il frammento 115 Des 
Places). 

Quest’avvicinamento compa¬ 
rative permette di approfondi- 
re ulteriormente il presunto 
retaggio pagano del Montani- 
smo basandosi su una perce- 
zione dell’altro mondo, quello 
nascosto, precluso alia perce- 
zione ordinaria, che per usare 
la terminologia del Corpus her- 
meticum 6 una thea ed una 
theasasthai, ciod una “visio¬ 
ne" ed un “vedere” nella tra¬ 
sparenza del cosmo noetico. 

Un parallelo interessante a tale 
fenomenologia visionaria 6 il 
caso di Dositea, la veggente 
anatemizzata da Psello nella 


Rilievo 
raffigurante la 
ierogamia, 
I’unione col 
divino. 




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orazione contro il nemico di sempre Michele Cerulario (Orat. 1 = ed. Dennis 
pp.5, 106ss.). L’accusa e grave: il Patriarca, in combutta con i monaci di 
Ohio, Niceta e Giovanni ha ammesso nel suo palazzo e nella Basilica di 
Santa Sofia una profetessa dotata di straordinari poteri visionari, che in 
preda alia trance estatica si da ad “ignobili eccitamenti e furori bacchici”. 
Lo stesso Psello e costretto ad ammettere che il “carattere inaudito ed in- 
solito dell’ispirazione sconvolge I’ignorante” ed al medesimo tempo “desta 
meraviglia e venerazione”. II caso e affine all’estatismo montanista e, in 
linea con il piu zelante degli eresiologi, Psello paragona la trance di pos- 
sessione ad una sorta di “ateismo” scaturito da una degenerazione religio- 
sa ellenico-caldaica, ovverossia da una sorta di miscuglio tra orfismo, 
mithraismo e culti metroachi. Dositea, colta da un’estasi febbrile, incon- 
trollata, “profetizza le cose future ed enumera le legioni celesti”: I’enuncia- 
zione delle taxeis, le “legioni” angeliche, rientra in quell’attivita visionaria 
implicante \'ascensio nelle sfere arcontico-planetarie e il congiungimento 
ultimo con la “Madre del logos” che comunica a Dositea i misteri scaturiti 
dalla “generazione del logos”. Inutile dire che una simile ermeneutica visio¬ 
naria si collochi nell’alveo di una tradizione religiosa “materna” indirizzata 
ad esaltare al massimo grado I’aspetto femminile del divino. Non e un caso 
infatti che le stesse profetesse montaniste (Quintilla o Priscilla), secondo 
I’oracolo riportato da Epifanio di Salamina (Pan. haer. 49, 2-3), percepi- 
scano nella trance estatica il redentore in sembianze femminili: 

"Cristo e venuto a me e m’infuse la 
sapienza, coperto di splendida veste 
sotto forma di donna fen idea gunaikosj, 
e mi riveld che questo luogo e santo 
e qui deve scendere la Gerusalemme 
celeste”. 

II “luogo santo” e ovviamente la citta frigia di Pepuza, spazio designato ad 
accogliere la nuova e ultima manifestazione della Gerusalemme celeste. 
Oltre a cio e importante rilevare come la visione del redentore in sembianze 
femminili non sia un caso isolato: un importane scritto gnostico di Nag- 
Hammadi intitolato “II Tuono, la mente perfetta” (NHC VI, 13, 1-21, 32) 
descrive I’entita rivelatrice nei tratti contraddittori di una Madre celeste che 
e “vergine e sposata, onorata e disprezzata, prostituta e santa”: una sorta 
di aretalogia in negativo che, come ha mostrato la studiosa americana J. 
Jacobsen Buckley, si ritrova anche nei testi gnostici dei Mandei. 

Questa tematica ne introduce una molto piu ampia, che e quella della 
“ierogamia visionaria”. E un tratto costante dell’ascetismo femminile de- 
scrivere I’esperienza mistica in termini di unione con il Cristo. Le linee por- 
tanti di tale mistica nuziale, che verranno ad esempio preconizzate da Santa 
lldegarda di Bingen con le parole Lux vivens dicit, “La luce vivente dice...”, 
intendendo con cio riferirsi alle parole rivelate da GesCi quale messaggero 
celeste, si ritrovano ancora nella gnosi di Marco il Mago (cfr. U.Adv. haer. I, 
13,2). Secondo Marco il Mago, incluso non a caso da Ireneo nel ramo siro- 
anatolico della scuola valentiniana, il rito di comunione introdotto dalle pa¬ 
role del “rendere grazie” su di un calice assume la tipologia di un Sacra¬ 
mento estatico, nella forma di una comunione con il fluido luminoso di un’en- 








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tita divina, la C/7ar/s, la “Grazia” che si manifesta improvvisamente in virtu 
di una particolare azione magica di invocazione. Cid che appare specifico 
in questa cerimonia e la descrizione del rito in termini di mistica nuziale: la 
trasmutazione del vino contenuto nel calice coincide con I’infusione della 
Charis alle donne che presenziano il rito, evento che porta alia trasmissio- 
ne del dono della profezia: “Quella che e prima di ogni cosa, incomprensi- 
bile e indicibile Grazia, riempia il tuo Uomo interiore e moltiplichi in te la sua 
gnosi seminando il granello di senape sulla buona terra” (Ir. Adv. haer. I, 
13,2). L’azione della Charis nella liturgia visionaria di Marco ha quindi la 
funzione di donare la conoscenza profetica risvegliando I’uomo interiore, 
\'anthropos photeinos sul quale si diffonde con ampiezza di metafore la 
letteratura gnostica. L’invocazione dell’lmmagine divina che scende sulla 
comunita degli eletti trova un altro parallelo nel Sacramento gnostico de- 
scritto dal Vangelo di Filippo. In quest’opera, sempre proveniente dalla bi- 
blioteca copta di Nag-Hammadi (NHC II, 32, 10-51, 28), I’uomo perfetto 
potra essere realizzato dagli gnostic! se quest! riceveranno I’azione della 
Charis e saranno capaci di rivestirsi della Luce perfetta, cioe di Charis e di 
Phos (cfr. logion 106). Per poter penetrare nel pleroma di Luce, e cio pub 
avvenire unicamente con la mediazione sacramentale, e precisamente con 
I’eucarestia che introduce al “mistero della camera nuziale”, che in termini 
gnostic! e effigiato dall’unione del Logos con lo Spirito Santo (si deve infatti 
ricordare che secondo I’uso linguistico semitico la parola spirito, ruach, e 
sempre femminile). Ascrivibile a una tale tipologia sacramentale e una ra- 
mificazione araba del movimento montanista, i Collyridiani. Tratto rilevante 
della setta e I’assunzione della Vergine Maria al rango di una dea vera e 
propria, alia quale vengono otferti sacrifici rituali quotidian!. Conosciuti anche ' 
come “Filomarianiti”, i Collyridiani derivano il loro nome dal greco kollyra, 
che si riferisce al pane o focaccia rituale offerto ritualmente alia 
Vergine Maria. La consacrazione di pani o dole! rituali e una co- 
stante della religibsita mediterranea arcaica, basti pensare al 
Demetriakon karpon, il “grano di Demetra” inteso come cibo 
cultuale nelle svariate cerimonie di area ellenica a lei consecra¬ 
te, oppure al tempio di Cerere (Demetra) descritto neW'Asino d’oro 
di Apuleio (Metam. 6,1) dove la dea riceve offerte di “spighe di 
grano, alcune in covoni e altre intrecciate in corone, e anche 
spighe d’orzo...”. Ma il sacrificio dei cereali spiega poco o nulla 
sul misterioso culto dei Collyridiani descritto da 
Epifanio di Salamina (Pan. haer. 79, 

1-9), e che ha un suggestive 


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parallelo nella cerimonia eucaristica officiata negli atti di Tomaso, dove lo 
stesso apostolo Tomaso benedicendo il pane sacramentale invoca la disce- 
sa su di esso della Charis divina che e “silenziosa rivelatrice del misteri 
sublimi” (cfr. Acta Thom. V, 49-50). Particolare importante e che I’apostolo 
inizia a distribuire il pane eucaristico cominciando dalla donna che gli e 
accanto e In tutta la liturgia non si fa menzione del vino. 

Ma il rito che piu si avvicina tipologicamente al cerimoniale dei Collyridiani, 
e il Sacramento estatico impartito dagli gnostic! Ofiti di cui ci rende edotti 
sempre Epifanio (cfr. Pan. haer. 37, 5). Qui, in un’atmosfera di delirio oniri- 
co, circondati da serpent! vivi, gli adept! della setta manducano focacce 
cotte con farina di mandragore. Quest! pani rituali, il cui effetto allucinoge- 
no e chiaramente testimoniato dalla presenza della mandragora, prima di 
essere mangiati vengono offerti alia potenza “dracontica” e tellurica effigiata 
nel serpente; immagine di quella forza duale e sorgiva che i Collyridiani 
rappresentano plasticamente nelle fattezze della Vergine Maria, e che, per 
esempio, altri gnostic! di area ofitico-sethiana, i Perati, chiamano piste 
oikonomos tou ichnous ton aeron, cioe “la fedele tesoriera dell’impronta 
fluidica” (cfr. Hipp. Ref. V, 14, 1). 

Inutile ribadire come una simile ermeneutica visionaria non si sia potuta 
mantenere a lungo in equilibrio con il potere ecclesiastico: appare quindi 
abbastanza logica I’intransigente e violenta reazione della Chiesa, che com- 
batte la pretesa di una cospicua parte della comunita religiosa di possedere 
font! di rivelazione autonome, se non addirittura superior!. Iterando cio che 
era gia avvenuto nel conflitto con lo Gnosticismo, la Chiesa condusse an- 
che contro il Montanismo una doppia lotta, teologica ed ecclesiastica. La 
polemica teologica e in gran parte conservata dal gia citato Anonimo tra- 
mandato negli excerpta raccolti da Eusebio di Cesarea, mentre la lotta pro- 
priamente ecclesiastica contro il Montanismo si manifesto prima in Asia: 
qualche vescovo cerco di convertire i nuovi profeti senza risultati apprezza- 
bili; e il caso di Zotico di Comana e di Giuliano d’Apamea che si recarono a 
Pepuza per esorcizzare il demonic che a loro parere infestava Massimilla: il 
tutto si risolse pero con un nulla di fatto, poiche vennero cacciati dai se- 
guaci della profetessa. 

Nonostante la dura lotta delle autorita ecclesiastiche il Montanismo, alia 
fine del IV secolo, era ancora forte in Frigia, Galazia, Cappadocia e Cilicia, 
come pure a Costantinopoli, e tale rimase sino all’VIII secolo. Non sembra- 
no infine mancare i casi dove i montanisti arsero vivi nelle proprie chiese, 
per non doverle abbandonare ai cattolici. La vittoria sul Montanismo rap- 
presenta I’affermazione sempre piu decisa della Chiesa quale organizzazio- 
ne gerarchica fondata sulla successione apostolica di Vescovi, e suH’idea 
di un universalismo volto a conquistare a Cristo il mondo intero. E I’idea 
dello “spazio vitale" cristiano (destinato ad una infelice posterita) che si 
scontra duramente con I’estatismo montanista, reo forse di aver spostato 
I'attenzione su un aspetto piu intimistico, e a suo mode “sacrificale”, del 
problema religiose. Gli esordi del Montanismo vanno infatti collocati duran¬ 
te rimpero di Marco Aurelio, memento in cui le condizioni politiche forte- 
mente oppressive favorirono la nascita di movimenti a sfondo millenaristico. 
In particolare quello montanista si caratterizzd come un movimento di rin- 
novamento all’interno della Chiesa del II secolo: la sua accettazione del 
valore del martirio e I’importanza che esso ascriveva ad un’etica rigorosa 


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107 

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Sacerdote della 
“Grande madre" 
Cybele. 


tendeva a differenziarlo dalla grande Chiesa. E indubbio inoltre che I’assun- 
zione della fede cristiana a dogma politico-costantiniano abbia ulteriormente 
aggravate nei secoli successivi la gia precaria situazione di un'eresia come 
quella frigia, totalmente disinteressata alia caducita del tempo presente. 









LA LDANZA DEL VEMTO 
Eimport^nza della^ da^nza^ 

e della musica ne! 
candomble d! Bahia 


Lo straniero ha gli occhi grandi, 
ma non vede nulla In citta. 
Proverbi Twi (in J.B.Danquah) 


Rosamaria 

Susanna 

Barbara 


Airinizio era il Caos. Ad un certo punto, comincio a sentirsi un rumore che 
prese consistenza e si trasformo in ritmo. Cosi Shiva dette origine all’uni- 
verso cantando e danzando sulle vibrazioni del suono. Anche Eunione, la 
dea di tutte le cose, nacque dal Caos e non vedendo terra solida dove poter 
sostare, ballando sulle onde separo il cielo dal mare. In Africa, presso gli 
ioruba\ gli orixa danzavano per festeggiare la vita ed avvicinarsi ai mortall. 
In gran parte delle cosmologie il mondo nacque dalla danza e dal canto di 
una dea-ballerina o di un dio-musicista, come se tutte le culture ricono- 
scessero il fascino e il potere organizzatore della musica. 

L’articolo mostra la funzione ed il significato simbolico della danza e della 
musica nel rituale pubblico del candomble, la religione afro-brasiliana che 
ha il suo centre principale nella citta di Bahia, in Brasile e che gia Bastide 
aveva definite la “Roma nera”. 

Per Bastide (1978) il candomble riproduce “una piccola Africa in terra bra- 
siliana” perche non e solo una religione, ma la comunita riproduce un modo 
di vita africano basato sulla solidarieta e la difesa delle proprie tradizioni. 

II candombib si basa sul culto degli orixa, le divinita della natura ioruba, 
visibili durante il fenomeno della trance ed e costituita dalle credenze e dal¬ 
la visione di mondo di varie etnie, provenienti per la maggior parte dalla 
Nigeria e dall’attuale Benin. Lentrata nella religione e segnata da un rito di 
passaggio che prevede un tempo di reclusione. Gli orix^ sono degli ante¬ 
nati divinizzati che corrispondono alle energie della natura: Xango 6 il forte 
e allegro dio del fuoco; Lemanja e la Grande Madre, regina degli oceani; 
Oxum la vanitosa divinita dell’acqua dolce. Simili alle divinita del Pantheon 
greco, gli orixa vengono venerati in tutto il Brasile. 

Lo scopo del rito pubblico^ e I’incontro del fedele con il suo orix^ principa¬ 
le, il suo doppio spirituale, durante la trance, in modo da superare I’antica 
separazione fra il mondo degli spiriti {orum) e il mondo terrestre (aiyd). 
Separazione avvenuta a causa della trasgressione di un divieto da parte 
dell'uomo. 

In quel tempo gli uomini vivevano in armonia con gli dei, ma non dovevano 
perO sporcare /'orum. Oxali, il padre di tutti gli dei, amava la pulizia e il 
bianco. Ma un giorno un uomo macchid inavvertitamente /'orum. 

Oxald lo seppe e arrabbiatosi spezzd il palo sacro che univa i due mondi, 


Antropologa 

Genova 



L’articolo e 
basato su una 
ricerca di campo 
della durata di 
tre anni, a 
Salvador 
(Brasile), in uno 
dei terreiros piu 
tradizionali della 
citt^, \’li6 Ax^ 
Op6 Afonja, 
tondato nel 
1910. 


^ Etnia africana 
proveniente dalla 
Nigeria e 
dall'attuale Benin 
deportata 
nell'ultimo cicio 
della tratta degli 
schiavi in 
Brasile.Gli lorubd 
erano a capo di 
grandi civiltd che 
avevano il loro 
centro nella cittd 
di Ife di Old e di 
Ketu. 





2 Essendo il 
Candomble una 
religione 

misterica vi sono 
riti pubblici a cui 
tutti possono 
partecipare e 
una serie di riti 
solo per le 
persons della 
religione. 

3 Come spiega 
PRANDI: "L'axe e 
forza Vitale, 
energia, principio 
di vita, forza 
sacra degli 
orixa". 

(1991:103) 



110 


* Per fundamento 
si intends la 
forma e gli 
element! con i 
quali sono 
eseguiti i ritual! 
Che fanno parte 
dei segreti, awo, 
della religione. 


quello delle divinita e quello dei mortali, separandoli definitivamente. Dope 
un po’ di tempo perd gli uomini cominciarono a sentire nostalgia delle bel- 
lissime danze delle divinita e gli dei desideravano gustare nuovamente i 
cibi Che i mortali preparavano per loro. Ecco allora che Oxala decise di fare 
incontrare occasionalmente gli orixa e i loro fedeli, in grand! feste. 

Essendo il candomble di chiara derivazione africana tratteremo di alcuni 
elementi di questa cultura che si incontrano anche in Brasile. La musica e 
la danza in Africa accompagnano il fluire della vita: tutti gli avvenimenti 
sociali important sono sottolineati dalla loro celebrazione con la musica e 
il corpo. L’arte fa parte del quotidiano e non e separata in una sfera a se 
come nelle culture occidental!. Le civilta africane sono caratterizzate da una 
visione olistica della vita. Ogni essere vivente - e non - e collegato ad un 
altro in una catena infinita di significati in cui ogni singolo elemento esiste 
in funzione dell’altro, partecipando cosi alia dinamica del cosmo, in un’eterna 
ricerca di armonia e equilibrio. Esiste un legame indissolubile fra il cosmo, 
I’uomo e il sacro che si manifesta nell’esistenza quotidiana e, in questo 
legame fra sensibile e sovrasensibile, il suono e il movimento assumono 
un’importanza fondamentale perche portano e trasmettono una forza di “rea- 
lizzazione” considerata sacra, I’axel 

Per suono non si intends solo la musica, ovvero tutto cio che e percepibile 
attraverso I’organo uditivo, ma anche I’onda vibratoria che si propaga attra- 
verso tutti i corpi: gassosi, liquid!, etc. Onda vibratoria che si manifesta 
anche nel movimento, per questo il suono e la danza nel candomble fanno 
parte di un processo dinamico che si articola fra vari elementi. Suono e 
movimento si possono considerare come facenti parte dell’onda che muo- 
vendosi muove il mondo e il cosmo, e che si esprime in tutta la sua bellezza 
nelle danze sacre, dove si materializza nel corpo delle sacerdotesse e nella 
musica degli atabaques (tamburi sacri). 

Questa onda vibratoria potrebbe essere il ritmo che, come gia sottolineato 
da Senghor: 

“ E I’architettura dell’essere, la dinamica interna che lo costruisce... I ritmi 
si esprimono attraverso i mezzi materiali: attraverso linee, colori, superfici 
e forme nella pittura, nella plastica e neH’architettura... Attraverso gli ac¬ 
cent! nella poesia e nella musica, attraverso I movimenti nella danza. Con 
quest! mezzi il ritmo conduce qualsiasi cosa nel piano spirituale; poiche si 
incarna sensibilmente, il ritmo illumina lo spirlto”. 

(SENGHOR, 1956:60) 

Essendo il candomble di tradizione orale, la visione di mondo e trasmessa 
attraverso il corpo, attraverso un lungo percorso di apprendimento e di in- 
corporazione dei fundamentos"^ religiosi che propone il corpo come uno 
strumento di saggezza ritualmente costruito e la musica come filo condut- 
tore e memoria del rituale. A questo proposito Fuller Snyder presenta la 
danza sacra e la musica associate al mito e aventi funzione di letteratura: 
"La musica, la danza e I’arte tutta possono essere considerate la letteratu¬ 
ra di una socleta di tradizione orale, per questo possiede una pluralita di 
significati: la storia dell’etnia, la visione di mondo, le credenze religiose. 
I’organizzazione della socleta e varie funzioni interconnesse come quella 



di fortificare if gruppo e la conoscenza della comunita su se stessa, oltre 
ad esprimere ridentita del ballerino e I’energia di cui fa parte ." 

(SNYDER, 1979:213) 


Festa di Santa 
Barbara, 4 Die. 
1997, Salvador. 


Le danze, infatti sono la riattualizzazione degli episodi mitologici e quest! 
racconti sono la guida per le credenze religiose, per I’organizzazione socia- 
le e per molti aspetti della vita in una societa di tradizione orale. 

Tutti quest! aspetti sono trasmessi attraverso il simbolo principale della dan- 
za: il corpo della sacerdotessa-ballerina che e considerate un microcosmo, 
dove si incontrano tutte le energie della natura in un equilibrio unico, parti- 
colare per ogni individuo, in contatto continue con le energie del macroco- 
smo. La danza sacra contempla due aspetti: un lato esteriore e un lato inte- 
riore. II prime e trasmesso con i movimenti, i vestiti liturgici e gli oggetti 
sacri, il secondo e la trasformazione in qualcos’altro, diverse dall’identita 
quotidiana: il doppio spirituale. 


I simboli della danza vengono da alcune component! basiche: 

1) I’ambiente (intendendo il luogo geografico dove la comunita abita); 

2) / material!per la sopravvivenza (cibo, material! per le abitazioni, materiali 
per i vestiti, ecc.); 

3) il complesso mitico che e la base filosofica di quella societa. 

Cosi, per semplificare, si potrebbe fare la seguente equazione: 

/ simboli della danza (movimenti), vestiti liturgici, oggetti sacri = 

= ambiente, modello di sopravvivenza e complesso mitico. 



I movimenti della danza trasmettono una profonda simbologia appresa du¬ 
rante gli anni trascorsi nel terreiro e che costituiscono un codice simbolico 
compreso solo dagli iniziati. Ogni parte del corpo possiede un significato 
precise: le gambe sono in contatto continue con I’elemento terra, sede de¬ 
gli antepassati, attraverso i piedi che sono la base del corpo umano e sono 
guidati dall’or/xa Ogum, colui che apre i cammini; mentre la testa e in con¬ 
tatto con le energie dell’elemento aria ed e la sede 6e\\'orR, la nostra indivi- 


5 [Ion e un’altra 
divinity, e 
I’individualita e il 
destine 
personale di ogni 
individuo. 














112 


® II master-drum 
6 il tamburo piu 
importante che 
coordina gli altri. 


duality Per questo nella danza africana i piedi devono stare sempre in con- 
tatto con la terra da cui ricevono energia, differentemente dalla danza clas- 
sica che tende a staccarsi da questa, nel tentative di congiungersi al cielo, 
eliminando cosi la prossimita con la terra e simbolicamente, allontanandosi 
dal mondo presente. 

Studios! dell’arte e delle civilizzazioni africane, come Asante (1985:72) e 
Thompson (1974:30) riconoscono nel movimento I’aspetto piu importante 
e profondo dell’estetica di queste culture, sia nella danza che nella musica 
che in tutte le arti. 

II secondo aspetto esteriore sono gli abiti liturgici, i material! con i quali 
sono fatti ci raccontano quali sono le fonti di sussistenza (per esempio un 
vestito di conchiglie mostra che la comunita vive di pesca) e indica chi e la 
persona che abbiamo di fronte e qual’e la sua posizione nella gerarchia 
sociale (per esempio attraverso la posizione di alcune parti del vestito si 
intuisce se sono iniziate o no e da quanto tempo lo sono; se sono filhas o 
filhos di una divinita femminile o no, etc.) 

II terzo aspetto, quello degli oggetti simbolici, trasmette la storia degli orixa 
e dei suoi legami mitologici con le altre divinita e della sua funzione come 
energia del cosmo, per esempio Oia che possiede una spada, ci racconta 
del suo lato guerriero e del suo legame con Ogum, la divinita della guerra. 
L’aspetto interiore della danza e la trasformazione che avviene dentro il bal- 
lerino durante la trance. Questo fenomeno, di cui molto si e scritto, fonde 
in un’unica sintesi mente e corpo; forma e contenuto si uniscono in un’unica 
totalita difficilmente comprensibile in occidente, dove I’uomo e visto dico- 
tomicamente. La trance e un'esperienza difficilmente esprimibile con paro¬ 
le, poiche e un fenomeno interno, delicato e comprensibile solo attraverso 
immagini, simboli e sogni, ecco perche raramente le sacerdotesse o i sa- 
cerdoti ne parlano. Strettamente legata alia danza e la musica, come se il 
movimento fosse la forma, mentre la musica e I’essenza della divinitl Du¬ 
rante la ricerca di campo e risultato evidente che gli atabaques, i tamburi 
sacri, sono i custodi della tradizione orale. Gia Chernoff sottolineava che: 
"I musicisti sono frequentemente i guardiani della conoscenza esoterica... 
come I griots del Sudan occidentale che sono una casta ereditaria di musi¬ 
cisti, II cui dove re politico e quello dl preservare e recitare la grande tradi¬ 
zione storica”. 

(CHERNOFF, 1980:71) 

I sacerdoti-musicisti sono chiamati alabe e passano attraverso un rito di 
iniziazione, ma non vanno in trance, devono conoscere tutto il repertorio 
musicale sacro, sono i detentori della memoria storica della comunita, per 
questo i ritmi sono tramandati usualmente di padre in figlio. 

L’orchestra e composta da tre tamburi: il rum, che e il master-drum^ e quin- 
di il maggiore per dimension! e suona i fundamentos religiosi, e suonato 
con le mani. II rump! e il tamburo di mezzo e ilid e il piu piccolo. II rump! e 
il le eseguono la base ritmica e accompagnano il rum che 6 I’unico che si 
permette variazioni. Come suggerisce Verger: 

"/ tamburi godono di alto rispetto perchd non sono considerati semplici 
strumenti musical!, bensi la voce stessa degli dei. F per mezzo di essi che 
quest! vengono chiamati e che si inviano loro delle risposte 

(VFRGFR, 1981:157) 






\lagogd e uno strumento di metallo a forma di doppia campana, percosso 
da un’asta di metallo che origina un ritmo che si ripete uguale per tutta la 
durata del brano. 

Ogni atabaque possiede una frase-ritmica propria che unendosi alle altre, 
forma una poliritmia, propria della musica africana, dove ogni musicista 
esegue la propria frase in armonia con gli altri percussionisti. Ogni frase- 
ritmica muove una parte del corpo della filha-de-santo, come se il corpo 
fosse un’orchestra e ogni parte umana uno strumento. 

Gli alabes devono comunicare fra loro per eseguire in armonia e equilibrio il 
brano e per concluderlo all’unisono. La sacerdotessa-ballerina danza in sin- 
cronicita perfetta con la musica, perche il suo corpo e la forma della divi- 
nita che segue simbolicamente la sua voce. La musica conduce I’energia 
spirituale e I’organizza, mentre il corpo la esprime e con i suoi movimenti 
collega fra loro i luoghi sacri del barracao\ 

II pubblico-fedele accompagna il rito cantando e battendo le mani, introdu- 
cendo cosi un’altra frase ritmica nell’insieme musicale, in cui I’aspetto prin- 
cipale e la comunicazione del gruppo. In Africa non esiste la divisione fra 
maestro e esecutori, ogni strumento e ogni musicista hanno una funzione 
specifica all’interno dell’orchestra. 

Ogni elemento deve comunicare con I’altro, il master-drum con i musicisti 
e tutta I’orchestra con la sacerdotessa-ballerina e il pubblico. 

Le danze sacre 

E difficile descrivere con le sole parole la danza sacra, perch6 durante il 
rito la divinity! trasmette immagini profonde e poetiche cui solo la visione 
diretta o la poesia darebbero la giusta dimensione artistica. 

La storica Asante (1985) spiega i criteri estetici delle arti africane, applica- 
bill alia danza e alia musica. Primo fra tutti la poliritmia, ogni parte del cor¬ 
po si muove con un ritmo diverso, i piedi seguono la base musicale, mentre 
le spalle e le braccia seguono le variazioni; il corpo 6 diviso in piu parti che 
si armonizzano in un’unica sinfonia. 


Orchestra degli 
Atabaques nel 
Terreiro di Mae 
Beata di 
Logunede. 



113 


^ E lo spazio 
sacro pubblico, 
dove sono posti 
alcuni elementi 
sacri fondamen- 
tali per la forza 
e I'equilibrio 
della comunit^. 

Quest! sono il 
centro, la porta 
di entrata, lo 
spazio del 
musicisti e 
quello dove 
siede la M^e-de- 
santo. Le filhas- 
de-santo 
danzando 
uniscono quest! 
punti per 
collegare le 
energie. 






® Significa che si 
suonera un 
candomble e 
rende evidente 
I’importanza 
della musica per 
la religione. 

® La parola toque 
significa ritmo. 



114 


Coreutico 
viene dal greco 
coreuo = 
danzare in 
circolo e dalla 
parola texne = 
I'arte di, quindi e 
I’arte di danzare 
in cerchio ed 
indica I’impor- 
tanza della 
musica e della 
danza in questo 
tipo di rituali. 

'' Oid-lansa e la 
divinity del vento 
e della tempesta, 
sposa preferita 
di Xangd, 
conosciuta per i 
suoi amori, la 
sua irruenza e 
trasgressione. II 
4 di dicembre 6 
organizzata una 
grande festa in 
suo onore. 


Un’altra caratteristica fondamentale e il policentrismo che indica I’esisten- 
za net corpo e nella musica di piu centri energetici, cosi come avviene nel- 
I’universo. 

La forma curvilinea che si incontra in varie danze del mondo e un altro 
aspetto e nasconde un chiaro significato esoterico. Le danze sacre infatti, 
hanno spesso un andamento circolare, antiorario che si ritrova anche nella 
posizione del corpo delle orixa femminili, dove si distacca una forma roton- 
da che rimanda, come dicono varie leggende, al cerchio, simbolo antichis- 
simo del tempo e dello spazio del mito e della fissita della Grande Madre. 

La dimensionalita indica che la danza trasmette a tutti i sensi e non solo a 
quello visivo, cosi come la musica non colpisce solo quello uditivo. II movi- 
mento deve esprimere, vivendolo, il sentimento, I’emozione dell’energia che 
sta danzando attraverso tutti i sensi. Infine la coreografia e la frase musica- 
le ripetuta all’infinito da all’azione un carattere atemporale e ci dice della 
continuita della vita. La ripetizione non e qualcosa di meccanico, ma “crea” 
ogni volta, Oia-lansa non ripete il movimento della guerra freddamente, ma 
con sentimento, con presenza, ogni volta e una nuova guerra, e qualcosa 
che prima non esisteva e che nel futuro non esistera. Per semplificare e lo 
stesso messaggio del mandala, dove i sacerdoti costruiscono un meravi- 
glioso disegno che il vento distruggera, e il momento che bisogna vivere 
seguendo il proprio ritmo-divino interiore. 

II rito pubblico del candomble 

A Bahia, quando si organizza una cerimonia religiosa del candomble, si 
dice che "questa sera vai a tocar urn candomble ou vai baler urn candom- 
ble^”, mostrando cosi chiaramente il potere simbolico-religioso della musi¬ 
ca. La musica infatti e uno degli elementi costitutivi del rito e da forma, 
insieme alia danza, a contenuti inesprimibili con le parole a causa della loro 
complessita e multivocalita. 

Le divinita comunicano attraverso la musica che esprime il carattere del- 
Yorixa e attraverso la danza che trasmette gli avvenimenti della sua vita. 
Cosi, per esempio Oxala, Lemanja, Nana possiedono un ritmo calmo e tran- 
quillo, mentre Ola e Xango che hanno una profonda relazione nelle storie 
mitologiche, esprimono nelle loro musiche piu attivita, piu impazienza, at¬ 
traverso una poliritmia aggressiva e un tempo rapido. 

II toque^ tipico di Oia-lansa, per esempio e \llu, chiamato anche “quebra- 
pratos" (rompi-piatti) ed esprime tutta la carica energetica e vitale della 
divinita. E una musica che esplode nello spazio, lo riempie cosi come I’ener- 
gia che esprime: I’aria in movimento con tutte le sue caratteristiche di in- 
stabilita, disequilibrio, furia maestosa, ma anche di pulizia e di leggerezza. 
Cosi come esiste un ritmo musicale e cantigas appropriate per ogni mo¬ 
mento del rituale, esistono anche danze diversificate. 

Per meglio comprendere il ruolo della musica e della danza nel rituale co- 
reutico-musicale^o (Carpitella, 1994) del candombld, sar^ descritta breve- 
mente una cerimonia organizzata in onore di 0/a-/ar?sa” nel terreiro //6 Axd 
Op6 Afonjd il 23 ottobre 1995. 

Gli atabaques, i tamburi sacri, cominciano a suonare, chiamando la comu- 
nita a partecipare alia festa. 






II prime toque e un ritmo rapido e continue con il quale si forma la ruota 
sacra’2 che si apre con la Mae-de-santo^^ seguita in ordine gerarchico dalle 
equede^\ dalle eb6mr\ dalle /ad^® e per ultime le abia^^ che chiudono la 
ruota. 

Questa prima parte del rito e \oxire ed ha la funzione di chiamare le divinita 
in mezzo agli uomini e di invitarle a partecipare alia festa^® religiosa. Si 
canta e si danza per ogni orixa tre volte, iniziando con Ogum, il dio guerrie- 
ro e si conclude con Oxala, il padre di tutti i mortali e di tutti gli dei, passan- 
do per tutte le divinita^®. Ognuna di loro possiede il proprio ritmo, per esem- 
pio Oxossi, dio della caccia e della foresta, danza I'aguere’, mentre lemanja, 
signora compassata e maestosa il cadenzato bravum: \'ijexa, piu tranquillo, 
e di Oxum. Ogni ritmo e accompagnato da una danza specifica eseguita in 
uno state normale di coscienza con movimenti di piccola dimensione. Que¬ 
sta parte potrebbe essere paragonata ad una cosmovisione, dove tutte le 
energie del cosmo sono invitate a partecipare alia testa. 

Esiste uno schema fisso nel rituale, ma la quantita delle danze e dei canti 
pud variare dipendendo dall’orixa dono da festa^^e da altri complicati fattori 
come il legame fra il dono-da-cabega^^ della Mae-de-santo e yorixa per cui 
e stata organizzata la cerimonia o la presenza di persone famose di altri 
terreiros^^, etc. 

Tutte le danze e i canti sono eseguiti solo dalle sacerdotesse e dai sacerdoti 
della comunita che possono entrare in trance e dalle equede, ma la parteci- 
pazione del pubblico e molto sentita e dietro all’orchestra formata dagli ala- 
be, un gruppo di bambini della comunita accompagna il rito cantando e 
danzando con grande precisione. 

A questo punto si suona un toque particolare chiamato adarrum che invita 
la divinita a scendere nei propri “cavalli” e che a volte e seguito da cantigas 
special!. Avvengono cosi le prime incorporazioni, facilmente visibili, le sa¬ 
cerdotesse perdono I’equilibrio, escono dalla ruota, si passano una mano 
sul volto ed alcune cominciano a ruotare su se stesse fino ad assumere un 
nuovo atteggiamento corporale e una nuova espressione del viso. Per esem- 
pio le filhas di Oia-lansa, la divinita del vento e della tempesta, assumono 
quasi un’aria di altezzosita. Poggiano le mani sui fianchi e camminano per 

10 spazio sacro come se prendessero possesso del luogo. Ben diverse e 
I’atteggiamento delle filhas di Oxum che, civettuole come la dea, si richiu- 
dono sul proprio corpo seducendo tutti i present!, con piccoli movimenti 
delle braccia. Dope le incorporazioni gli orixa emettono un suono, chiama¬ 
to Ha 0 ke, che le identifichera per tutta la vita. In questa prima parte \'adar- 
rum ha la funzione di aprire il canale energetico che lega \'orum all’a/ye. 

11 pubblico e gli atabaques salutano gli dei, mentre gli orixa esprimono at- 
traverso una serie di gesti padronizzati la felicita di essere in mezzo ai fede- 
li. Dope una serie di danze di “saluto” chiamate primeira de dar rum, le 
divinity sono portate via per essere vestite con gli abiti liturgici e con gli 
oggetti simbolici come per esempio Yabebe (una specie di ventaglio-spec- 
chio) di Lemanj^i o la spada di Oi^-lansa o I’arco di Oxossi. Mentre si aspetta 
che gli orixa siano paramentati, viene offerto al pubblico un vero e proprio 
banchetto sacro”. 

Nella seconda parte della cerimonia, gli orixa ritornano nel barracao, entra- 
no in fila seguendo I’ordine gerarchico, le persone iniziate da piu tempo 


’2 La maggior 
parte dei fedeli 
che riceve la 
divinita sono di 
sesso femminile 
nei candomble 
tradizionali. 

La Mae-de- 
santo 0 il Pae- 
de-santo sono i 
leader della 
comunita 
religiosa 

Sacerdotesse 
che non cadono 
in trance, ma 
passano 
attraverso un 
rito di reclusione 
e aiutano coloro 



115 


che ricevono la 
divinita. 

Sacerdotesse 
iniziate da piu di 
sette anni. 

Sacerdotesse 

recentemente 

iniziate. 

Coloro che pur 
non essendo 
state iniziate 
definitivamente, 
sono gi^ state 
sottoposte ad un 
rito di pre- 
iniziazione. 

Si chiama cosi 
per evidenziarne 
I’aspetto gioioso. 

’* Exu, la divinity 
che porta agli 
dei le richieste 
dei mortali, viene 
omaggiata con 
un altro rito non 
pubblico, 
chiamato Pad6 




La divinita per 
cui e stata 
organizzata la 
cerimonia. 

L’orixa 

principale della 
persona. 

Uno del divers! 
nomi per 
chiamare una 
comunita di 
candomble. 

22 La cucina del 
candomble e 
famosa. Ogni 
divinita possiede 
un piatto tipico 
che le viene 
offerto in cambio 



116 


della sua 
protezione e che 
viene consumato 
anche dai 
present!. 

2'' Sacerdotesse 
0 sacerdoti piu 
vecchi che 
conoscono il 
repertorio delle 
canzoni sacre. 

25 Andare in 
trance. 


Terreiro di 
Candombid di 
Mae Beata di 
Logunede. 

Ogum della Mae 
de santo. 


sono davanti, seguite da quelle con minor tempo di iniziazione, mentre la 
iatebexe o il babatebexe^"^ intonano dei canti specific! per salutarli e i fedeli 
oftrono fiori alle divinitl Da questo momento ogni orixa danza le proprie 
coreografie che insieme agli abiti sacri e agli oggetti simbolici raccontano 
le loro vite e le loro caratteristiche. Per esempio Oia-lansa ha sul suo abito 
due coma di bufalo che testimoniano il fatto che lei e una donna-bufalo e 
che e della famiglia di Oxossi, il grande dio della foresta legato al mondo 
animale o, altro simbolo, la corona di Oxum che ci dice che e una regina. 
Se un'orixa danza particolarmente bene gli saranno dedicate piu cantigas 
in modo da lasciarlo in mezzo ai fedeli piu tempo. 

A volte le canzoni sacre suscitano aspetti cosi emozionanti che persino le 
figlie di altri orixa possono cair no santo^^. Di solito sono orixa che hanno 
relazioni specifiche tra di loro, per esempio sono mariti o figli della divinita 
omaggiata. In questa parte della cerimonia I’energia e chiamata a manife- 
starsi in tutte le sue forme possibili e insieme con le altre forze della natura. 
Cos] quando 0/a, divinita del vento, danza con Xango, divinita del lampo, la 
loro coreografia e la manifestazione del movimento dell’aria che genera il 
fuoco. Gli orixa ridistribuiscono I’energia vitale, I’axe, e collegano il mondo 
sacro con il quotidiano. Dopo le danze sacre gli orixa sono portati via con 
una coreografia di saluto, di solito uguale per tutti. Le divinita salutano il 
pubblico, la Mae-de-santo e gli atabaques, ristabilendo I’ordine iniziale. Le 
forze della natura, chiamate a concentrarsi nello spazio sacro, sono nuova- 
mente disperse e ripartite nei loro locus originari. 



I 







La danza del vento 


Per rendere piu facile la comprensione del ruolo della musica e della danza, 
descriveremo la coreografia di transe dell’or/xa Oia-lansa che per semplifi- 
care pud essere divisa in; danza della guerra, del vento, dell’allontanamen- 
to dei morti, della seduzione. 

Oia-lansa, signora del vento e delle tempeste, originaria 6\Jeclda, in territo- 
rio Nupe, secondo alcuni miti simbolizza la trasgressione e la vita avventu- 
rosa. Non si sa come sia avvenuta la sua nascita, forse tramite un incante- 
simo di Oxum, forse fu abbandonata e trovata da Oxossi in un mercato. E 
famosa a Bahia per i suoi amori e per la sua liberta, possiede le caratteristi- 
che della femminista, a meta fra Artemides e Atena. E una donna-bufalo, 
quando si arrabbia si trasforma in questo animale e travolge tutto quanto si 
trova davanti, ma e anche la sposa fedele di Xango con cui affronta mille 
battaglie. E anche colei che ha il compito di accompagnare con il vento gli 
spiriti dei morti neW'orum e li aiuta in questo difficile passaggio. 

Le danze della prima parte del rito sono le stesse che vengono eseguite 
durante la trance. Nelle danze di possessione cambia la “qualita” del movi- 
mento, il corpo assume una fluidita difficilmente raggiungibile in uno stato 
normale di coscienza. 

II ritmo caratteristico di 0/a e Vilu che esprime la personalita vitale e com- 
plessa della divinita. Quando gli atabaques cominciano a suonarlo, il pub- 
blico si alza in piedi e grida EeparreH, il saluto della dea e comincia a batte- 
re le mani. AH’inizio le divinita danzano con il corpo curvo verso il pavimen- 
to e con le mani davanti al busto simbolizzando due spade, portandole una 
avanti e I’altra dietro come in una minacciosa marcia guerriera. 

Un’altra coreografia ci racconta del vento. II corpo si sposta seguendo le 
lateral! verso sinistra e verso destra. Anche le braccia piegate davanti al 
busto, con le mani verso I’alto, sono portate a destra o a sinistra seguendo 
i movimenti dei piedi. Le braccia si alzano oltre la testa e pud accadere che 
le Oia sollevino anche la gonna ad indicare che il vento si propaga da tutto 
il corpo. In questa coreografia le dita dei piedi non toccano quasi terra, ma 
rimangono sollevate indicando una forte tensione. 

Dopo una rapida fermata dove le divinita-vento camminano nel barracao e 
prendono possesso dello spazio, ricominciano le danze questa volta con gli 
oggetti sacri. Eccole quindi con yeruexim^^ mentre si accingono “a pulire” 
lo spazio dagli spiriti dei morti, gli Egurn^^ Con le braccia alte sopra la 
testa, roteando lo scaccia-'mosche sacro, si dirigono danzando sulle late¬ 
ral!, purificando anche il pubblico. 

Se per caso un figlio di Ogum e andato in trance, ecco che le due divinita si 
accingono a lottare, ricordando il tradimento di Oia, che lo abbandono per 
Xango. Pud anche accadere che la dea decida di incantarlo o di conquistare 
qualche altra divinita, in questo caso le danze saranno di seduzione di fron- 
te aW'orixd che la divinitd ha scelto, ondulando i fianchi. Durante il rito \'orixa 
esce dall’entrata principale del barracao. Solo Oi^ con Omolu e Ogum pos- 
sono farlo, perchd sono orixa de rua, divinita di strada^®. In questo modo 
saluta gli spiriti ancestral! e Exu, che oltre ad essere il dio messaggero, 6 
anche il guardiano delle entrate^. 

La musica e la danza sacra ri-creano il tempo e lo spazio del mito, quando 
esisteva I’antica armonia fra gli uomini e gli dei. 


^ Uno scaccia 
mosche, simbolo 
di regalita in 
Africa. 

Gli Egum 
sono spiriti 
ancestrali. II loro 
culto segreto si 
incontra solo 
nell’isola di 
Itaparica, di 
fronte a 
Salvador. 

Ogni divinita 
possiede 
significati 
simbolici 
profondi e 
particolari. 



117 

^ II suo luogo 
sacro (una 
specie di altare) 
e quello degli 
antenati sono di 
fronte all’entrata 
del barracao. 


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II simbolismo della danza di Oia-lansa 


- un movimento circolare 
all’inizio per delimitare uno 
spazio “magico”. Questo 
circolo e fatto anche con i 
movimenti delle braccia 
Che ruotano con tutto il 
corpo e esprimono I’aria 
Che in movimento diventa 
vento e sempre piu rapida 
tromba d’aria e tempesta; 

- un movimento con linee 
spezzate che cambia con- 
tinuamente percorso e sim- 
bolizza ledirezionidell’aria. 
Come mi ha detto mafUha- 
de-santo: “Laria e in tutti i 
iuoghi, sopra, sotto, dilato, 
dappertutto". Per questo 
0/a incontra sempre nuovi 
cammini, possedendo lo 
spazio che occupa aggres- 
sivamente; 



II significato profondo delle danze, cosi come quello del rituale in genere, 
non pud essere completamente reso esplicito, perche esistono vari signifi- 
cati esoterici percepibili solo dagli iniziati. Inoltre la possibilita di danzare 
in totale collegamento con la propria “energia-ritmo” e possibile solo a po- 
chi eletti che si sottomettono a lunghi rituali e a un percorso religioso e di 
autoconoscenza incomprensibile alia mentalita e ai tempi delle grand! citta 
industrializzate. 

Come gia aveva sottolineato Turner (1967), i simboli in generale e quindi 
anche quelli della danza possono “condensare” piu significati contempora- 
neamente, sia corporei analogic!, sia specific! dei gruppi social!. Per que¬ 
sto le danze sacre si prestano ad una molteplicita di significati. II corpo e lo 
spirito, il contenuto e la forma si uniscono in un’unica sintesi trascendenta- 
le. La forma diventa il contenuto e il mito vivente, perche sono i sentiment! 
che modellano il corpo e lo rendono piu o meno fluido. Quest’ultimo si 
trasforma in un oggetto, in un animale che materializza I’energia della divi- 
nita che e venuta fra gli uomini. Oia-lansa diventa cosi vento, bufalo, spa- 
da, in una corrente infinita di mutazioni che la vedono signora del passag- 
gio piu importante, dal- 
I’a/ye aW'orum, dalla terra al 
cielo. 

Dalle danze di 0/a si pos¬ 
sono riassumere i seguen- 
ti aspetti general!: 





- un movimento nervoso, con impulsi rapidi e repentini che descrive I’elet- 
tricita e I’impazienza della sua energia; 

- un movimento fluido e leggero che esprime la leggerezza e la dolcezza 
dell’or/xa quando porta gli spiriti del morti dall’a/ye diW'orum. 

Anche i livelli che il corpo occupa nello spazio, dal basso all’alto, sono 
simbolici e ci trasmettono del messaggi. Oia-lansa utilizza il livello medio- 
alto perche e aria ed e legata agli organi alti del corpo, la gola soprattutto, 
mentre lemanja utilizza il livello medio-basso perche rappresenta la profon- 
dita dell’acqua del mare ed e la signora della riproduzione, legata quindi 
agli organi sessuali interni. 

Analizzando i livelli spaziali si pub ricostruire la storia mitologica della dea: 

- quando e curvata verso terra, e la guerriera che si prepara a lottare o e la 
donna-bufalo. Le danze raccontano della sua vita affettiva con Ogum da cui 
ricevette due spade e con Oxossi che la incontrb, secondo alcune leggen- 
de, come bufalo nella foresta; 

- quando si muove a livello medio-alto, rappresenta il suo legame conXar?- 
gd, con cui condivide il potere sull’elemento magico per eccellenza: il fuoco; 

- quando danza con il corpo diretto verso I’alto, rappresenta I’aria incon- 
trollabile e in movimento ed il suo legame con gli Egum, gli spiriti dei morti. 
L’uso dello spazio per 0/a e dinamico, diversamente da quello statico di 
lemanja che si muove come se costruisse dei circoli concentrici sempre 
maggiori. Questi contrasti sono originati dalle differenze cultural! dei popoli 
che veneravano le due divinita. Secondo Leroi-Gourhan: 

“/.a mitologia dei cacciatori si organizza intorno ad uno spazio itinerante, 
come la traiettoria degli astri o degii eroi, mentre la mitologia degli agricol- 
tori-sedentari si organizza intorno ad uno spazio radiante, come il Paradise 
posto sopra una montagna con I’albero della conoscenza al centre e quat- 
tro fiumi che vanno fino ai confini del mondo". 

Le danze, la musica, gli abiti sacri ce la descrivono quindi come una guer¬ 
riera, azione pura che costruisce il proprio destine cambiando continua- 
mente direzione. I simboli sacri: lo scaccia-mosche e le due coma di bue 
cucite suH’abito ci dicono delle sue origin! antiche e agrarie. I suoi colon: 
rosso e rosa ci raccontano della sua gioventu e del sangue mestruale, mentre 
il bianco del suo legame con gli Egum e con la morte vista come un pas- 
saggio. 







'min- 


ROKOj BABA ICi 

^ AFIRMA QUE E TEMPO DE PROTKCP E 

KmP Is iRVOPES SA6PAMS 

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Conclusioni 

La musica e il filo che lega tutte le varie componenti del rito, dal chiamare 
gli del in mezzo ai mortal! al preparare I’atmosfera per la trance delle filhas- 
de-santo, all’esprimere le caratteristiche sensual! delle dlvinlta, al conclu- 
dere !l rito e rlportare un nuovo ordine e equ!l!br!o. La musica inoltre colle- 
ga tutt!! component! della comunita fra loro e quest! con !l mondo spiritua- 
le, mentre la danza esprlme questo legame e trasmette I’energla divina. 

Per capire !l significato semantico della musica e della danza bisogna rlfars! 
al contesto ollstico e simbollco dove ogn! elemento ha significato solo se 
inserito nel “tutto”, ed e funzionale ad un altro. 

La musica e la danza esprimono il lato sensuale e piu profondo delle divini- 
ta. Le parole delle cantigas sono document! che raccontano la storia del- 
I’etnia, le guerre, I fatti social! Important!, per questo tutte le espresslon! 
artlstiche vanno lette In unlone una con I’altra. 

La musica e la danza potrebbero essere nel candomble la propria definizio- 
ne di comunicazione, comunicazione che non e solo fra due persone, ma 
con tutti gli esseri e con tutte le energie dell’universo. 

La comunicazione potrebbe essere proposta come la definizione per anto- 
nomasia della filosofia dell’esistenza africana e quindi del candomble che 
tende aH’armonia di tutti gli esseri con la natura attraverso un eterno e con- 
tinuo “call and response” che college il tutto mediante una vibrazione sono- 
ra che e energia di vita e ritmo-identita. 

E il ritmo che comunica con i fedeli e le filhas-do-santo e gli orixa nel can¬ 
domble. Nella prime parte del rito, nello xire, la musica e la danza possono 
essere interpretate come un linguaggio che trasmette la richiesta dei mor¬ 
tal! alle divinita affinche partecipino alia testa. 

Nella seconda parte del rituale, durante le danze di possessione, la musica 
e la danza, sintesi di forma e contenuto, esprimono il divino, la musica 
sarebbe il respiro della divinita mentre la danza la sua forma visibile. In 
questa parte il contenuto profondo trasmesso,^ “il non-detto” e compreso 
solo dagli iniziati o dalle persone “sensibili”. E “un non detto” perche le 
immagini, i ritmi, i canti comunicano sentiment! tanto profondi e emozio- 
nanti che non sarebbe possibile trasmetterli con le parole. Per questo i 
messaggi che la musica, la danza e le arti tutte trasmettono sono a un livel- 
lo molto piu profondo di quello comprensibile ai non-iniziati. In questo le¬ 
game semantico, ogni aspetto artistico: musica, canto, danza, disegni, let- 
teratura, pubblico ricevono uno dall’altro, ogni espressione artistica da senso 
all’altra. 

La musica e I’arte in generale trasmettono simboli che si riferiscono sia al 
lato cognitivo, sia al lato affettivo. Essendo la musica e la danza conside¬ 
rate come un linguaggio non-verbale, il loro uso nel rituale suscita metafo- 
ricamente immagini e sentiment! profondi ed e questo che da loro potere. 
La musica ci parla del mondo interiore e della sua possibilita di trasforma- 
zione, mentre la danza mostra questa possibilita di trasformazione. 

La musica e la danza inoltre, nella mia interpretazione, preparano I’atmo- 
sfera culturale e energetica che permettera la trance, fenomeno che non 
avviene per caso, ma che prevede una lunga preparazione e una sensibility 
particolare. Come gia Rouget aveva suggerito: 

"La trance e uno stadio alterato transitorio di coscienza secondo un mo- 





dello culturale”. (Rouget, 1985:56). Infatti, anche se la musica e sempre 
associata alia trance, questa tuttavvia non e necessaria alia discesa della 
divinita, come si e potato osservare durante la ricerca di campo, ma nel rito 
pubblico ha la funzione di “pulire” il campo energetico, di permettere la 
concentrazione affinche questa avvenga, di organizzarla e dirigerla. 

Molte cose sono state scritte sulla possessione, spesso in una prospettiva 
decisamente etnocentrica perche e un fenomeno lontano dal contesto cul- 
turale delle grand! citta industrializzate europee o torse perche suscita pau- 
ra e sgomento non essendo I’uomo moderno, strano ma vero, piu abituato 
a confrontarsi con le emozioni interne che possono causare perdita di con- 
trollo e stati alterati di coscienza. II fenomeno della trance nel candomble o 
In altre religion! (ricordiamo il fenomeno del tarantismo in Puglia) non e 
stato ancora spiegato perche e un’esperienza tanto profonda e personale 
che solo coloro che la sperimentano possono parlarne o forse perche e 
uno dei tanti misteri del mondo di cui Don Juan parlava con Castaneda, 
misteri che forse non possono e non devono essere spiegati razionalmen- 
te, ma solo attraverso le emozioni e i sentiment!. 

A questo proposito e interessante notare 
che una delle molte parole ioruba per dire 
arte e ogbon, saggezza, mostrando cosi 
che chi produce arte e un saggio che 
ascolta e segue i messaggi della natura e 
degli spirit!, senza tarsi molte domande. II 
sacerdote-musicista o la sacerdotessa- 
ballerina comprendono e trasmettono i 
messaggi della natura e li ri-creano sim- 
bolicamente nell’arte e nel rito. 






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Festa di Santa 
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1996, Salvador. 








LA DANZA 
DELLA TARANTA 


“Coloro Che son morsi dalla tarantola, poche ore di poi, con voce inarticolata 
si lamentano, e se li circostanti domandano loro che cosa I’affligge, molti 
risposta non danno; ma solamente con gli occhi torvi li riguardano; ed altri 
fanno cenno con la mano sul cuore. Per la qual cosa, gli abitatori di que’ 
paesi come persone prattiche, subito vengono in cognizione del malore che 
li tormenta; onde senza perder tempo tantosto chiamano sonatori con vari 
istrumenti, poiche altri balla al suon di chitarra, altri di cetera ed altri al 
suon di violino. Sul principle del suono, plan piano cominciano a ballare; 
chiedono spade, e come che siano inetti di scherma, se ne dimostrano con 
tutto cid nel maneggiarli maestri. 

Chiedono altresi anche speech! e mentre vi si mirano, gettano sospiri acu- 
tissimi e innumerabilissimi. Vogliono bindelle, cateniglie, vest! preziose, e 
quando son loro portate, le ricevono con allegrezza inesplicabile, e con 
molta riverenza ringraziano chi loro le reca. 

T utte le cose sopraddette dispongono con bell’ordinanza intorno alio stec- 
cato, dove ballano servendosi da tempo a tempo or dell’una or dell’altra 
secondo gli impulsi che glie ne da il malore. Danno principio al ballo un’ora 
dopo I’apparir del sole, terminando un’ora prima di mezzogiorno, senza 
prender mai riposo fuorchd se I’istrumento si scordasse; ed allora respira- 




























no con impazienza per insino a tanto che si ripone in accordo, notandosi 
con meraviglia come gente si rozza ed incolta, come sono i cultori della 
terra, custodi d’armenti e simili altri uomini camparecci, siano cos) buoni 
conoscitori di consonanze e dissonanze de gl’instrumenti musical!, e che 
tanto di quelle si inquietino, quanto di quelle si appagano. Un’ora dopo 
mezzodi entrano di bel nuovo in danza, continuando sino al tramontar del 
sole, come fanno col medesimo ordine senza stancarsi, come io ne ho molti 
veduti, ne mai piu di tre giorni aver patito travaglio, se al male loro si fosse 
dato piu tardo rimedio col suono, cid che altri ne dica di otto e di dieci 
giorni, che col ballo abbiano avuto necessita di seguitarlo. Nel mentre che 
danzano sono fuori dei sensi, e non distinguono parents, ne amico, ma li 
son tutti uguali: ben’e vero che alle volte invitano qualche leggiadro 
giovanetto al ballo. Gli arredi, dei quali si servono, sogliono per Io piu esse- 
re di colore vago, come incarnato, rosso, ceruleo, e simili; e quando vedo- 
no il nero, s’adirano in modo che colla spada corrono discacciando chi 
n’e vestito. Ad uno solo, che io sappia, tra molti non dispiaceva il drappo 
nero: e questo tale che non saltava con tanto vigors quanto gli altri, ma piu 
agiatamente.” 


Rev. Domenico Sangenito, Lettere memorabili istoriche 

politiche ed erudite. Napoii, 1693. 



123 


A sinistra: 
Napoli, ritorno 
dalla Madonna 
dell’Arco (1834). 
particolare. 

A fianco 
danzatori di 
tarantella in 
un’immagine del 
secolo scorso. 




















etnobotan/c^, chimica e 
fsLrmsLCOIogiSL delTEpensL: 

un 'introduzione 


a cura di 

Gilberto 

Camilla 


Narra un mito degli Indian! Tukano di come all’inizio del tempo il Sole com- 
mise incesto con la figlia, e di come questa scopri il viho tagliando il pene 
del padre. Ancora oggi I Tukano considerano sacra la polvere da fiuto otte- 
nuta dallo “sperma del Sole”, e la conservano in appositi astucci chiamati 
Muhipu-nuri, “pene del Sole”. 

Questo potente allucinogeno permette a coloro che lo inalano di entrare in 
contatto con gli spirit! della natura, in particolare con Viho-Mahse, “spirito- 
della-polvere-da-fiuto”, che, dalla sua dimora nella Via Lattea, presiede alle 
vicende umane. Gli stessi sciamani non possono comunicare con nessuna 
forza soprannaturale senza I’intermediazione di Viho Mahse. A dispetto del- 
le polveri da fiuto allucinogene, la cui antichita e confermata dall’archeolo- 
gia (TORRES, 1996), la letteratura etnobotanica, soprattutto nel passato, 
presenta lacune spesso grossolane: la fonte dello “sperma del sole” nel 
genere arboreo Virola e stata identificata con sicurezza soltanto a meta de¬ 
gli anni ’50 (SCHULTES, 1954), e spesso si sono confusi i dati relativi a 
questo albero della foresta tropicale con quelli relativi ad altre polveri da 
fiuto, focalizzando I’attenzione soprattutto sulla Nicotiana e sulla 
Anandenanthera. Oggi si e concord! nel ritenere che il genere Virola e la 
fonte principale delle polveri da fiuto allucinogene, e che I’uso della 
Anandenanthera e molto meno diffuse di quanto un tempo si riteneva. 
L’uso delle polveri da fiuto ottenute dalla Virola comprende le tribu della 
regione colombiana di Vaup6s, dell’alto Orinoco, e diffuse in Venezuela e 
nel territorio brasiliano a nord del Rio Negro (SCHULTES & HOLMSTEDT, 
1968; SCHULTES & HOFMANN, 1983). L’allucinogeno e conosciuto sotto 
diversi nomi indigeni, a seconda dell’etnia: abbiamo cosi il termine di ya- 
kee, ya-to e parik^ in Colombia, ep^na, ebene o nyakwana in Brasile, e via 
di questo passo. Non bisogna comunque dimenticare che tutti quest! termi¬ 
ni indigeni non sembrano possedere un valore botanico specifico (DE SMET; 
1985): ad esempio parik^ sembra riferirsi sia alia Virola che alia 
Anandenanthera, ep6na 6 un nome generico per tutte le polveri da fiuto, 
indipendentemente dalla loro fonte botanica (CHAGNON et al. 1971). 



A sinistra uno 
yanomami 
mentre assume 
la polvere 
ottenuta dallo 
“sperma 
del sole". 
Questa e tutte 
le altre toto 
dell'articolo sono 
tratte da: 
RE G&F, 1990 
Amazzoma: 

gli ultimi 
Yanomami, 
GIORGIO e 
FABRIZIO RE, 
Torino. Point 
Coleur. 


Un giovane 
yanomami soffia 
I’allucinogeno a 
un esperto page 
(sciamano). 


Botanica, chimica e farmacologia della Virola 

II genere Virola comprende fino a 60 specie di alberi tipici della foresta 
tropicale del centre e sud America, particolarmente abbondanti nelle valli 
amazzoniche (SCHULTES & HOFMANN,1983). Almeno sei di queste specie 
sono (o sono state) utilizzate per procurare la polvere da fiuto: Virola theidora, 
V cuspidata, V calophyla, V calophylloides, V elongata, V peruviana. Si 
tratta per lo piu di alberi snelli, alti da 8 a 25 metri, col tronco cilindrico del 
diametro fino a 50 cm. 

La chimica della specie Virola e statastudiata nel corso degli ultimi trent’anni 
(AGURELL et al. 1969; HOLMSTEDT et al. 1980; MC KENNA D. et al. 1984). 
Tutti gli studi hanno evidenziato la presenza dei seguenti alcaloidi triptaminici: 
Triptamina (T), N-monometiltriptamina (MMT), 5-metossi-N-mono- 
metiltriptamina (5-MeO-MMT), N,N-dimetiltriptamina (DMT) e 5-metossi- 
dimetiltriptamina (5-MeO-DMT). Anche se gli Indiani di solito utilizzano solo 
la corteccia dell’albero, e soprattutto la sua linfa, tutte queste triptamine 
sono state rinvenute anche nelle foglie, nei fiori e nelle radici. 

Altri component! minor! isolati dalla pianta appartengono alle R-carboline: 
2-metil-1,2,3,4-tetraidrobeta-carbolina (MTHC), 6-metossi-2-metil-1,2,3,4- 
tetraidrobeta-carboiina (6-MeO-MTHC)e 6-metossi-1,2-dimetil-1,2,3,4- 
tetraidrobeta-carbolina (6-MeO-MTHC). I dati farmacologici relativi al DMT 
e al 5-MeO-DMT, i principal! alcaloidi present! nelle specie di Virola alluci- 
nogene, sono stati riassunti da Peter de Smet (DE SMET, 1983). 




La pronunciata attivita allLicinogena non sembra avere a che fare con la 
triptamina, la MMT e la 5-MeO-MMT. 

Gli effetti delle polveri da fiuto triptaminiche variano, come qiielli di qualsi- 
asi altro allucinogeno, in base alle aspettative soggettive e al contesto cul- 
turale, ma fra gli Indiani sono caratterizzati da una iniziale marcata eccitabilita 
che compare pochi minuti dopo la prima “sniffata”. Seguono poi intorpidi- 
mento degli arti, forte contrazione dei muscoli facciali che trasforma i volti 
degli Indiani in maschere a volte grottesche, a volte di intense dolore; inca- 
pacita di coordinamento motorio, nausea, vomito, allucinazioni visive (con 
frequenti fenomeni di macropsia), ed infine un sonno profondo e agitato. 
Gli stessi indiani riferiscono che 6 molto pericoloso abusare dello “sperma 
del Sole": un informatore di Schultes racconto che uno sciamano della tri- 
bu colombiana dei Puinave mori nel corso di una cerimonia con lo ya-kee 
fSCHULTES, 1954). 

Gii Indiani Waik^ (nome generico per indicare varie tribu. fra cui gli Yanomani) 


Gli iniziati a pag6 
alle prima armi 
cominciano 
annusando 
I’epena e 
prendendone un 
pizzico fra le 
dita 




in genere inalano due dosi (circa due cucchiaini da caffe), una per narice, 
Che provoca loro un’ebbrezza di circa un’ora o poco piu. Nel corso di una 
delle sue numerose spedizioni in Amazzonia, Schultes prese personalmen- 
te lo ya-kee, un terzo di cucchiaino in due inalazioni: 

"La dose fu inalata alle cinque del pomeriggio. Nel giro di quindici mlnuti 
avvertii una vaga sensazione sopra gli occhi, seguita molto presto da un 
forte prurito alle dita delle man! e del piedl. La vaga sensazione alia fronte 
si trasformd In una forte e costante emicrania. Dopo mezz’ora avevo I pled! 
e le man! Intorpidite e scomparve la sensibilita alle dita; era possibile cam- 
minare con difficolta, come nel beri-beri. Ebbi nausea fino alle otto di sera 
con stanchezza ed ansia. Poco dopo le otto mi stesi suH’amaca, sopraffat- 
to da una sonnolenza che, tuttavla, era accompagnata da una eccitazione 
muscolare ad eccezione delle man! e del piedl. Verso le nove e mezzo spro- 
fondai in un sonno Irregolare che continub con frequent! risvegli fino at 
mattino. La forte emicrania durd fino a mezzogiorno. Una sudorazione ab- 
bondante e una leggera febbre persistettero per tutta la notte. Le pupille 
erano fortemente dilatate durante le prime ore dell'intossicazione. 

Non ebbi nb allucinazioni nb sensazioni colorate.” (SCHULTES, 1990:44) 
















•... . 







BIBLIOGRAFIA 


Preparazione delle polveri da fiuto 

Le tecniche di preparazione della polvere da fiuto sono diverse. Gli indiani 
colombiani prelevano la scorza dall’albero di primo mattino, grattano il te- 
nero strato del cambio e lo mettono in acqua fredda per una ventina di 
minuti. II liquido brunastro cosi ottenuto viene filtrato e bollito fino a ridurlo 
alia consistenza di uno sciroppo spesso che, una volta secco viene ridotto 
in polvere e mescolato a cenere. I vari gruppi Waika conoscono molti altri 
metodi di preparazione. Quelli che vivono lungo I’Orinoco grattano il cam¬ 
bio che aderisce alia corteccia e al tronco e lo fanno seccare delicatamente 
sopra ad un fuoco, per poterlo cosi conservare. Quando hanno bisogno 
dell’allucinogeno, immergono questo materiale in acqua e fanno bollire il 
tutto per circa un’ora fino a ridurlo ad uno sciroppo che, una volta secco, 
viene macinato e setacciato. 

La polvere cosi ottenuta viene mescolata a foglie secche e polverizzate ri- 
cavate da una piccola pianta ricavata appositamente a questo scopo, la 



AGURELL S. et 
al.. 1969, 
“Alkaloids in 
certain species 
of Virola and 
other South 
American Plants 
of Ethnopharma- 
cological 
Interest”, in: 
Acta Chem 
Scand. n° 23: 
903-916. 

CHAGNON N.A. 
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“Yanomamd 
Hallucinogens: 
Anthropological, 
Botanical and 



131 


Chemical 
Findings”, in: 

Current 
Anthropology 
n° 12: 72-74. 

DE SMET 
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ary Overview of 
Intoxicating 
Enema Rituals in 
the Western 
Emisphere”, in 
Journal of 
Ethnopharmacology 
n“ 9: 129-166. 

DE SMET 
PA.G.M., 1985, 
“A Multidisciplin¬ 
ary Overview of 
Intoxicating Snuff 
Rituals in the 
Western 
Emisphere”, in 
Journal of 
Ethnopharmacology 
n» 13: 3-49 











■ Jlr - 



Justitia pectoralis, var. stenophylla. Inline aggiungono la cenere della cor- 
teccia 6e\yElizabetha princeps, un rare albero della famiglia delle 
leguminacee. Ad est del territorio Waika, la polvere da fiuto viene preparata 
direttamente nella foresta. Gli alberi vengono abbattuti e lunghe strisce di 
corteccia vengono tagliate per ricavare il liquido rosso sangue che affiora 
dalla superficie interna della corteccia. Lo sciamano raccoglie questa spe¬ 
cie di resina in un pentolino di terracotta che viene messo sul fuoco; quan- 
do questo liquido rosso raggiunge la consistenza giusta, viene fatto secca- 
re al sole e inline ridotto in polvere. II nyakwana cosi ottenuto puo essere 
utilizzato in lorma pura ma, molto spesso, viene ancora mescolato con le 
loglie polverizzate della Justitia. 

I Bora, i Muinane e i Witoto dell’Amazzonia colombiana invece non utilizza- 
no la Virola in questo modo: dalla resina dell’albero lanno delle pallottoline 
che vengono usate dallo sciamano per comunicare col “piccolo popolo degli 
spiriti". I Bora del Peru a volte per lare queste pallottoline usano anche la 
resina di un altro genere di myristicacee, I'lryanthera macrophylla. I Wikoto 
della Colombia utilizzano invece tutta la scorza della Virola: la grattano al- 
I’interno per ricavare il liquido del cambio che mettono poi in una zucca; a 
poco a poco il liquido assume una colorazione bruno-rossastra: i pezzettini 
ancora umidi sono impastati e pressati piu volte in un colino di vimini. II 
liquido che si ottiene, color caffelatte, viene fatto bollire rapidamente, pro- 
babilmente per neutralizzare gli enzimi che potrebbero alterare i principi 
attivj. Poi lo lasciano sobbollire mescolandolo in continuazione finch6 non 
diviene pastoso, e questa pasta cosi ottenuta viene lavorata a mano fino a 
diventare pallottoline che sono consumate sul momento. 


133 

In preda 
ail'allucinogeno 
quest’uomo 
mima una danza 
propiziatoria per 
la caccia. 

HOLMSTEDT B. 

et al. 1980 
“Indole Alkaloids 
in Amazonian 
Myristicaceae; 
Field and 
Laboratory 
Research”, in 
Botanical Mus. 
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215-234. 

MC KENNA D. et 
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“Monoamine 
Oxidase 
Inhibitors in 
South American 
Hallucinogenic 
Plants", in 
Journal of 
Ettmophannacokyoy 
n 12 179 211 




Prima e dopo 

I’assunzione 

dell’epena. 



Se non sono usate immediatamente, le pallottoline vengono ricoperte di 
“sale”, come dicono gli Indian!. Questo “sale” e preparato con varie piante 
attraverso un procedimento abbastanza complesso. Tra gli alberi utilizzati 
sono da ricordare le specie della famiglia delle Lecythidacee, la Gustavia 
poeppigiana, I'Eschweillera itayensis e una specie non identificata che gli 
indiani chiamano cha-pe-na. Si utilizzano anche le foglie e le infiorescenze 
della Spathiphyllum cannaefolium e la scorza di una Theobroma selvatica 
oltre a numerose piccole palme appartenenti probabilmente alle specie 
Geonoma e Bactris. 

I Bora del Peru spogliano la base del tronco della sua corteccia, la tagliano 
in modo da conservarne la parte interna, poi la battono ben bene con un 
bastone fino a ridurla ad un composto filaccioso che viene messo a bagno 
per almeno mezz’ora e mescolato di tanto in tanto. II tutto viene poi portato 
ad ebollizione e dopo un’altra mezz’ora viene fatto sgocciolare; il liquido 
che rimane viene ancora ridotto fino a raggiungere la consistenza di una 
pasta con cui vengono fatte delle pallottoline. Per preparare il “sale” i Bora 
utilizzano meno piante: solo le foglie e pezzi di tronco di una specie di 
Carludovica e di una palma del gere Scheela. I principi allucinogeni sono 
present! soprattutto nel liquido quasi incolore essudato dalla superficie in¬ 
terna della corteccia: questa sostanza, simile ad una resina, assume rapi- 
damente una colorazione rossastra, poi sempre piu scura, solidificandosi 
in una massa scura e brillante. 

Negli esemplari seccati per I’analisi chimica, la sostanza appare elastica, 
bruno-rossastra, e contiene triptamine e altri allucinogeni indolici. Gli In¬ 
diani grattano accuratamente la parte interna della corteccia alio scopo di 








raccogliere tutto lo strato del cambio che vi aderisce. La droga e preparata 
con la linfa di questo strato facendola bollire velocemente per permettere la 
coagulazione delle proteine e torse anche del polisaccaridi; la bollitura dura 
fino ad un quasi completo essiccamento. Questo processo sembra analogo 
a quello che permette di isolare i prodotti naturali del cambio di altri alberi, 
ad esempio le conifere, anche se oggi la tecnologia usa alcool o acetone al 
posto del calore per neutralizzare I’attivita degli enzimi che potrebbero alte- 
rare la qualita del prodotto desiderate. La “resina” della Virola ha un ruolo 
importante anche nella farmacopea indigena: possiede infatti un’attivita 
antimicotica. Gli Indian! spalmano la resina sulle superfici infette, soprat- 
tutto nei casi di rogna e di altre dermatosi di origine fungina, malattie molto 
frequent! nel clima umido della foresta tropicale. 

A questo scope solo certe specie di Virola vengono impiegate e la scelta 
non sembra avere alcun legame con le proprieta allucinogene della specie. 
Gli indiani che utilizzano la specie Virola per produrre lo “sperma del Sole” 
hanno una straordinaria conoscenza di quest! alberi: distinguono vari tipi di 
Virola, cosa che a mala pena un botanico sarebbe in grado di fare. 

Dopo aver tagliato la corteccia, gli Indiani sono perfettamente in grado di 
prevedere in quanto tempo la resina assumera la colorazione rossastra, se 
Sara dolce o piccante al sapore, persino per quanto tempo conservera in- 
tatte le proprieta psicotrope. Ancora oggi la scienza occidentale non e in 
grado di attribuire tutte queste differenze all’eta degli alberi, alia stagione di 
raccolta, ad altri fattori ambientali. 

Ma I’abilita degli Indiani nel riconoscere le sottili differenze non sembra mai 
venire meno, e ancora oggi essi hanno una ricchissima terminologia per 
designare i different! utilizzi di quest! alberi, sia dal punto di vista medicina- 
le che da quello piu propriamente “enteogenico”. 


SCHULTES R. E. 
1954 “A New 
Narcotic Snuff 
from the 
Northwest 
Amazon", in 
Botanical Mus. 
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241-260. 

SCHULTES R. E. 
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the Western 
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Gods, Waveland 
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3-54. 



135 


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& A.HOFMANN 
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chimica degli 
allucinogeni, 
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plantis toxicariis 
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Tropicale 
Commentationes 
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Ingredients of 
the Myristica- 
ceae Snuffs in 
the Northwest 
Amazon”, in: 
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TORRES M.C. 
1996 “Polveri da 
fiuto allucinoge¬ 
ne nel Cile 
precolombiano", 
in: Altrove n® 3. 




L’ ALTROVE DELLA 
CHIMICA D! SINTESI 


Mirella 

Castigli 

Neolaureata in 
chimica, Milano 



’Come citato da 
Alexander 
Shulgin nel corso 
della sua 
corrispondenza 
con Pynchon 
(http:// 

www.nepenthes. 

xo.com/). 


La chimica combinatoria e possibili applicazioni nel campo della 
chimica-tossicologica (ricerca di nuovi principi attivi) 

La liberta della ricerca nella chimica di sintesi ha assunto, nell’ultimo 
ventennio, le caratteristiche di un tabu relegate nell’angusta visuale di un 
orizzonte soffocato tra le ferree logiche delle leggi di mercato e il 
proibizionismo delle legislazioni mondiali. Dal 1986 e vietata, infatti, la pub- 
blicazione di qualsiasi informazione scientifica a proposito di nuove so- 
stanze psicoattive nell’ambito di ricerche (etnobotaniche, chimiche, antro- 
pologiche, neurofisiologiche e psicoterapeutiche) sugli stati alterati di co- 
scienza, in seguito alia promulgazione dell’Analogue Drug BilP. 

La liberta di azione e pensiero dovrebbe essere invece la primaria aspira- 
zione della comunita scientifica. Questo articolo nasce allora dalla tentazio- 
ne, filosofica e libertaria, prima ancora che strettamente scientifica, di son- 
dare eventuali sviluppi applicativi di una nuova strategia di sintesi chimica, 
comunemente chiamata Chimica Combinatoria (abbreviata nella sigla 
CombiChem). Questa nuova metodologia di ricerca potrebbe aprire uno 
spiraglio nel panorama sterile e soffocato dalla logica proibizionista della 
chimica di sintesi, focalizzando il discorso sulle “possibilita di nuove sinte- 
s/” e sulla yicerca di nuovi pricipi attivi”. La CombiChem e attualmente il 
piu potente strumento nelle mani delle multinazionali mondiali, ma dovreb¬ 
be diventare cultura comune per tutti i chimici che intendessero aprirsi ad 
una nuova mentalita di ricerca nel campo della sintesi organica. Le applica¬ 
zioni potrebbero rivelarsi sorprendenti e di particolare importanza per chi 
mostra ancora interesse nell’approfondimento della ricerca e dello studio 
di nuove sostanze psicoattive. 

Nell’ultimo decennio, la chimica organica di sintesi (della tradizione speri- 
mentale di Hofmann, Shulgin,...) ha imboccato un nuovo sentiero di ricer¬ 
ca inaugurate dall’introduzione della CHIMICA COMBINATORIA. Purtrattan- 
dosi di una disciplina di applicazione ancora troppo recente per essere de- 
finitivamente consacrata come la rivoluzione copernicana nella chimica di 
sintesi, ha espresso un vasto potenziale innovative nella ricerca scientifica, 
presentandosi come una delle chiavi di accesso per future scoperte nel 
campo dello studio di nuovi principi attivi. L’ “innovazione chimica", la crea- 
zione cio6 di prodotti nuovi dal punto di vista della struttura molecolare, del 




meccanismo d’azione e di eventual! risvolti applicativi, e infatti I’obiettivo 
sintetico di questa strategia chimica^. 

Lindustria farmaceutica, figlia della globalizzazione e del capitalismo eco- 
nomico-finanziario su scala mondiale, nell’ultimo ventennio si e limitata a 
sostenere il primato sul mercato delle multinazionali, rinunciando ad una 
vera ricerca sperimentale: i lavori di Hofmann alia Sandoz sarebbero oggi 
inimmaginabili (e non solo per i divieti connessi alle rigide legislazioni 
proibizioniste). 

Finora I’industria chimica mondiale si e limitata a sfruttare i brevetti, spes- 
so limitandosi a lavorare suH’ottimizzazione di prodotti esistenti, piuttosto 
Che esplorare autentiche alternative sintetiche. La sintesi tradizionale, dopo 
un secolo di “magnifiche sorti e progressive” a partire dalla sintesi del- 
I’aspirina, inizia ora a mostrare qualche ruga... L’obiettivo ultimo di una 
sintesi, infatti, non dovrebbe consistere nel produrre semplicemente “nuo- 
vi prodotti” da lanciare sul mercato con dubbie operazioni di marketing, ma 
dovrebbe creare “innovazione” scientifica, cercando nuove proprieta far- 
macologiche, biologiche, chimico-fisichel 

La CombiChem nasce dunque con lo scopo di superare i limit! della sintesi 
tradizionale e il sistema del ""drug design” fondato suH’implego di modelli e/ 
0 programmi computerizzati che, basandosi a loro volta su correlazioni fra 
strutture/attivita di compost! gia noti, non sono in grado di generare vera 
innovazione, ma solo variazioni minime, modulazioni tematiche, invece di 
rivoluzioni sistematiche. 

Lintroduzione della Chimica Combinatoria rappresenta innanzitutto un me- 
todo rapido ed efficace per tentare nuove sperimentazioni, comportando 
un’inversione intellettuale nell’approccio alia sintesi organica. La sintesi 
classica, infatti, precede attraverso reazioni il piu possibile selettive, 
chemioselettive, stereoselettive, al fine di ottenere un prodotto (o interme- 
dio di reazione) in rese elevate e molto puro, a partire da un unico prodotto 
iniziale posto a reagire con un solo reagente^ 

La sintesi ortodossa genera un unico prodotto per volta. 


2 Scrip 
Magazine, Nov. 
1995, 33-34. 

^Secondo la 
nota affermazio- 
ne di 

HAMMOND G.S.. 
1968. 

nERRETTN.K., 
GARDNER M.. 
GORDON D.W.. 
KOBYLECKI R.J. 
STEELE J., 
1995, 
Tethraedron 
Report, 51, 30, 
8135-8173. 



s»HrE.si oRtooossav 

AtB —^ A-ft -» /kBc 


-> 


8.% ^ 
* 8 




VVVVNA^ 

A-& A-c' 

A-6 A-8 
A-B 




u/v^ \//v%Co p'vo 


>JotTo 


Al contrario, la CombiChem nasce con lo scopo di sintetizzare migliala (o 
mllioni) di compost! contemporaneamente, combinando (in maniera random) 
molte strutture chimiche different! ad ogni passaggio (o step di reazione). 










138 


5 GALLOP M.. 
BARRETT R.W., 
DOWER W.J.. 
FODOR S.RA., 
GORDO E.M.. 
1994, J. Med. 
Chem., 37. 9, 
1233-1251. 


La sintesi combinatoria pub essere invece schematizzata cosi: 



torie” {=combinazioni di piu composti simultanee): 



MoUTt So 

FASE SotiKA 


ReAZ. 

Com A 


i,A-F-0 A 6-0 
A-c-O 


SihuLTfK^EX 


La sintesi combinatoria, al contrario della sintesi tradizionale, pone infatti a 
reagire un composto iniziale contemporaneamente con molti reagenti, op- 
pure una miscela di molti prodotti iniziali con uno (o piu) reagenti. 

La Chimica Combinatoria, che si sviluppa a partire dagli esperimenti di 
Merrifield (premio Nobel per la chimica 1984) nel campo della sintesi di 
librerie peptidiche, trae concettualmente origine da un’imitazione della sin¬ 
tesi naturale. La natura, nelle sue molteplici espressioni biologiche, tende a 
costruire contemporaneamente una grande varieta-libreria di molecole a 
partire da molti precursori simultanei: la sintesi naturale degli alcaloidi ne e 
un esempio, come la creazione simultanea di proteine-enzimi-recettori- 
antigeni derivanti dalla diversa combinazione dei soli 20 amminoacidi natu- 
rali!^ La natura, una volta creata una vastissima libreria di composti, sele- 
ziona tali combinazioni (o librerie) in base alle loro propriety. 
Analogamente, la CombiChem si prefigge lo scopo di generare sintesi 
“random” di un’enorme varieta di strutture, costituite di un numero 
elevatissimo di composti, per selezionare successivamente tali “librerie 
combinatorie” attraverso screening (test bio-chimici, tecniche piu sotisti- 
cate basate suH’uso del laser, “monitoraggio” delle reazioni con microchip). 

Una banale esemplificazione di Mix and Split Synthesis (una particolare 
tecnica di sintesi random, basata su successive operazloni di 











“mescolamento, separazione e ricombinazione” delle miscele combinato- 
rie) pub servire a visualizzare il concetto di sintesi combinatoria. Questa 
tecnica (che conduce alia formazione di un gran numero di prodotti) pud 
essere schematizzata nei seguenti passaggi®: 


® DEWITT S.H., 
CZARNIK W., 
1996, Ac. Chem. 
Res., 29, 
112-170. 


a) divisione del materiale inerte di supporto in un determinate numero di 
porzioni uguali; 


b) ad ogni porzione posta in differenti recipient, si legano i vari composti di 
reazione o building block: x, y, z...; 

c) separazione e lavaggio dei composti ottenuti legati al materiale inerte, 
che vengono poi mescolati fino ad ottenere una miscela omogenea; 


d) divisione della miscela omogenea ottenuta, in diverse porzioni uguali; 


e) ognuna di tali porzioni viene nuovamente fatta reagire con i vari reagenti 
X. y, z...; 


f) reiterazione delle operazioni “c, d, e” per N volte. 

Per quanto concerne I’identificazione del composto piu attivo, si applichera 
la deconvoluzione della miscela attiva attraverso successive sintesi e 
screening. Schema generale della tecnica applicata alia sintesi (su fase so- 
lida) di una libreria di 27 componenti trimeri: 




kyv-o xzy-f 

XXZ-# iCiZ-O XZZr# 


>' 4 - 

yy^-o 

f^i-o yyy-o y'^y-oi 


r*)*.*© izn- 
rX.Y-«zy.^.« zzf-oj 
zrz-Q 





















'LAM K.S.. 

LEBL M., 
KRCHNAK V.. 
1997, Chem. 
Rev., 97, 
411-448. 

«NICOLAU K.C., 
XIAO-YI XIAO, 
PARANDOOSH 
Z., SENYEI A., 
NOVA M.R, 1995 
Angew. Chem. 

Int. Ed. Engl., 34, 
20, 2289-2291. 

In basso: 
sezione 

trasversale di un 
sistema 
contenente un 
dispositivo 



140 

chiamato SMART 
MEMORY 
(SINGLE or 
MULTIPLE 
ADDRESSABLE 
RF TAG). 




Un campione di materiale su resina viene diviso in un numero di porzioni 
uguali, ed ogni frazione viene singolarmente posta a reagire con un unico 
difterente reagente. Completate le reazioni, una volta rimossi (per lavaggio) 
i reagenti in eccesso, le singole frazioni vengono ri-combinate, fino all’otte- 
nimento di una miscela, poi nuovamente divisa in altre porzioni. Reiterando 
le operazioni, si giunge ad un set complete di possibilita combinatorie: la 
creazione della “chemical library”. 

II risultato di una sintesi combinatoria e, in ultima analisi, non un singolo 
prodotto di reazione, ma un’immensa “libreria” derivante dalle possibili com- 
binazioni dei reagenti impiegati. Le librerie combinatorie vengono co- 
struite a partire dalla collezione di cosiddetti building-block (composti di 
piccole dimensioni e particolarmente reattivi introdotti via via durante il per- 
corso di reazione), i quali vengono uniti, tramite reazioni chimiche o biolo- 
gico-enzimatiche, in una grande varieta di possibili combinazioni^ 

Le tecniche impiegate nella costruzione di librerie utilizzano un supporto 
solido (come mostrato, agganciando ciascun prodotto iniziale ad un “bead” 
0 perlina di supporto) o in fase liquida, cioe attraverso “mix and split 
synthesis” oppure “sintesi parallele”: si tratta di tecniche rapide ed efficaci, 
facilmente automatizzabili (con robot che lavorano anche a cicio continue). 
II requisite essenziale che rende la CombiChem uno strumento potentissi- 
mo di ricerca consiste sostanzialmente nella facilita di ricostruire il percor- 
so sintetico e identificare il singolo composto piu attivo, a partire dalla com- 
binazione (o miscela combinatoria) piu attiva. La localizzazione del compo¬ 
sto piu attivo nell’ambito di librerie di milioni di composti sintetizzati, avvie- 
ne tramite screening oppure applicando una chimica combinatoria codifi- 
cata (ad esempio con radiofrequenze). 

Un nuovo approccio alia decodificazione delle librerie combinatorie provie- 
ne dall’estensione di tecnologie elettroniche alia chimica combinatoria. 
Innanzitutto si costruiscono librerie combinatorie codificate mediante I’im- 
piego di segnali RF e semiconduttori-microchip®. 

A tale scope, si preparano microreattori contenenti sia i microchip che i 

“bead” agganciati ai composti da 
sottoporre a sintesi. Inviando sin- 
goli differenti segnali di radiofre- 
quenza (uno per ciascun tipo di 
composto), che vengono registrati 
dal chip nella sua memoria, si ot- 
tiene una libreria di prodotti gia 
“etichettati” durante il percorso 
reattivo. Dagli esperimenti svolti 
dal professor Nicolau dell’lstituto 
Scripps, e stata dimostrata I’effi- 
cienza di questa tecnica, che si 
basa sul concetto del monitorag- 
gio della sintesi grazie alia succes- 
siva decodificazione dei segnali 
registrati dai dispositivi elettroni- 
ci: dalla memoria del microchip si 
ricostruisce (mediante decoding) 





pAfitTE. 
?o^oSA 










^^vPSOPK^ 


TRVm.-^ 




K.MJ 


\lTHICL, 


1 t 




[ f <4r\€l 


^i*r i/miW. 

J mL ' r 





































Pagina 

precedente: 

Cabala, 

Speculum Artis 
et Naturae, 
tavola. 



142 


^ELLMAN J. A., 
1996, Acc. 
Chem Res ., 

29, 3. 


la “storia sintetica” del microreattore. Analogamente si precede creando 
librerie codificate col LASER, e impiegando al posto dei microreattori, di- 
spositivi chiamati LOSCs (chip codificati con codici a barre incisi con laser 
a CO2). 

Esempio di un’applicazione di CombiChem; 


cH, 

I * 






TaVoR: 

(wyeiH) 


rP 





Sintesi di nuove benzodiazepine 

La sintesi delle benzodiazepine pud avvenire su supporto solido combinan- 
do tra loro i tre diversi building block^: 

Si pud legare al supporto solido il p-idrossi-o-amminobenzofenone: 

a) il polimero e unite a un linker p-idrossimetil-fenossiacetico e suH’ OH del 
gruppo -OH si legano poi gli orto-ammino-benzofenoni variamente sosti- 
tuiti; 

b) si fa reagire poi con vari amminoacidi protetti al gruppo amminico (come 
FMOC), e una volta attivati al carbossile come fluoruro degli acidi in pre- 
senza di 2,6-di-terbutil-4-metil-piridina (in quanto scavenger di acidi); 

c) con piperidina/ dimetilformammide si elimina il FMOC; 

d) con acido acetico 5% in dimetilformammide a 60° C si ciclizza la 
benzodiazepina; 

e) si introduce un qualsiasi alchile suH’N usando il Li-5-(fenilmetil)-2- 
ossazolinone; 

f) la benzodiazepina viene poi staccata dal supporto solido con acido 
trifluoroacetico acquoso. Le rese globali risultano molto elevate ed il centre 
chirale non viene affatto racemizzato. 


Partendo da 5 different amminoacidi e 8 different ammino-benzofenoni, si 
possono preparare 40 diverse benzodiazepine. 


I 




Hoo C ^ Ri 
>-^3+ I 


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b.b.Z 


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CO 

6 


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Fmoc ^nH^coF 


I'CX V 



k»H-FMOc 












144 


Concludendo questa brevissima e incompleta presentazione della 
CombiChem, interessante strategia innovativa che sta mutando in modo 
radicale la ricerca scientifica in ambito chimico, possiamo sottolineare al- 
tre interessanti conseguenze. La robotizzazione progressiva dei processi di 
sintesi e di determinazione di attivita e alia base del crescente successo di 
tale strategia nell’industria farmaceutica. Inoltre, la CombiChem permette 
I’evoluzione della sintesi organica verso I’impiego di sistemi acquosi, evi- 
tando le problematiche ecologiche connesse con I’uso industriale dannoso 
dei solventi organici. La CombiChem sta modificando profondamente il pa¬ 
norama della ricerca chimica, passando dal concetto di sintesi classica di 
singole molecole, a quella di sintesi di combinazioni (o librerie di molecole) 
e rivoluzionando lo stesso ruolo del chimico. 

I successi sperimentali di tale metodologia riguardano finora la costruzione 
di grandissime librerie oligo e poli-peptidiche, di oligo e poli-saccaridi, e la 
ricerca di nuovi materiali. Rimanendo in ambito farmacologico, un interes¬ 
sante campo applicative si focalizza nelle vaste possibilita di sintesi di nuo- 
ve small drug. Se Shulgin con i vecchi metodi ha sondato un campo cosi 
ampio come quello delle amfetamine e derivati, delle metamfetamine e di 
altri analoghi, la CombiChem potrebbe rivelarsi uno strumento formidabile 
di sintesi di intere librerie di derivati a partire da semplici precursori. 

40 nuove benzodiazepine sono state create dal prof. Ellmann ricorrendo 
alia split synthesis’, quante combinazioni sono state ancora trascurate tra le 
(x, y)-fenil-isopropilammine? e tra feniletilammine? 

Riflessioni 

Da un punto di vista puramente “filosofico”, epistemologico, la CombiChem 
forse sarebbe piaciuta a Deleuze e a Guattari, i filosofi che hanno piu amato 
la tradizione alchemica, dedicando studi all’idea dell’uno-che-si-fa-molte- 
plice. In un certo senso, la sintesi combinatoria non e arborescente 
(=gerarchizzante) come la chimica tradizionale dove A implica B che impli- 
ca C; ma si tratta di una sintesi random che imita la sintesi naturale, 
rizomatica. La CombiChem e una chimica “meticciata”, randomizzata, che 
nasce dalla contaminazione con la bio-chimica, con la biologia molecolare 
e lo studio delle vie naturali di sintesi. La sintesi combinatoria, volendo fare 
una metafora con la filosofia, non e “aristotelica”, ma assomiglia alia teoria 
degli speech! di Plotino, dove si esaltano la riflessione moltiplicata, e il de- 
lirio-creativo delle molteplicitl.. La trasformazione chimica nella 
CombiChem non e semplice evoluzione da un sistema ad un altro (lungo le 
coordinate di reazione) ma esprime una vera metamorfosi: nomadismo lungo 
una via-di-fuga/piano-di-liberta. Infatti la principale differenza, dal punto di 
vista “filosofico”, con la chimica tradizionale, consiste nel fatto che questa 
innovativa strategia mette in cortocircuito il linguaggio chimico ortodosso, 
la stereochimica organica in quanto unici-sistemi di sintesi. La CombiChem, 
forse direbbe Deleuze, “fa delirare” la sistematicita rigorosa e univoca della 
sintesi classica, esprimendo un’autentica “perdita di centrality" (e 
centralismo soffocante!). Ora il chimico diventa una sorta di Alice che gio- 
ca coi nonsense, decontestualizzando lo schematismo monodimensionale 
della grammatica-chimica, e facendo esplodere I’apparato coercitivo della 
vecchia chimica... II vecchio delirio di onnipotenza dell’alchimista per cui, 



nel laboratorio, “Lindividuo (chimico?) e dio” (concetto spinoziano- 
panteista), acquista un nuovo significato nella rivoluzione della chimica or- 
ganica. Ora il chimico perde le caratteristiche di soggetto-demiurgo, ma 
diventa parte di un processo di ricerca globale: diventa una maglia della 
rete (come direbbe F. Capra) entro cui si verifica I’evento, ovvero I’esperi- 
mento chimico di sintesi-random. Inoltre, e interessante sottolineare come 
la CombiChem non si ponga come disciplina-unica, ma crei concatenamenti, 
a partire dalla bio-chimica, per interagire con una rete di relazioni e cono- 
scenze interdisciplinari, ripudiando una ottusa specificita, e impedendo alia 
chimica stessa di chiudersi nei suoi ambiti per esplorare la biologia, la bo- 
tanica, I’elettronica, la chimica-fisica... e approdare a nuove ulterior! cono- 
scenze d’interesse anche antropologico e cultural! in senso lato. La chimi¬ 
ca pud allora diventare, come auspicavano Deleuze e Guattari, veramente 
un espediente-di-moltiplicazione per produrre varieta/ moltiplicita (“purche 
le droghe non diventino binario-unico: la dipendenza e una tautologia, non 
e rizoma/via di fuga”, ma affinche le sostanze psicoattive continuino ad 
essere manifestazione della curiosta umana, prolungamento esistenziale di 
un vero “umanesimo centrato suH’uomo”, in un viaggio attraverso desideri 
profondi e esplorazioni dell’Altrove...). 


II modesto 
laboratorio dove 
operd I’alchimi- 
sta Fulcanelli, 
dipinto da 
E. Canseliet. 












A cura di Giorgio Samorini, 
pagine 64, iiiustrato, L 5000. 

luso deirAmanita Muscaria fra le popolazioni della 
Kamchatka; In una yurta siberiana; Riconoscimento 
delle specie; I principi attivi; Esperienze con Amanita 
Muscaria e con Amanita Pantherina; Lamanita musca¬ 
ria in Italia; II nostro agarico muscarico sperimentato 
come alimento nervoso; Psiconauti amanitinici; Biblio- 
grafia minima. 






Giorgio Samorini: 

LERBA Dl CARLO ERBA, 
178 pp.. L 18000 

Giorgio Samorini: 

GLI ALLUCINOGENI 
NEL MITO, 

192 pp., L 20000 

Matteo Guarnaccia: 
ALMANACCO PSICHE- 
DELICO, 

208 pp., L. 25000 

Silvio Pagani: 
FUNGHETTI, 

36 pp., L. 4000 

AA.VV.: ROSPI PSICHE- 
DELICI, 44 pp., L. 4500 

INTERNAZIONALE 
SITUAZIONISTA 1958- 
1969, 752 pp. L. 37000 

Bob Black: LABOLIZIO- 
NE DEL LAVORO, 

40 pp., L.3500 

John Zerzan: AMMAZ- 
ZARE IL TEMPO, 

48 pp., L.4500 

SuperCiano: 

ULTIMA GUERRA, 

48 pp., L.4000 

Luigi Bontempi: GENE- 
PALE LUDD & CAPITAN 
|WING, 48 pp., L. 5000 

Bontfmpi; 

BYT€^RUGGINOSj, 

>8 pp.,-C 

Gkisapf^Bucai^LA 
MALATTIA.MENTALE 
NON ESlSfU 
48 pp., t.^^0 


Telefono Viola: EFFETTI 
COLLATERAL!, uso e 
abuso di psicofarmaci, 
48 pp., L. 5000 

Guy Debord: 

I SITUAZIONISTI E LE 
NUOVE FORME D’AZIO- 
NE NELLA POLITICA E 
NELLARTE, 

24 pp., L. 2500 

Internal Situationniste: 
LA CRITICA DEL 
LINGUAGGIO COME 
LINGUAGGIO DELLA 
CRITICA, 

24 pp., L. 3000 

Stud di Strasburgo e 
I.S.: DELLA MISERIA 
DELL’AMBIENTE STU- 
DENTESCO, 

48 pp., L. 4000 

Internazionale 
Situazionista (sez. 
inglese): LA RIVOLUZIO- 
NE DELLARTE MODER- 
NA E LARTE MODERNA 
DELLA RIVOLUZIONE, 

40 pp., L. 5000 

Alleanza per I’opposizio- 
ne a tutte le nocivita: 
TRENI AD ALTA 
NOCIVITA, 

64 pp., L. 5000 

Frans Masereel: 
GROTESKFILM, 64 pp., 
L. 8000 

Joe Lametta: 
KRIPTONITE: fuga dal 
controllo globale, 
crittografia, anonimato e 
privacy sulle reti 
telematiche, 272 pp., L. 
23000 



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Angelo Quattrocchi: E 
QUEL MAGGIO FU: 
RIVOLUZIONE, 

156 pp., L. 18000 

Raoul Vaneigem: 

AVVISO AGLI STUDEN- 
Tl, 48 pp., L. 5000 

Raoul Vaneigem: 

ELOGIO DELLA PIGRIZIA 
AFFINATA, 

32 pp., L. 3500 

Raoul Vaneigem: Al 
VIVENTI. Sulla morte 
Che li governa e suH’op- 
portunit^ di disfarsene, 
176 pp., L 18000 







#1- 1994, pagine 152, L. 15000 

Universalita dell’esperienza psichedelica; 
L’utilizzo degli allucinogeni per scopi religiosi; 
Luomo deinSD; Albert Hofmann; 
Sciamanesimo fra i Matses; Tabacco: poteri 
divini e cancerosita; Anoressia e misticismo; 
L’uso del cactus mescalinico Trichocereus 
Pachanoi nella medicina tradizionale andina; 
Realta virtuale e autogestione della coscienza; 
L’immagine terapeutica nello sciamanesimo * 
amazzonico; Ayahuasca: la sacra bevanda 
dell’Amazzonia; Funghi allucinogeni italiani. 


#2- 1995, pagine 152, L. 15000 

Ayahuasca e analoghi dell’Ayahuasca, enteogeni universali 
per il prossimo millennio; Psiconauti del 2000; L’uomo e la 
cannabis; La cannabis di dentro; La marijuana come 
medicina; L’addomesticamento della molecola selvaggia; 
Bibliografia italiana sulla Cannabis; Danza e stati modificati 
di coscienza; Possessione, Trance e vita quotidiana; 
Ecstasy; Le erbe del diavolo: aspetti antropologici, botani- 
ca, chimica e farmacologia; Bibliografia sulle solanacee 

allucinogene. 


#3- 1996, pagine 152, L. 1500p«m 

Ritorno ad Eleusi; polveri da fiuto alluci¬ 
nogene nel Cile precolombiano; (Jabala 
ed enteogeni; Droghe da guej;#^j,r 
profumi della notte Gnaua, Benzoifio e 
ruta siriaca; II dojppio omosessuale e la 
trance; L’MDMA e le terapie psichedeli- 
che: una prospettiva storica; Un viaggio 
con una forte dose di 2C-B; Ecstasy: 
neurodanze ed abusi; Rave, sostanze e 
rit(m)o; Sonority rave: una discografia 
minima; Bibliografia sugli empatogeni. 
















#4- 1997, pagine 152, L 15000 

lerobotanica Mesopotamica; miti e credenze 
enteogeniche nell’antica Grecia; I culti misterici 
e la nascita del pensiero greco; Allucinogeni, 
psichedelici, enteogeni: come li chiamiamo?; 
Stati di coscienza e psicopatologia: storia di un 
equivoco; Aspetti simbolici dell’intervento 
terapeutico nello sciamanesimo nepalese; Le 
droghe allucinogene nella ricerca e nel tratta- 
mento psichiatrico; Applicazioni terapeutiche 
,deoJi stati modificati di coscienza; Iboga: la 
fidice degli antenati. 






#§• 1998, pagine 152, L 15000 

Stati modificati di coscienza, allucinogeni e 
sessualita; La dissociazione estatica; 
L’importanza del peyote nella cultura 
Huichol; In sintonia con it mondo verso 
Virikuta sulla via di Hikuri il peyote; Arte 
HuichoLI Navajo e il peyote; Cactus 
mescalinici; Peyote e mescalina; bibliogra- 
fia essbnziale; Intervista alia sciamana 
Nadia Stepanova; II manifesto della nuova 
psichedelia; I’alba della transe; Ayahuasca 
• e sciamanesimo nella terapia della 
tossicodipendenza; II viaggio del paziente 
Jakiwasi; Ayahuasca: un fenomeno 
sciamanico per il terzo millennio; 
Stirti modificati di coscienza della e nella 

reclusione. 



















Stampato 
per conto di 
NAUTILUS 

Casella Postale 1311 - Torino 
nel Febbraio 1999 
da Stampatre 
Torino 





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Mi ili i 




una nvm 
. Affront! 
I quanto i 


Aiej.i molto vasti quali rfestasi^nM! \l 
^'’antropologia, laHiotanipa, retnollffi|m 
^discipline e campi di ric^rca a fgj e4^ ^ 
^mana che accompagna I’uomo dj^l^ife^ 
' continua scoperta ed ampia diffillMe;^i s 
-'dairess^rsi conclusa. Nk " 













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